strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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Tarocchi & Scrittura

piemontese-fool-modianoAbbiamo ritrovato due dei mazzi di tarocchi della collezione di nostro padre – incluso un bel mazzo, usatissimo, di Tarocchi Piemontesi. Quelli coi quali si giocava a tarocchi al bar.
Tutti gli altri? Scomparsi.
Come ho spiegato in un post qualche tempo fa, mio padre collezionava tarocchi da gioco, e considerava una specie di bestemmia i tarocchi da divinazione.
La diferenza fra i due tipi sta nel fatto che il tarocco da gioco, o tarocco tradizionale, ha “figurati” solo i trionfi (le 22 carte uniche, dal Matto al Mondo) e le cosiddette “carte di corte” per ciascun seme: fante, cavallo, regina e re. Il tarocco da divinazione ha tutte le carte illustrate, e l’illustrazione svolge una specifica funzione nell’impiego “esoterico”.
Abbiamo accennato come almeno una parte dei mazzi da divinazione ora in circolazione traccino la propria origine nei tarocchi Smith/Waite.

Ma non parliamo della collezione di mio padre – parliamo del mio hobby. Continua a leggere


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Zitto e scrivi! – Tre di Tre

Sto leggendo contemporaneamente tre libri (non lo faceva anche Nero Wolfe?) che se non trattano dello stesso argomento, per lo meno toccano temi contigui.
E temi che abbiamo già visto su questo blog.
Tre volumoni, belli massicci – uno prestato, uno regalato, uno acquistato usato.
Perché non farci un post?
Anzi – tre…

Terzo volume – The Complete Artist’s Way, di Julia Cameron, pubblicato da Penguin nel 2007 e regalatomi due anni or sono da un’amica che aveva giudicato il libro dalla copertina.

Nonostante il titolo, le gru ed il vulcano in copertina ed il sottotitolo Creativity as a Spiritua Practice, non si tratta infatti di un testo taoista, o zen.
Julia Cameron, ex moglie di Martin Scorsese, è una scrittrice pubblicata in una varietà di media (narrativa, saggistica, musical, poesia, sceneggiature cinematografiche, commedie teatrali).
The Artist’s Way – originariamente un volume da 200 pagine (pubblicato in Italia da Longanesi), ormai un mostro da oltre 700 pagine nell’ultima edizione aggiornata – rappresenta la formalizzazione delle pratiche messe in atto dalla Cameron per utilizzare la scrittura come mezzo per uscire da una pessima miscela di depressione, psicosi e dipendenza da sostanze.

E questo mi piace, naturalmente, perché significa che scrivere può salvarti la vita, e cosa c’è di più importante di questo?

E sono quindi anche disposto a sorvolare sulla spiritualità di stampo cattolico-new age dell’autrice – che alla lunga suona un po’ caramellosa, ma se quella è la strada che ha trovato, chi sono io per criticarla?
Perché oltre a trattare la scrittura come una pratica che ti salva la vita, la Cameron dedica le settecento e rotte pagine del suo libro a trattare di creatività, senza definirla.

Come ho detto nel primo di questi post concatenati, ho letto un sacco di manuali di scrittura – alcuni buoni, altri meno buoni.
C’è un trucco, un sistema, per stabilire all’istante quali siano quelli meno buoni – sono quelli che perdono tempo a spiegarci cosa sia ciò che ci vogliono insegnare.
Cos’è la scrittura.
Cos’è la creatività.
Cos’è l’arte (Dio ce ne scampi!)

Ma se non definiamo ciò che vogliamo fare, come facciamo a farlo?

La risposta è semplice – facendolo.

Se vogliamo scrivere, leggere e scrivere sono attività fondamentali.
Insieme con il confronto col pubblico – perché l’ho già detto, chi scrive per non essere letto non ha bisogno di scrivere – sono tutta la scuola di cui abbiamo bisogno.

Ma scrivere a comando non è facile.
Si può imparare la tecnica, ma se poi non si ha nulla da dire, rimane tutto un bell’esercizio di futilità.
È qui che entra in gioco il fattore creatività – ed il libro della Cameron.

Definire qualcosa come la creatività può in effetti essere controproducente – perché non è assolutamente detto che quella sfaccettatura del mio carattere che iio definisco creatività corrisponda esattamente alla vostra.
E poi, anche ammesso che esista una creatività monolitica, la si impiega allo stesso modo in scrittura, fotografia ed esecuzione musicale?
Le definizioni sono zavorra, in questo caso.

