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ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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La cuociriso elettrica

Si era detto di fare un post sulla cuociriso – un po’ perché lo sappiamo che non è sempre caviale (a volte è riso), un po’ perché a quanto pare questo si sta trasformando in un lifestyle blog, un po’ perché ancora una volta questo aggeggio non ha una sua pagina Wikipedia in italiano.
E chissà poi perché.

Traduciamo allora la Wikipedia degli inglesi, tanto per aver chiaro di cosa stiamo parlando…

Una cuociriso o cuociriso a vapore è un elettrodomestico da cucina progettato per bollire o cuocere a vapore il riso. Consiste di una fonte di calore, una ciotola di cottura e un termostato. Il termostato misura la temperatura della ciotola di cottura e controlla il calore. Le cuociriso più complesse possono avere molti più sensori e altri componenti e possono essere multiuso. […] Il termine cuociriso era precedentemente applicato a utensili per la cottura del riso dedicati non automatizzati, che hanno una storia antica (una cuociriso a vapore in ceramica risalente al 1250 aC è esposta nel British Museum). Ora il termine si applica principalmente ad elettrodomestici automatici. Le cuociriso elettriche sono state sviluppate in Giappone, dove sono conosciute come suihanki (炊 飯 器).

Bello liscio.

Ma ci mettiamo subito un avviso – esiste anche una cosa chiamata cuociriso per il microonde, di base un contenitore speciale in plastica per la cottura del riso in microonde. Non mi occuperò di quello, in questo post. Continua a leggere


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Roger Ebert & Pacific Rim

Pochi minuti fa (o due giorni or sono, per voi che leggete questo post), mi sono sorpreso a fare una sciocchezza.
Nulla di terminale, badate, ma una sciocchezza che mi ha bloccato per un attimo, e mi ha spinto a scrivere questo post, di getto.

Pochi minuti fa (o due giorni or sono) mi sono colto sul fatto a digitare tre parole nella finestrella

Pacific Rim Ebert

Siskel and Ebert 2Il che è stupido.
Roger Ebert è morto, così come è morto Gene Siskel.
Le due persone che di più mi hanno insegnato sulla critica cinematografica, non ci sono più.
E io non posso assecondare quell’istinto, e andare a vedere cosa ne dice Roger Ebert, sul film di Guillermo del Toro.
L’opinione critica di Roger Ebert su Pacific Rim la sa Dio.
E Gene Siskel probabilmente non la condivide.

Ora, perché cercare l’opinione di Ebert su Pacific Rim?
Beh, per i soliti due motivi:

  • perché leggere Ebert che scriveva di cinema era ed è sempre un gran divertimento
  • perché di Roger Ebert io mi fido

E per vedere, in questo caso specifico, in quale campo Roger Ebert sarebbe cascato – se fra i miei amici che mi dicono che Pacific Rim è un’esperienza mistica, o fra i miei amici che mi dicono che Pacific Rim è letame fumante.

Ma tu non hai un’opinione tua?

… domanderà qualcuno.

pacific_rim_ver3No, perché il film non l’ho ancora visto.
E perché, a differenza di molti, non ho un investimento emotivo particolarmente elevato nella pellicola – non l’ho attesa con anticipazione, non ne ho letto su siti web e riviste, non credo di aver neanche visto un trailer intero (quelli che passano in TV sono rieditati).
Questo non perché io sia meglio di chiunque altro, o più intelligente, o maledettamente più colto.
È solo che a me Pacific Rim interessa un po’ poco*.
Ci sono pellicole – di prossima uscita, o uscite in passato – sulle quali il mio interese, e quindi il mio investimento emotivo, era ed è molto più alto.
Succede.

