Serata da veglia funebre con alcuni vecchi colleghi di università.
La conversazione si incunea sulla questione pubblicazioni – o mancanza delle medesime – e scopro con un certo orrore di essere quello con il maggior numero di pubblicazioni al tavolo (tocca pagare da bere).
Come è possibile?
Dopotutto, nell’ambito della ricerca, la pubblicazione è la valuta corrente.
È ciò che definisce la mia esperienza, che fornisce ai colleghi un’istantanea delle mie attività, delle mie competenze, delle mie capacità.
Certo, poi vogliono il curriculum.
Come no, fanno il web-check.
Ma le pubblicazioni sono la base.
Si chiacchiera, quindi, e si delineano una serie di problemi.
Primo – i buoni soldati
la capacità di eseguire gli ordini e la mancanza di iniziativa personale restano due criteri fondamentali nell’assegnazione dei dottorati, per lo meno per certi docenti.
Secondo – i cavalli perdenti
L’università tende a scoraggiare i propri laureati. Chi sei tu per dire la tua?, sembra essere il titolo della canzone. Esistono corsi nei quali alzare la mano per fare una domanda è ancora un buon sistema per essere dileggiati. Insicurezza e crisi di panico sono piuttosto frequenti.
Terzo – la difesa dell’orticello
Se è vero che molti dipartimenti campano di articoli a diciotto firme, è anche vero che la difesa dell’orticello tende a scoraggiare le collaborazioni; di rado si è proponenti di una collaborazione (perché dare un’occasione ad un potenziale concorrente?), raramente si accetta una proposta di collaborazione (perché aiutare un concorrente a fare punti?)
Quarto – la sindrome del pescecane
Estensione della difesa dell’orticello – se qualcuno pubblica nel mio ambito di ricerca, lo devo annientare; pubblicare su certi argomenti diventa l’equivalente di appendersi un bersaglio al collo.
Quinto – il pescecane insonne
Il rovescio della medaglia, naturalmente, è che per quei personaggi che hanno fatto proprio unambito molto vasto o molto popolare, il controllo del territorio diventa un lavoro a tempo pieno: devo leggere le riviste (almeno gli abstract), controllare i forum ed i siti professionali, i blog, e poi prendere gli opportuni provvedimenti… Chi ha più tempo per pubblicare, a quel punto?
Insomma, alla fine, pare che il basso numero di pubblicazioni di certi laboratori sia il prodotto dell’incontro fra una categoria tartassata e demotivata con un sistema aggressivamente chiuso su se stesso.
Non è la regola, naturalmente.
Ma certe volte, in una taverna sperduta da qualche parte, attorno adun tavolo solitario, l’impressione è che non ci siano alternative.
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