Il libro della Cameron rappresenta un insieme di esercizi e pratiche quotidiane il cui unico scopo è quello di stimolare la creatività – qualunque cosa essa sia.
Chiaramente, se vogliamo fare della nostra attività creativa anche un percorso di crescita, dovreo avere delle regole strette – e c’è nelle routine descritte dall’autrice la ferrea cadenza di una pratica che le ha permesso di emergere sana da un posto molto molto brutto.
Ma è proprio questo principio di ascensione che giova alla struttura del volume.
Che se non definisce la creatività ma ci fornisce esercizi per stimolarla, allo stesso modo non definisce la buona scrittura, ma ci rivolge le domande giuste per aiutarci ad identificare le cattive abitudini, gli errori, le sciocchezze, l’auto-boicottaggio.

Va bene, lo sappiamo... questa non è una Alouatta ( o "scimmia urlatrice"), ma dateci un po' di margine, ok?

È qui che si innesta un altro meccanismo interessante.
Perché se scrivere, se creare, significa un così approfondito lavoro su di noi, sulla nostra struttura mentale, allora è innegabile che scrivere, creare, ci cambia.
E ci offre quindi l’occasione di cambiare in meglio.
Di diventare persone migliori.

OK, tranquilli, non sto per mettermi a salmodiare mantra bruciando incenso.
Non ho intenzione di buttarla sul mistico, ma piuttosto sul pratico.
Considerate un dato di fatto: scrivere con le scimmie urlatrici nel cervello è abbastanza difficile.
Per scrivere servono calma, disciplina, e controllo.
Urgenza, forse, ma non fretta.
Pressione, ma non stress.
Bisogna avere il coraggio di esporsi ma non l’ansia di mettersi in mostra.
È assolutamente necessario tenere l’ego sotto controllo – specie se vogliamo guardare al pubblico ed imparare da esso, modulare la nostra produzione sulle sue esigenze ma non sulle sue aspettative.
Dobbioamo guidare la danza col lettore, non manipolarlo o spintonarlo in una direzione o in un’altra.
Per scrivere è assolutamente indispensabile conoscere noi stessi e conoscere gli altri, e tirare fuori il meglio.

Poi, si può anche naturalmente scrivere rimanendo egocentrici, arroganti e disprezzando e manipolando il pubblico.
Però diranno di noi che siamo degli stronzi.
Magari in gamba, ma stronzi.
C’è chi si accontenta…

Un altro buon modo per riconoscere i mediocri manuali di scrittura è valutare l’atteggiamento dell’autore verso ciò che sta insegnando, verso se stesso.
Se si presenta come il Tarzan della giungla letteraria, sbandierando premi, caratteri battuti al minuto e migliaia di parole al giorno, ci sono buone, ottime probabilità che ciò che abbiamo fra le mani sia il frutto di un ego in suppurazione.
Anche in questo, la Cameron, con la sua esperienza negativa come punto di partenza, sgonfia immediatamente ogni traccia di superominismo.
La Cameron ha provato un altro sistema per stimolare la creatività – e ne ha riconosciuti gli effetti distruttivi.
Questo è un manuale di ricostruzione personale.
Il libro è zeppo di esercizi, sfide al lettore, prove pratiche, questionari, contratti.
È farcito di citazioni, strutturato in capitoli brevi, e servito da una semplice struttura – tutte le mattine, d’ora in avanti, dovrai alzarti un po’ prima e scrivere una pagina.
E un paio di sere al mese offrirti una cena e volerti bene.

Non pare troppo difficile.

Basta leggere The Artist’s Way per divenatre scrittori.
No.
Ma probabilmente non si diventa scrittori.
Al limite, si diventa scrittori migliori.

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Scrivi ciò che sai

Sul blog di Massimo Soumaré c’è un nuovo post sulle light novels, romanzi leggeri (per lo meno nella traduzione alla lettera) che hanno un vastissimo mercato in Giappone.
La proliferazione di sottogeneri e sub-categorie è spesso un modo in cui le case editrici tentano di rianimare un mercato asfitico.
Non va più la letteratura per ragazzi?
Inventiamoci la letteratura per giovani adulti…

Il mio grosso problema è che, sebbene la categoria “light novel” appartenga esclusivamente al mercato nipponico, io sono praticamentecerto che esistano romanzi che per le loro caratteristiche vi entrerebbero di diritto anche nel panorama occidentale – semplicemente, noi le chiamiamo in un altro modo.

