È ben documentata su questo blog la mia opinione sull’esplorazione spaziale e sugli allunaggi Apollo.
Ed è altrettanto ben documentata la mia opinione sui temini che settimanalmente i lettori de La Stampa si sciroppano da parte di Mina, apprezzata cantante (trent’anni or sono) e molto meno apprezzata pennivendola (oggi).
Il fatto che le opinioni – un misto di banalità e sciocchezze in salsa reazionaria – della cantante vengano settimanalmente spiaccicate sulla prima pagina del quotidiano torinese è uno dei grandi misteri del nostro tempo.
Perché?
Fatto salvo il fatto che ciascuno ha il diritto alle proprie opinioni, per quanto involute, tale diritto non include tacitamente il diritto di infliggere tali opinioni agli ignari lettori de La Stampa.
Al limite, potrebbe farcisi un blog – ma allora probabilmente non la pagherebbero.
O forse è un sintomo del neofeudalesimo che avanza – basta avere un titolo di popolarità e la vostra opinione diventa materiale degno di essere pubblicato.
Quali che siano i motivi, i quattro paragrafi consegnati la notte passata dalla cantante alle rotative torinesi hanno tutti i titoli per andarmi contropelo.
Prima di provare a raggiungerla, tutti sapevano che si trattava di sabbia, ghiaia, roccia. Tutti sapevano che la poesia non scaturiva dalla sua essenza brulla, ma dalla lontananza e dal notturno che la circonda. Il biancore, concesso dai sistemi delle rivoluzioni planetarie, assegna al nulla lunare una dignità maestosa.
Già, a Mina le Missioni Apollo non sono piaciute.
Curiosamente, sembra convinta che gli uomini abbiano affrontato il vuoto dello spazio, viaggiando più lontano di chiunque altro prima e dopo di loro, per verificare di prima mano quali fossero le cause della poesia della luna.
E pare altresì convinta che l’albedo del nostro satellite dipenda da non meglio specificate “rivoluzioni planetarie”.
How very Cyrano de Bergerac!
Ma non è tutto.
Il grande «spettacolo» ebbe luogo in un luglio lontano tra urletti isterici di cronisti pagati per stupirsi e suscitare stupore. Vennero sprecati, per una breve rappresentazione tra i Barbapapà e i Teletubbies, anni di costosissima e rischiosa ricerca, coraggio di uomini addetti ai lavori, illusioni degli altri uomini con la bocca aperta e il naso all’insù. Ci siamo scambiati in regalo alcune pietruzze confezionate in blocchetti di plastica trasparente, alcuni libri con le foto della faccia nascosta, con l’elenco dettagliato dei nomi dei crateri.
Già – lo stupore fu simulato.
I soldi buttati.
Così i sogni e le illusioni.
Tutto per due sassi e i nomi dei crateri.
Che baggianata colossale.
Sorvoliamo sul fatto che i mari e i creteri della luna avessero nomi ben prima che Aldrin e Armstrong facessero la loro prima passeggiata.
Sorvoliamo sul fatto che il passaggio citato qui sopra si agganci implicitamente, col riferimento ap ersonaggi di fantasia per bambini, alla solita storia della simulazione.
Sorvoliamo sull’ignoranza e sulla superficialità.
Cosa rimane?
Un pistolotto ancora una volta contro la curiosità umana, contro il progresso scientifico, contro uno dei maggiori traguardi raggiunti dalla nostra specie, in nome di una presunta spiritualità laica (?) che rimane riservata, a ben guardare, solo a chi se la può permettere.
L’ignoranza come fonte di meraviglia, per chi ha il tempo di meravigliarsi.
Rammaricarsi per il fatto che siamo arrivati fino alla Luna e poi ci siamo fermati?
Rammaricarsi per il fatto che se lo spazio fosse stato sviluppato, molti problemi contemporanei non esisterebbero?
No.
Mina non ha tempo per O’Neill, non ha tempo per Carl Sagan.
Quel 20 luglio 1969 pochissimo mi interessarono le gesta di Armstrong, Collins e Aldrin, i tre eroi che allunarono. Figurati cosa mi può importare del relativo anniversario. O del fatto che potrei fare un viaggio virtuale su Google moon. Con tutto quello che c’era e c’è da fare su questa straziata, disperata terra, con tutte le emergenze che gridavano e gridano vendetta a Dio, non sarebbe stato più saggio e fraternamente terrestre occuparsi di chi moriva e muore di fame, di guerre e di malattie? Prima di guardare in alto?
Già, perché guardare verso le stelle, se vivi in un fosso?
Mina non ha capito che l’unico modo per uscire dal fosso è tenere lo sguardo ben saldo sulle stelle.
Ed evidentemente non ha una buona dimestichezza con Oscar Wilde.
E resta il forte dubbio di come possa un’artista mantenersi vitale e interessante ignorando con fare sprezzante ciò che accade nel mondo reale.
Ma il dubbio si risponde da solo.
Perché Michael Collins, madame, sulla Luna non ci mise mai piede.
Dimostrare di non saperlo non è sdegnosa superiorità, è solo marchiana ignoranza. Come ciccare le date dei Barbapapà (1974) e dei Teletubbies (1997) – che con l’allunaggio Apollo (1969) non c’entrano nulla.
E la meraviglia dal contempllare tale ignoranza non è, credo, la stessa alla quale implicitamente faceva riferimento l’articolo.
E allora forse è meglio limitarsi alla musica, no?
Questa è per tutti quelli che credono che sulla luna ci siano andati Louis Armstrong e Phil Collins…
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