Questo è un post di dubbia utilità, che nasce da una chiacchierata fatta un paio di giorni or sono, con un amico, riguardo al fatto che sto leggendo un libro di grammatica inglese – e non è il primo (e forse non sarà l’ultimo).
Questo ci ha portati a discutere di quali sono i libri che mi tengo a portata di mano quando scrivo, come materiale di riferimento.
Ed è qui che il post può essere di dubbia utilità – perché io ormai scrivo prevalentemente in inglese, e quindi i miei volumi di riferimento sono in inglese.
Io resto dell’idea che quando si tratta della nostra scrittura, sia importante fare riferimento a manuali relativi alla lingia in cui scriviamo – perché lingue diverse hanno regole diverse, strutture diverse, e i testi sui quali impariamo dovrebbero tenerne conto.
Questo vale per le grammatiche come per i manuali di scrittura – che di solito fanno riferimento alla lingua, al mercato ed all’ecologia editoriale, per così dire, oltre che alle esperienze personali, di chi li scrive.
È per questo che trovo alquanto dubbia la venerazione che tanti guru nostrani della scrittura – e per riflesso i loro assistiti – paiono avere per Strunk & White, Elements of Style.
Sì, lo so, Ike Asimov giurava e spergiurava sullo Strunk & White, e mi pare che anche Stephen King lo citi nel suo manuale, però il manuale di Strunk & White fa riferimento alla grammatica inglese, non a quella italiana. Ci sono delle diferenze.
Io, scrivendo in inglese, potrei forse usarlo ma, in primis, è zeppo di errori (usa una forma passiva per dirci di non usare forme passive, e poi porta alcuni esempi di forma passiva che non sono forme passive … e questo è solo uno dei molti esempi disponibili), ed è un manuale comunque mirato alla scrittura di relazioni e tesine per liceali e universitari, e la narrativa è una cosa diversa.
E allora cosa?
Il mio amico Germano, che fa l’editor per la lingua italiana, suggerisce di leggersi la grammatica italiana – edizione Zanichelli, mi pare – ed ha ragione. Tutte le convenzioni (perché questo sono le regole della grammatica) sono raccolte là dentro.
Potrebbe essere sufficiente.
Grammatica
Per la grammatica della lingua inglese, il testo più popolare – che ho qui sull’hard disk in versione elettronica, e del quale vi piazzo anche il link commerciale (sapete come vanno queste cose) – è Woe Is I: The Grammarphobe’s Guide to Better English in Plain English (Fourth Edition), di Patricia T. O’Conner, che risolve rapidamente tutti quei dubbi malsani che vengono scrivendo, e quegli errori barbini che spesso vengono segnalati dall’editor in fase di revisione – pronomi sbagliati, forme verbali farlocche, strutture che non vanno da nessuna parte.
È ben scritto, scorrevole, non troppo tecnico ed è facile trovare i diversi argomenti e farsi un ripasso veloce.
Io la grammatica dell’inglese l’ho studiata alle medie – e poi di nuovo al liceo – ma prima di cominciare a scrivere in inglese, nel lontano 1997, non ci avevo mai badato granché se non per passare le interrogazioni a scuola.
Anche per il latino era la stessa cosa, al liceo – traducevo abbastanza bene, pur senza ricordarmi nulla della grammatica.
Ma scrivere – o tradurre professionalmente – è una faccenda completamente diversa.
Bisogna conoscere le regole della grammatica ed applicarle.
Come dicevo sopra, si tratta di convenzioni – e mutano col tempo, per cui è necessario mantenersi aggiornati.
Oltre al volume della O’Conner, ho sulla scrivania una copia cartacea del Penguin Dictionary of English Grammar, che è infinitamente più arido e schematico, ma che è facile da sfogliare alla ricerca della risposta a qualche dubbio.
Vi ho piazzato un link commerciale – ma su Amazon conviene cercarne una qualche copia usata, che si può reperire a meno di un terzo del prezzo di copertina.
E sullo scaffale ho una copia del Deluxe Transitive Vampire, di Karen Elizabeth Gordon, un volume uscito nel ’93 che illustra tutte le parti più intricate della grammatica inglese con esempi tratti da romanzi gotici. la versione Deluxe è rilegata rigida e piacevolmente illustrata, ed è ormai un libro costosissimo. È alquanto bislacco – e parte di una serie che include una guida al lessico ed una all apunteggiatura – ma è anche un piacevole antidoto ai testi più paludati.
E di solito quando ci si diverte si memorizzano più facilmente i vari concetti, ed il vampiro transitivo È divertente.
Stile & Uso
La grammatica è essenziale per non commettere svarioni, e costituisce – ne parliamo fra un attimo – una forma di stile.
Ma esistono diversi stili e usi differenti, che fanno sorgere questioni come quale preposizione regga una certa forma verbale in una certa specifica circostanza – e qui spesso grammatica ed uso comune vanno in conflitto.