Tuttavia, fino a questa sera, non mi veniva in mente neppure un autore “esemplare” della light novel occidentale.
Poi, questa sera, mi sono ricordato di Holly Lisle.

Cover for Minerva Wakes -- Painting by Clyde CaldwellOriginariamente pubblicata da Baen Books, la Lisle ha un campionario di tutto rispetto di romanzi che sono, a tutti gli effetti, light novels.
A cominciare dal classico Minerva Awakes, che è poi il romanzo con il quale scoprii questa autrice oltre dieci anni or sono.

Una rapida esplorazione in rete mi ha permesso di rintracciare il sito di Holly Lisle, sul quale l’autrice ha creato una delle più interessanti risorse per aspiranti autori edautori esordienti della rete.

Il principio – oltre ad una sana pubblicità ai corsi professionali tenuti dalla Lisle – è quello di aiutare gli altri come altri hanno precedentemente aiutato noi.

Il sito contiene alcune perle di sagezza, che farebbero molto bene a…
Ma lasciamo perdere.

Dalle pagine di Holly Lisle è possibile scaricare corsi gratuiti, partecipare a workshop, entrare in gruppi di lettura.
In cambio di un semplice abbonamento (gratuito e sicuro) ad una mailing list, oltre a ricevere una lettera di aggiornamento aperiodica, è possibile anche scaricare una lista di lettura, molto chiaramente intitolata

396 Books & Other Resources Writers Recommend to Kickstart Your Writing, Stand Your Thinking On Its Head, And Vastly Increase Your Ability to WRITE WHAT YOU KNOW

Perché è essenziale scrivere di ciò che si conosce.
Anche se non lo si conosce di prima mano.

Una buona scoperta.

[ora devo solo aspettare che Massimo mi scriva un commento per spiegarmi che non ho capito nulla, e che nessuno al di fuori delle acque territoriali e del pool genetico del Giappone può scrivere light novels]


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Tutto quel che serve

https://i0.wp.com/ecx.images-amazon.com/images/I/51XFGZHH17L._SL500_AA240_.jpgIl volume 30 Steps to Becoming a Writer, di Scott Edelstein, è il genere di cosa che i tuoi amici in vacanza trovano su una bancarella e decidono di comperarti come “simpatico scherzo”.
Dopotutto è una vita che scrivi, è ora che impari come si fà, giusto?

Che valanga di risate i tuoi amici, eh?

Ma questa volta l’imprevisto era in agguato.
Perché non solo Scott Edelstein è considerato l’avatara della scrittura creativa negli Stati Uniti, ma anche e soprattutto perché 30 Steps to Becoming a Writer è certamente il miglior manuale di scrittura creativa che mi sia capitato fra le mani.
Da sempre.
Breve, conciso, preciso, privo di risvolti misticheggianti e strane panzane, senza l’insopportabile “ora vi faccio vedere un mio racconto come esempio di come si fà”.
Se la scrittura è, come sostengo da sempre, una forma di raffinatissimo artigianato, allora questo volume è la cassetta degli attrezzi ideale, senza imbottiture, doppioni o giocattoli inutili.

Edelstein è un giornlista freelance, autore e ghostwriter americano che riesce a scucire fino a 250 dollari l’ora per la propria scrittura, segno che non è esattamente uno sprovveduto – scrive bene e conosce la tecnica.
In questo senso, come opara di un freelancer, il manuale offenderà tutti coloro che credono nell’ispirazione e nel talento infuso – ma che probabilmente non leggeranno mai un manuale del genere, visto che per loro scrivere è “un atto naturale, come uno sternuto”.
Evviva le metafore di classe.

Per tutti gli altri, 30 Steps è il genere di libro del quale si dice “Se acquisterete un solo nmanuale di scrittura, acquistate questo!”
L’appendice Writer’s Reality Check da sola vale il prezzo di copertina – una serie di tabelle con tutte le forme di censura (autoinflitta o cortesemente servita da insegnanti amici e aspiranti editor) che rischiano di ammazzare il nostro lavoro prima che veda la luce.
Cose del tipo… “Solo una persona frustrata e rabbiosa scriverebbe cose del genere” oppure “Perché non scrivi un bel bestseller, come Stephen Kingh?”
L’appendice non dice nulla sugli amici che ti regalano manuali di scrittura, ma si tratta probabilmente di una omissione voluta.

I trenta passi sono sequenziali – dal mettere insieme il materiale necessario al trovare il luogo ed il tempo per scrivere, al mettere le parole una dopo l’altra su carta.
https://i0.wp.com/ecx.images-amazon.com/images/I/41J3HY4BWSL._SL500_AA240_.jpgNulla è scolpito nella roccia, e vengono offerte alternative per personalità dell’autore, genere, forma.