Il secondo importante motivo per cui cercavo, istintivamente, poco fa, l’opinione di Roger Ebert su Pacific Rim, è che desideravo una opinione… non imparziale, perché la critica non può essere imparziale, e non educata, perché i filtri culturali sono solo parte della fruizione del film.
Onesta?
Significherebbe tacciare di disonestà coloro che hanno recensito il film finora – molti li conosco, qui nel Blocco C, sono amici, li rispetto.
Non posso certo considerarli disonesti.
Non sono disonesti.
Autorevole?
Beh, in parte sì – Ebert non uscirebbe fuori tema; non ricorderebbe con gli occhi lucidi le serate passate a guardare Goldrake, non farebbe strani discorsi politici su Del Toro regista messicano traditore al servizio del Grande Diavolo Americano.
Ebert mi parlerebbe del film.
Senza onomatopee, senza neologismi dubbi, senza cazzate.
Senza esperienze mistiche e senza dannazioni infernali.

article-2304149-191849FA000005DC-105_634x418Ebert mi parlerebbe del film.
E non sarebbe possibile chiamarlo ignorante, dirgli che è uno che si fa imbambolare dagli effetti speciali, uno che non ha cultura, uno che non capisce, uno che non ama il cinema, uno che non c’era quando Zion sganciò la colonia su Sidney, uno che ama il passato, uno che vuole solo i blockbuster, un cvitico, un fighetto, uno pseudointellettuale, uno che guarda solo Truffaut…
No, perché lui è (era) Roger Ebert.
E basta.

Ebert mi direbbe la sua.
Aprirebbe il suo pezzo spiegandomi che il cinema di robottoni tira.
Citerebbe investimenti e incassi – non più di un paragrafo.
Poi mi direbbe che l’aspettativa per Pacific Rim è tale che qualunque opinione critica diventa irrilevante per il pubblico.
E poi mi direbbe la sua.
Su com’è stare in sala a guardare Pacific Rim.
E poi io andrei al cinema, e potrei vedere se ancora una volta condivido la sua opinione.
O se, ancora una volta, dovrei dare ragione a Gene Siskel.

———————————-
* Vent’anni fa leggevo una rivista che si intitolava Pacific Rim… ma si occupava di cultura, società e tecnologia nel settore del margine del Pacifico.


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Roger Ebert, 1942-2013

Se ne è andato uno dei miei punti di riferimento culturali – Roger Ebert, il primo critico cinematografico a vincere il Premio Pulitzer, creatore, con la sua lunga collaborazione con l’altrettanto straordinario Gene Siskel, di un linguaggio critico e di un approccio alla critica (cinematografica e non) che rimane un assoluto punto di riferimento.

Negli ultimi anni, dopo un cancro devastante che lo aveva privato della voce, era tornato alla carica, restando saldamente in sella, entusiasta per le tecnologie che gli permettevano di vivere e comunicare.

Roger Ebert mi ha insegnato come si parla di un film, di un libro, di un evento.

Noi vogliamo ricordarlo così…


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Mummificato

[nota inquietante – è la terza volta che riscrivo questa recensione. Le prime due sono state cancellate da due successivi crash di Firefox – i primi in sei mesi… che sia un segno?]

Ordunque.
Gene Siskel e Roger Ebert, i critici del Chicago Tribune e del Chicago Sun-Times che con “At the Movies”, a partire dalla fine degli anni anni ’70 rivoluzionarono la critica cinematografica negli Stati Uniti, avevano segnalato come fondamentale regola per sopravvivere, della quale ogni spettatore dovrebbe far tesoro, tre semplici parole

EVITATE I SEQUEL

Avrei dovuto dar retta a quei due saggi.
ma d’altra parte, il primo film della serie de La Mummia – ma sono davvero passati nove anni? – mi era piaciuto, e se il secondo m’era garbato molto ma molto meno, il terzo, sottotitolato La Tomba dell’Imperatore Dragone, mi lasciava ben sperare – se non altro perché la presenza di Jet Li e Michelle Yeoh a fianco dell’ormai collaudato Brendan Fraser mi portava ad auspicare una sciocca ma godibile miscela di pulp e wuxia.
Sbagliato.
Cinque euro e – quel che è peggio – due ore della mia vita buttati.

Nonostante IMDB mi garantisca che il film dura 112 minuti, la prima metà è di una noiosità a tal punto monolitica e plumbea da causare nello spettatore un senso di angoscioso soffocamento, seguito da una dilatazione temporale del tipo che sostengono di aver sperimentato i rapiti dagli alieni, alla quale segue una dolorosa cappa di abbiocco.
La trama è al contempo stupidamente semplicistica ed inutilmente complicata, la regia non riesce a star dietro alle scene d’azione che anziché coinvolgere lo spettatore lo disorientano, e gli procurano un solido mal di testa.
La colonna sonora è invadente.
http://imagecache2.allposters.com/images/pic/CUP/G-164-150~Raiders-Of-The-Lost-Ark-Posters.jpg
Eppure non è difficile fare un sequel di un film come La Mummia – che per sua natura appartiene ad un genere che ha fatto della serialità e della serializzazione un proprio tratto caratteristico.
Si prendono la stessa trama e gli stessi protagonisti del primo film, si trasferisce l’azione dall’Egitto alla Cina… un cambio di costume, un cambio di fondali et voilà, il gioco è fatto.
C’è la formula di Lester Dent, disponibile a tutti da cinquant’anni.
C’è la vecchia formula dei serial cinematografici degli anni ’30 e ’40, le ricette della RKO.
Servono:

