Parliamo un po’ di com’è cambiato il mercato della letteratura d’intrattenimento, avete voglia?
Perché vedete, si chiacchierava qui, nel Blocco C, durante l’ora d’aria, di come ormai gli unici libri che vendano davvero siano romance ed erotica, e tutti gli altri generi vadano a rilento.
Il lettore forte, che fino a qualche anno fa leggeva soprattutto narativa di genere, fantascienza e polizieschi soprattutto, ha ceduto il posto a un nuovo lettore forte, di sesso femminile, giovane, con interessi monotematici.
E da qui il sospiro, e il ricordo dei bei vecchi tempi.
Ma qui su strategie ricordiamo che come diceva Billy Joel the good old days weren’t always good.
E se la storia fosse diversa da come ce l’hanno raccontata?
Mettiamo giù il primo Pork Chop Express del 2017… Continua a leggere →
La differenza essenziale fra “novel” e “romance” si ritrova nel concetto di caratterizzazione. Il romanziere (romancer) non tenta di creare “persone vere” quanto figure stilizzate che si espandono in archetipi psicologici. È nel romance che troviamo la libido, l’anima e l’ombra di Jung riflesse rispettivamente nell’eroe, nell’eroina e nel malvagio. Ecco perché il romance così spesso irradia un bagliore di intensità soggettiva che la novel non possiede, e perché una suggestione di allegoria alligna ai suoi margini. Certi elementi del personaggio sono lasciati liberi nel romance, che lo rendono una forma naturalmente più rivoluzionaria della novel. Il novelist si occupa della personalità, coi personaggi che indossano le loro personae o maschere sociali. Gli serve l’incastellatura di una società stabile, e molti dei nostri migliori novelist sono stati convenzionali al limite della pignoleria. Il romancer si occupa dell’individualità, coi personaggi in vacuo idealizzato per fabulazione e, per quanto possa essere conservatore, qualcosa di nichilista e di indomabile è probabile che emerga dalle sue pagine.
(Northorp Frye)
Copertina classica del romance, con in più rosmarino tattico.
Roba tosta.
Però, onestamente, quella qui sopra mi pare la miglior distinzione fra narrativa di genere e narrativa “seria” che mi sia capitato di incontrare in giro.
Chi fa genere è un romancer*.
Chi scrive mainstream è, almeno in prima battuta, un novelist.
Bello liscio.
E dire che tutto questo era cominciato per capire come, partendo dal piuttosto ampio “romance” si fosse arrivati, passando per bodice-rippers, copertine con Fabio e altri orrori, ad identificare con quell’etichetta solo un genere molto stretto, molto codificato.
La cosa è partita da ieri, dai Romance of Adventure di Stephen Jared, dalla perplessità (mia, dichiaratamente) riguardo all’uso del termine romance.
Tempo di leggere un paio di articoli, fare un po’ di ricerche.
Magari poi fare un pezzo tagliente su come si sia passati da passioni suggerite ad amplessi descritti.
E invece, oltre a trovare in Frye una bella distinzione sulla base della caratterizzazione, trovo anche, in Richard Chase, una bella distinzione sulla base della descrizione…
Senza dubbio la principale differenza fra novel e romance è il modo in cui esse vedono la realtà. La novel rende la realtà accuratamente e in elevato dettaglio.
[…]
Per contrasto, il romance, seguendo alla distanza il modello medievale, si sente libero di descrivere la realtà in minor volume e dettaglio. tende a preferire l’azione al personaggio, e l’azione sarà più libera in un romance che non in una novel, incontrando, per così dire, una minor resistenza dalla realtà.
(Richard Chase)
E questo è davvero meraviglioso*.
Non solo perché mi parla di differenti approcci narrativi, di forme che hanno un peso sul significato.
Ma anche perché in questa distinzione – ormai perduta? in italiano sia romance che novel diventaono romanzo– si annida io credo una certa tignosità degli ipercritici.
Che cercano nel romance il livello di dettaglio e realtà della novel, e non trovandola, si imbizzarriscono.
Scarsa dimestichezza coi parametri delle due modalità comporta l’applicazione di criteri simili a due forme espressive molto diverse – e di conseguenza ad una pessima critica.
E forse anche il pubblico, sempre più affamato di dettaglio e di “realtà” – e non di plausibilità – sente questa mancata distinzione formale.
Non male, eh?
Ma ne parleremo ancora.
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* il pezzo di Chase è preso da un saggio sull’American Novel uscito nel 1957, ed è una minima parte di un discorso molto più articolato che, per pigrizia, non ho avuto voglia di tradurre. Ma queste due o tre frasi rendon bene l’idea…
Titolo orribile, vero?
Beh, ok.
Quasi esattamente un anno fa – il 20 novembre 2011 – postai su questo blog un pezzo sui miei personali problemi con lo scrivere narrativa erotica a comando.
Nonostante lo stimolo di un bell’assegno croccante.
Se ve lo siete persi, potete buttarci un occhio.
Io aspetto.
Non ho fretta.
Wickedly Sexy? Moi?
Fatto?
Bene.
Un anno dopo, la storia è stata scritta (direttamente in inglese), è stata editata sommariamente in una prima stesura “pre-definitiva”, è stata fatta girare, ed ora è tornata alla base, dopo essere passata per le mani di un discreto numero di lettori e lettrici, incassando commenti decisamente lusinghieri, ed un verdetto di bocciatura per ciò che riguarda l’ipotetica vendita.
Oh, non posso davvero lamentarmi, badate!
La mia storia è hot, mi dicono, è fun, è wickedly sexy (questo me lo faccio mettere sui biglietti da visita), ma non soddisfa i parametri dell’editore.
Nel senso che c’è un sacco di sesso (io credo addirittura un po’ troppo), ma quanto a violenza ancora non ci siamo, e io credo non ci saremo mai.
Il che alla fine per un certo verso mi rassicura, perché, come dicevo in quel post un anno addietro,
l’accoppiata sesso e violenza, nel senso di sesso violento, non mi attira granché.
Anzi, non mi attira per niente.
Ma in quel post parlavo anche e soprattutto del mio interesse per l’offerta ricevuta, in termini di opportunità di apprendimento.
Perciò, vediamo… cosa ho imparato?