Del volume esiste anche una versione aggiornata inclusa nel Complete Writer’s Kit, in cui si aggiungono un lussouoso cofanetto, un mazzo di carte che riporopongono in maniera non lineare le basi del volume Scrivere Zen di Natalie Goldberg, un secondo manuale di Edelstein dedicato a come gestire i propri rapporti con gli editori ed uno stupido cartello da attaccare alla porta “Non disturbare – Scrittore al lavoro”.

In entrambe le forme, il manuale di Edelstein è decisamente una piacevole scoperta.
Era ora che imparassi un paio di questi trucchi…


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Intenti letterari

http://staff.xu.edu/~polt/typewriters/underwood5small.jpgE così mi sono di nuovo andato ad inguaiare.
Sul solito blog di Max Citi prima, e su Alia Evolution poi.
Ci vuole, ammettiamolo, una certa creatività.

Eppure, sembrava una buona idea, al momento – riconoscere un proprio programma di lavoro, un proprio manifesto stilistico, e metterlo per iscritto, pubblicamente.
Un manifesto di intenti.
Unalettera di marca.
Una buona idea, certo, geniale.
E tutti a dire, però, bella idea, bisognerebbe davvero farlo.
Salvo poi, alla comparsa del mio breve elenco di temi e direzioni in cui vorrei spingere la mia produzione narrativa, osservare tutti che uau, sono proprio in gamba, ma loro non ce la farebbero mai.

Il che naturalmente sono solo fanfaluche.
Come dimostrano post precedenti e successivi, chi scrive seriamente ha un’idea più o meno chiara di ciò che sta facendo – anche se poi ama parlarne come se non ne avesse.
È parte della mistica dell’autore, probabilmente.
Insieme con concetti come talento e ispirazione.

In questo periodo sto leggendo – molto a spizzichi e bocconi – un libro di esercizi per stimolare la creatività.
Se naturalmente non ho ancora idea di quanto efficaci questi siano, l’idea mi pare buona – la creatività non è una quantità assoluta donataci dalla Musa, ma piuttosto un muscolo che possiamo allenare, sovraffaticare, strappare…
Ecco, io ogni tanto ho dei crampi alla creatività.
In queste occasioni, rivedo la mia agenda.
E faccio dei massaggi per ripristinare il muscolo indolenzito.


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La Sintassi come Stile

https://i0.wp.com/lawsofsimplicity.com/wp-content/uploads/2006/09/vtufte.jpgAmmetto di aver acquistato Artful Sentences, di Virginia Tufte, per bieca sudditanza intellettuale nei confronti di Edward Tufte, e della sua Graphic Press.
Tufte è il più grande esperto di grafica tecnico-scientifica al mondo: i suoi libri su grafici, mappe, diagrammi e fotografie, i suoi studi sullo stile cognitivo di Excell o sull’uso dela statistica a fini amministrativi, sono colossali e indispensabili per chi si occupi di scienza, di comunicazione, di analisi di dati.
Le sue teorie hanno influenzato lo sviluppo della grafica editoriale di molte riviste, e la progettazione delle interfacce grafiche di molti software.
I suoi saggi sono una miscela di storia, arte, spirito critico e innovazione.
I libri di Tufte, pubblicati dalla sua Graphic Press sono oggetti splendidi, stampati su carta di alta qualità, con rilegature indistruttibili che cigolano piacevolmente nell’aprire le pagine, con immagini di una definizione incredibile.
E quindi, Virginia Tufte pubblica un libro sulla scrittura attraverso la Graphic Press?
Per una decina di euro?
Ne voglio una copia.
Per feticismo.

E invece no.
Piccolo e sensorialmente piacevole come previsto, il volumetto della signora Tufte (docente di Grammatica delle lingue europee rinascimentali) è un saggio devastante, il cui argomento è ben sintetizzato dal sottotitolo – La Sintassi come Stile.
Attraverso centinaia di esempi stralciati da una varietà incredibile di libri – narrativa e saggistica, classici e usa-e-getta, da Hemingway a Gibson e oltre – il volume disseziona il modo in cui disponiamo le parole sulla pagina, analizzando come i significati possano slittare impercettibilmente ad un capovolgimento dell’intero periodo, o ribaltarsi radicalmente ad un semplice cambio di posizione del verbo.