Può essere utile, perciò, un manuale di stile.
La Penguin, nella stessa collana del dizionario di grammatica, ha anche un Writer’s Handbook – che è poi una guida allo stile, come Strunk & White o il Chicago Manual of Stile – ma io uso invece una vetusta (e quindi probabilmente sorpassata) versione del Fowler’s Modern English Usage, edito da Oxford (e scritto, ovviamente, da Fowler). Ne ho una copia cartacea sulla scrivania, ed una digitale sull’hard disk.
A differenza di Strunk & White, il volume di Fowler non contiene errori di grammatica, si guarda bene dall’assumere quel tono vagamente autoritario che pare minacciarvi di rappresaglie fisiche se piazzate un avverbio fra il “to” ed il verbo all’infinito (to boldly go…) ed è scritto col tono abbastanza snob dell’Inghilterra degli anni ’30. È in effetti un manuale di stile ed uso comune della lingua inglese parlata nei paesi civili – e usarlo come riferimento può dare in alcuni casi dei problemi con gli editor americani.
Come dicevo, la mia copia oltretutto è vetusta – ed in effetti Oxford ne ha due nuove edizioni, una standard ed una “concisa”. Ora si chiama New Fowler’s Dictionary of Modern English Usage.
Un titolo, ne sono certo, che Fowler stesso avrebbe ironicamente criticato come troppo lungo e faticoso.
Spero sia chiaro che questo genere di “manuali di stile” non si propongono di insegnarci a sviluppare uno stile nostro, ma piuttosto quali convenzioni modifichino o alterino le regole dell agrammatica standard – rendendo ad esempio certe forme più accettabili di altre.
C’era una cosa simile, per la lingua italiana, negli anni ’80, intitolata Come Parlare e Scrivere Meglio, di Gabrielli & Salmaggi. Ha quarant’anni, e quindi non è certo al passo con l’attuale stato della lingua italiana, ma è una lettura estremamente divertente. Buona caccia.
La questione dell os tile e dell’uso viene anche affrontata da un testo che ho già citato più volte in passato, Artful Sentences: Syntax as Style, di Virginia Tufte – che è un colossale compendio ed analisi di diverse strutture sintattiche e di come l’ordine in cui disponiamo le nostre parole sulla pagina possaa alterare non solo il significato della frase, ma anche il ritmo, e la percezione del lettore.
Questo non lo tengo a portata di mano sulla scrivania – ma è sullo scaffale, di fianco al vampiro transitivo.
Dizionari & Affini
Computer e internetavrebbero reso – secondo alcuni – obsoleto il buon vecchio dizionario.
Ne abbiamo uno integrato nel nostro software di scrittura (insieme ad un autocorrettore e ad altre meraviglie), eattraverso la rete possiamo arrivare rapidamente a dizionari online, wikipiedia e quant’altro.
Io preferisco avere a portata di mano una copia cartacea di un buon Thesaurus – che sarebbe quello che noi chiamiamo Dizionario dei Sinonimi e dei Contrari – per la lingua inglese.
Ne esistono una quantità, e sono particolarmente utili in fase di revisione, quando ci rendiamo conto che il notro testo è zeppo di ripetizioni.
Nello specifico, io uso il vecchio (2013) Oxford Paperback Thesaurus – che si può acquistare su Amazon usato per meno di tre euro.
Sul PC, Artha è un buon software gratuito e cross-platform che funziona come thesaurus per il desktop per la lingua inglese.
C’è poi il Dictionary of Phrase & Fable, che sarebbe un dizionario delle forme gergali, delle frasi fatte e dei riferimenti culturali. Molto utile sia per scrivere che per tradurre. Quello storico è il Brewer, ma anche in questo caso conviene recuperarne uno aggiornato – perché i riferimenti culturali, ovviamente, evolvono molto rapidamente (ma hanno anche una estrema persistenza).
Lo stesso vale per un dizionario delle forme idiomatiche.
La rete può ovviamente sopperire, ma il volume cartaceo è spesso più rapido.
Un buon investimento, infine – se si traduce o se si scrive narrativa – sono un paio di dizionari di slang.
Anche di questi, ne esistono dozzine – dai molto generici ai molto specifici (per epoca, regione, categoria).
Possono essere estremamente utili – ma anche qui, la rete offre abbondanti alternative.
E questo è, grossomodo, tutto.
Per riassumere – una buona grammatica, un manuale di stile e un dizionario dei sinonimi e dei contrari. Questo è l’indispensabile, per ciò che mi riguarda.
E questo, io credo – e soprattutto la grammatica – dovrebbe venire prima dei corsi di scrittura e dei seminari su come essere autori che scrivono giusto. Potrebbe persino permetterci di farne a meno.
Ma è, ovviamente, solo la mia opinione.