Mese di trasferte – mese di spese esorbitanti.
È vero che al Collegio Universitario di Urbino si dorme comodamente in camera singola con 18 euro per notte (volete scherzare?), ma è anche vero che i due pieni di benzina che mi servono per raggiungere Urbino da Castelnuovo Belbo e ritorno mi erodono tre banconote da cinquanta euro.
Più l’autostrada.
Più l’incresciosa abitudine di mangiare.
Il che significa che, facendo questo giochino due volte al mese, si rimane a secco.
Ergo – si tagliano le spese futili.
I libri, ad esempio.
Quelli da diporto – e speriamo di non doverne procurare di accademici.
Questo mese, quindi, solo due volumi*.
Uno dei due, atteso e prenotato da quasi un anno (e fortunosamente reperito su Amazon.co.uk a metà prezzo per promozione – ma tocca aspettare il 20 del mese perché esca).
L’altro, una interessante sorpresa – e a cento pagine e rotti posso già farne un discreto resoconto.
È agli atti che mi piace leggere saggi storici.
Non a tappeto, così come capita, un greco-romano oggi, un rinascimentale domani…
Ho le mie aree di interesse, i miei periodi preferiti.
Ci ho anche fatto dei post, a fine 2011, ricordate?
Epoca vittoriana.
Storia coloniale dell’Impero Britannico.
Ah, una fonte di inesauribile divertimento.
La quantità di personaggi improbabili e di situazioni paradossali, il mix di eroismo e cialtronaggine, non hanno pari.
E le località esotiche.
Ci sono un sacco di buoni libri sul periodo coloniale inglese – i meravigliosi saggi di Peter Hopkirk, tanto per cominciare (in Italia li pubblica Adelphi), o gli eccellenti Plain Tales from the British Empire e Soldier Sahibs di Charles Allen.
Come dicevo, sull’argomento ci ho già fatto un post.
Una ulteriore esplorazione della mistica dell’Impero – e di tutti gli elementi ben poco mistici alla sua origine – è il recente, divertentissimo Running the Show, di Stephanie Williams.
La Williams prende le mosse dai quattro faldoni contenenti le risposte ad un sondaggio (lo chiameremmo oggi) svolto nel 1879 fra i governatori coloniali britannici.
Come vivevano?
Quali problemi dovevano affrontare?
Di quali spese erano gravati?
Dalle risposte a quelle domande (“Spendo quanto un gentiluomo spenderebbe per mantenere la propria abitazione con un minimo di dignità”), l’autrice isola una decina di personaggi “esemplari”, e ne racconta le improbabili vicende.
Scopriamo allora che un governatorato coloniale era spesso un buon sistema per levarsi dai piedi personaggi secondari.
Scopriamo che se l’eccentricità, l’autocrazia, la follia e la debosciaggine potevano spesso macchiare il curriculum di questi personaggi, pochissimi di loro, in 150 anni, si rivelarono corrotti.
Scopriamo il fastidio di molti di loro per il razzismo dei compatrioti rimasti a casa, e persino (inimmaginabile!) un governatore vittoriano che ammetteva al proprio tavolo anche ospiti di colore.
Scopriamo la necessità di inventarsi soluzioni a crisi politiche, emergenze sanitarie, problemi dementi.
Scopriamo il vuoto istituzionale, l’assenza di amici e familiari, ed il destino ultimo di ombra e oscurità.
In India, Africa, Medio ed Estremo Oriente, Australia, Indie Occidentali…
In questo il libro della Williams sembra confermare ciò che traspariva già dalle interviste in Plain tales di Allen – l’Impero venne forgiato da una maggioranza di individui decentissimi, spesso francamente opposti alle politiche imposte dalla corona.
E se non furono certamente individui illuminati, per i nostri standard, non furono neanche gli esempi di abiezione che una certa mentalità politically correct vorrebbe farci sembrare.
Erano gente a posto, insomma.
Il volume è documentatissimo, con fonti primarie e stralci di lettere, diari e quant’altro.
E poi ci sono un sacco di immagini, un sacco di mappe, un sacco di riferimenti bibliografici.
Una buona lettura.
Dispiace, a questo punto, che sotto la lente della Williams non passi anche quello che fu, probabilmente, uno dei personaggi più interessanti del colonialismo inglese – quel James Brooke, Rajah Bianco di Sarawak, che Salgari trasformò in una sorta di Darth Vader vittoriano**.
In compenso, fin dalle prime pagine, abbiamo una bella visione di Labuan, e del suo governatore – e ci sentiamo più che compensati***.
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* Non piangete – leggerò e vi parlerò di quelli accumulati nei mesi passati.
** E che Adolfo Celi rese così bene sullo schermo.
*** Anche se IL libro definitivo su Sarawak e sull’eredità coloniale di James Brooke non può che essere Sylvia, Queen of the Headhunters, di Philip Eade (e sì, questa nota è diretta soprattutto alla mia amica laClarina)
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