Il libro in se non insegna assolutamente nulla – non ci sono esercizi, liste di cose da fare, suggerimenti pratici.
Solo esempi, raggruppati per temi sintattici – frasi brevi, frasi nominali, frasi verbali, appositivi, parallelismi eccetera.
Frasi e paragrafi estratti da testi più o meno noti, ed analizzate.
Frasi in cui tutto è essenziale, e tutto è al posto giusto.
E il trucco è tutto lì – capire quale sia il posto giusto.

Non è certamente un libro per principianti.
Richiede una buona presa sulla grammatica ed una certa esperienza come lettori e scrittori.
Ma leggendolo, diventa poi impossibile guardare la pagina scritta con gli stessi occhi.
La scrittura diventa più consapevole, e l’impressione di poter controllare con maggior finesse la sintonia dei pensieri è molto forte.
Non impone cambiamenti al modo di scrivere, perché opera probabilmente ad un livello più basilare, sul modo in cui si organizzano le idee prima di scrivere.
Influenza certamente la nostra percezione dei testi scritti.
Ed è indispensabile in fase di revisione.

Un acquisto fortunatissimo, anche se all’origine fatto per i motivi sbagliati.

Esiste anche un precedente La Grammatica come Stile.
Toccherà cercarlo.


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Esperienza didattica

Si parla un sacco di scrittura, su queste pagine.
Non era lo scopo primario di questo blog, ma l’evoluzione segue strade misteriose.

Ho trovato una cosa stamani su un vecchio libro di David Gerrold, e m’è parso il caso di tradurlo, e metterlo qui.
Chissà che non interesi a qualcuno.
Chissà che a qualcuno non torni utile.
L’enfasi è mia.

Non è un’esperienza didattica, a meno che tu non possa fare degli errori.
E ragazzi, se ne facevamo! Tutti quelli possibili. Probabilmente stavamo svegli la notte per inventarcene dei nuovi. facevamo titoli col doppiosenso, stampavamo foto storte, tagliavamo gli editoriali inmodo da non dover eliminare le battute di spirito, insultavamo a volontà i membri della facoltà, ed un paio di volte arrivammo molto vicini a stampare fotografie oscene.
Non proprio, ma quasi.
Ma per ciò che riguarda imparare a scrivere…?
Zero.
Un bel niente tondo. L’insegnante aveva ancora meno esperienza di noi. Ci faceva pena. Era incapace di insegnarci alcunché.
L’unica cosa che imparammo fu che è troppo facile farsi stampare. E questo ci insegnò una sana mancanza di rispetto per la pagina stampata. Finimmo con l’essere scettici riguardo a tutto ciò che leggevamo, e gran parte di ciò che sentivamo. Ci trasformammo in una classe piena di iconoclasti prepubescenti – in effetti, ripensandoci adesso, credo che nessun insegnante sarebbe stato capace di gestirci; avevamo una collezione di malattie mentali, psicosi e feticismi che avrebbero reso la Clinica Statale per i Dementi di Camarilto orgogliosa di annoverarci fra i suoi pazienti. (Esempio: quella classe ha fino ad oggi prodotto per lo meno un Gesuita e due criminali dichiarati, oltre all’eroinomane che finì effettivamente in una stanza imbottita).
Ciò che non ci insegnarono – e che invece avremmo dovuto imparare – era il senso di responsabilità verso la pagina stampata. Se devi mettere delle parole su carta, non dovranno essere solo le più belle che tu riesca a immaginare, ma le idee dietro di esse dovranno essere meditate a fondo. Devi considerare per chi stai scrivendo e cosa vuoi dire loro – e soprattutto, come vuoi che reagiscano a ciò che tu racconti.
Macome ho detto:
Zero.
Un bel niente tondo. Ecco cosa imparammo.
[David Gerrold, The Trouble with Tribbles, 1973]

Il testo completo del libro di Gerrold è scaricabile gratuitamente dalal sua pagina web.


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Ancora manuali di scrittura

Socrate una volta derise i propri colleghi filosofi perché insegnavano in cambio di volgare danaro. Questo, disse, sviliva la loro filosofia. Quando Protagora sentì delle ristrettezze in cui si trovava il collega, osservò che non conosceva ragione per cui i filosofi non avessero il diritto di mangiare come tutti gli altri.
Lo stesso si applica agli scrittori.

Alla fine ci si ritrova a genuflettersi sempre davanti agli stessi altari.

