Tradizionale post musicale del finesettimana.
Tradizionale band che nessuno si ricorda – la Manfred Mann’s Earth Band.
Chi?
Appunto.
Manfred Mann’s Earth Band.
Una di quelle band che nel nome hanno il nome di un tizio che non è il cantante – come lo Spencer Davis Group, come i Jethro Tull, come gli Steely Dan.
E gli amici ti restituiscono il disco che hai prestato – che è bello, certo, ma…
Ma chi sono ‘sti tizi?
Perché non li ho mai visti in TV?
E quello che canta non si chiama…..
Ormai non se li fila nessuno, i Manfreds – e anche ai vecchi tempi erano un gruppo marginale.
Non per scarso valore, ma per scelta.
Manfred Mann, il tipo menzionato nel nome della band ma che non cantava, suonava le tastiere, era unmusicista di impostazione classica, che citava Holst e Stravinski, non era interessato a stare nell’occhio del ciclone.
Già ai vecchi tempi, quando la band si chiamava solo Manfred Mann (confusione, confusione), lui era più interessato alla strutturamusicale che non all’appeal pop dei suoi brani – curiose miscele di classica, folk e r’n’b.
Vedere la gente che balla su My Name is Jack a Top ofthe Pops nel 1968 è un’esperienza assolutamente surreale.
Ma non più surreale di scoprire che, acquistando una copia del loro album The Good Earth (1974) si adottava una zolla di terra da dedicare a rifugio faunistico in Galles.
Con gli anni ’70, Manfred e i suoi ragazzi si spostano su un sound ancora più intricato, penetrando come guastatori il campo della musica progressive, e nel 1976 trovarono la stabilità con Chris Thompson come vocalist principale, e facendo cover e riarrangiamenti di artisti noti – Bob Dylan – e sconosciuti – Bruce Springsteen, ad esempio.
Blinded by the Light è l’unica canzone scritta da Springsteen arrivata al primo posto della Hot 100 – ma ci è arrivata nella versione della Earth Band.
E pare che al Boss ancora girino…
Ed è certamente per via di una loro cover del Boss, la stranissima For You, che io in questi giorni non riesco a smettere di ascoltare Chance, del 1980, un disco dedicato alla fuga ed alla vita in movimento – aerei, navi, fughe, naufragi.
Princess cards she sends me with her regards
barroom eyes shine vacancy, to see her you gotta look hard
Wounded deep in battle, I stand stuffed like some soldier undaunted
To her Cheshire smile. I’ll stand on file, she’s all I ever wanted.
But you let your blue walls get in the way of these facts honey,
get your carpetbaggers off my back
you wouldn’t even give me time to cover my tracks.
Strana.
Chance ha anche, come gran parte dei dischi dei Manfreds una vena fantastica o fantascientifica – e nello specifico è molto più cyberpunk di tanto cyberpunk conclamato, a cominciare dal brano d’apertura Lies (All thorugh the ’80s), sinistramente profetico.
Insieme con Watch (1978), album del quale mi innamorai per via della copertina, una quindicina di anni or sono – altro disco sulla fuga e sulla scomparsa, sulla perdita di memoria – sono stati la mia colonna sonora durante tutto il periodo di ubuntificazione dei miei sistemi.
Davy’s on the road again
Wearin’ different clothes again
Davy’s turning handouts down
To keep his pockets clean
Ed un suo senso in fondo ce l’ha – furono proprio i Manfreds, a metà anni ’80, ad aggirare una serie di mandati di cattura sudafricani per poter entrare in Sud Africa incidere Somewhere in Afrika con musicisti invisi al regime dominante.
Per i Manfred, gruppo marginale tutt’ora in attività, il concetto di “ubuntu” era evidentemente chiaro a livello istintivo.
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