  • un eroe
  • una ragazza
  • una spalla comica
  • un misterioso straniero
  • un doppiogiochista
  • un cattivissimo
  • una buona fornitura di comprimari sacrificabili

Cosa succede: il cattivissimo vuole conquistare/distrugere il mondo ed al contempo smanacciare/porchizzare la ragazza; e sembra anche riuscirci, con l’aiuto dell’infido doppiogiochista. Ma poi, mentre i comprimari corrono in tondo e muoiono, l’eroe, conl’aiuto del misterioso straniero ed il supporto morale della spalla comica, salva il mondo. E la ragazza.
Soprattutto la ragazza.
Fine.
È tutto qui – da Le Miniere di Re Salomone a La Maschera di Fu Manchu, passando per I Predatori dell’Arca Perduta, Rocketeer e il primo La Mummia, la ricetta è questa.
Ma qui qualcuno è andato giù pesante con gli ingredienti, buttando in pentola, o piuttosto sullo schermo…
https://i0.wp.com/www.slashfilm.com/wp/wp-content/images/mummy3poster2.jpg

  • il vecchio eroe quarantenne
  • sua moglie, già ragazza in pericolo
  • il giovane eroe ventenne, figlio dei due di cui sopra
  • la spalla comica
  • l’altra spalla comica
  • la misteriosa straniera, già oggetto del desiderio del cattivissimo
  • la figlia della misteriosa straniera, straniera e misteriosa anch’essa, nonché ragazza in pericolo
  • il doppiogiochista
  • il cattivissimo
  • il cattivo
  • l’amante del cattivo

Troppa gente con troppo poco da fare – perché la sfida è rimasta la stessa, solo enfiata a dismisura.
Troppi oggetti dacercare, trovare, proteggere, distruggere, utilizzare.
Troppe località mistiche da visitare e devastare.
Troppi dialoghi banali e privi di spirito, recitati da attori in imbarazzo, con una snervante mancanza di umorismo che marca decisamente male in un film in cui ci sono ben due spalle comiche, che si ritrovano così senza nulla da fare.

Il numero eccessivo di protagonisti si associa ad una inquietante assenza, pressocché totale, di personaggi secondari e morituri, di vittime sacrificali, di innocenti passanti, di “casacche rosse”, per cui alla fine si ricava la strana impressione che il colossale conflitto messo in scena si svolga in un mondo spopolato e desertico, ad un milione di anni luce dalla nostra realtà, e senza alcun legame con essa.
E così, quando finalmente le due armate di zombie e guerrieri di terracotta si schiantano l’una contro l’altra in una battaglia epica che non può tuttavia non ricordarci una versione più costosa e più moscia de L’Armata delle Tenebre, il sentimento generale è che, vincano i buoni o vincano i cattivi, sì, ok, ma in fondo chissenefrega.

E poi basta.
Sconfitto il male,tutti al night club.
Il giovane eroe palpa la natica fodarata di lustrini della giovane non-più-così-misteriosa straniera mentre i suoi attempati genitori quarantenni pomiciano sullo sfondo, il bene trionfa, la spalla comica se ne và e noi restiamo con la promessa (la minaccia) di un quarto film.

Aggiungiamo alla sceneggiatura sciatta ed offensiva – dell’intelligenza del pubblico, oltre che delle basi del genere – ed alla regia indifferenziata un Jet Li che pare davvero mummificato, una Maria Bello clamorosamente fuori parte (l’interprete originale, Rachel Weisz, apparentemente ha letto il copione e dato picche) ed una barcata di effetti speciali di routine, ed il risultato è assolutamente desolante.

È brutto vedere il cinema di genere fare questa fine.