Science-Fiction HandbookUn rivenditore che preferisce rimanere nell’ombra mi ha appena procurato per una cifra irrisoria (circa cinque euro inclusa la spedizione) una copia in eccellenti condizioni, datata 1975 di Science Fiction Handbook, Revised, di Lyon Sprague De Camp.
Editore, McGraw – hill
Sottotitolo, How to Write and Sell Imaginative Stories.

Tipico di Lyon Sprague De Camp, quel sottotitolo.

decamph3Ho già sacrificato primogeniti sull’altare di Sprague De Camp in passato – curioso, tutto considerato.
Come con altri autori – come con tutti gli autori che preferisco tranne forse Fritz Leiber e Jack vance – dopo una fase di primo giovanile entusiasmo mi trovai a prendere un po’ in uggia Sprague De Camp.

Troppo maledettamente positivista, troppo pragmatico, troppo ingegnere…

Si tratta probabilmente di una naturale reazione al primo entusiasmo che si prova nell’incontrare un autore davvero grande – Howard, Lovecraft, Burroughs…
Poi si ritrova l’equilibrio.

Il manuale di fantascienza è semplicemente colossale.
Ci sono una dozzina abbondante di manuali di scrittura creativa sul mio scaffale – la maggior parte focalizzati sulla letteratura di genere.

Questo, però….

Un’occhiata all’indice…

  1. Prefazione
  2. Il mondo della narrativa d’immaginazione
  3. La moderna narrativa d’immaginazione
  4. Editor e Case Editrici
  5. Lettori e Scrittori
  6. Come ci si prepara ad una carriera nella fantascienza
  7. Quelle folli idee
  8. Come si struttura una storia d’immaginazione
  9. Come si scive una storia di immaginazione
  10. Come si vende una storia d’immaginazione
  11. Il lato commerciale della scrittura
  12. E quando siete arrivati…
  13. Note, Bibliografia, Indice

Il tutto in neanche duecentoventi pagine in formato tascabile.

Ora, parliamoci chiaro.
Difetti – pragmatico (l’ha scritto un ingegnere), datato (è uscito trentadue anni or sono).

Pregi – questa è la Via, la Verità e la Luce. Questo libro contiene idee e consigli che da cinquant’anni, per qualche motivo, ben pochi hanno ripreso nei propri manuali.

E’ sottile, certo, esile e leggerino.
Ma non c’è una parola sprecata.
Non c’è una farneticazione pseudofilosofica, un atteggiamento vuotamente artistoide, un singolo momento di posturing.
Sprague De Camp non usa la prefazione per convincerci di essere il Tarzan della giungla cartacea.

935359C’è invece un certo umorismo…

Anni fa, all’epoca eravamo sposi novelli, Catherine invitò una coppia di amici a cena nel nostro appartamento, e Sprague si dispose ad essere cortese nei confronti degli amici della moglie. Mentre le donne erano occupate in cucina, mostrò all’ospite alcune recenti riviste che contenevano dei suoi racconti. L’uomò gettò un’occhiata in una delle copie e chiese: “C’è della gente che davvero legge qquesto genere di roba?”
Qualcuno evidentemente deve. La domanda è chi…

Un buon incipit per un capitolo sul rapporto fra lo scrittore e il suo pubblico – cosa scrivi, chi legge ciò che scrivi.
Non ho visto coperto quell’argomento in molti manuali, di recente.
Sarà per questo che tanti aspiranti scrittori scrivono racconti assolutamente solipsistici e, pertanto, impubblicabili?

Il proverbio raccomanda di imparare l’arte e metterla da parte.

I bempensanti ci ripetono quotidianamente che l’arte non si può insegnare.

Se è vero che per scrivere (disegnare, suonare, comporre, scolpire, recitare, cucinare) è necessario entrare in contatto con una parte della nostra intelligenza che normalmente rimane sopita (ma che tutti possediamo), è anche vero che, per parafrasare una vecchia pubblicità, la potenza è nulla senza disciplina.

Una conoscenza degli strumenti, delle tecniche, dell’arte in senso di base dell’opera artigianale, è imprescindibile.
La si apprende con la pratica.
Con la frequentazione delle opere di chi è venuto prima di noi.
E raramente, molto raramente, leggendo manuali come questo.

Si può imparare a scrivere, o è qualcosa di innato, genetico, glandolare, che non migliorerà a dispetto dell’istruzione ricevuta? Si e no. L’abilità di scrivere è una miscela di due componenti, entrabi assolutamente necessari. Si tratta di Talento e Tecnica.

Comincio a pensare che non mi dispiacerebbe invecchiare e diventare come Lyon Sprague De Camp.