strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile…

111… quello con la pistola è un uomo morto.

È una citazione da Per un Pugno di Dollari.
Ma non voglio parlarvi di spaghetti western.
Per quanto, potrebbe essere un argomento interessante – e pare sia anche piuttosto popolare.

No, parliamo di tecnica.

La frase pronunciata da Ramon nel film di Sergio Leone implica una ineluttabilità di fatto.
Il fucile batte sempre la pistola, non importa chi impugni la pistola e chi impugni il fucile.

Più in generale, esiste una tecnica di un certo tipo che viene sempre e comunque battuta da una diversa tecnica.

Il che ci porta… lo sapete dove ci porta, vero? Continua a leggere


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Facce & Storie (parte prima)

Mi è capitata una bella discussione, di quelle che forniscono un sacco di idee.
La domanda di partenza è semplicemente

Che storie riesci a leggere in una faccia?

Gran bella domanda, gran bel punto di partenza*.
Soprattutto perché, se provate a fare una ricerca su Google Images con la chiave “woman portrait”, anche limitandovi al bianco e nero…

Io ci ho provato – buon sistema per trovare un paio di volti di donna di quelli che piacciono a me, mi dicevo.
E invece no.
Tutte belle patinate, levigate, senza una ruga, una cicatrice o un neo che non sia cosmetico.
Poche sopra i 30, pochissime che non siano modelle, attrici, cantanti, veline.
Hanno capelli elaboratissimi, ma volti che paiono maschere.
Ma i volti che hanno una storia, dove son finiti?

Ora, attenzione, non è che io provi ribrezzo davanti al viso di una giovane donna sana ed attraente, e non è neanche che io sia come certi derelitti che capitano qui, digitando in Google “donne mature brutte nude”**.

Sto solo cercando un volto che lasci intendere una storia.

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E gli uomini, come stanno messi?
Se cerco, sempre in Google Images, “Man portrait”, cosa viene fuori?
Beh, viene fuori una grande varietà.
Certo, c’è un 30% di personaggi che paiono quei poster che mettono dai barbieri – capello scolpito, barba di tre giorni, occhio d’acciaio.
Ci sono Connery e Elvis e Al Pacino.
Ma sono una minoranza.
Il resto, è la massima varietà.

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Bisognerà ragionarci su.
Bisognerà cercare di interpretare qui segni, leggere quelle storie.
magari ne parliamo in settimana, ok?

——————————————————-

* Ecco, questo sarebbe un buon show don’t tell – descrivere un volto che ci inquadri il personaggio al posto di un lungo pippozzo biografico
Mostrare qualcosa mostrando altro.
Come prestigiatori.

** Sì, ragazzi, siete dei derelitti.
Accettatelo, e andate oltre.


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Presentare come al TED

Post breve per un libro breve, oggi.

Le conferenze della serie TED sono lo standard di qualità della presentazione orale e visiva.
Se volete imparare a parlare in pubblico, passare qualche ora a guardare i filmati online è sia un buon modo per imparare la tecnica, che un sistema garantito per caricarsi.
Al di là della qualità dei contenuti, c’è un sacco da imparare dai relatori del TED, in termini di comunicazione, di stile, di linguaggio verbale e non verbale.
Indispensabili.

jeremey-donovan-how-to-deliver-a-ted-talk-coverHow to Deliver a TED Talk, di Jeremy Donovan, è un libro che si legge in un pomeriggio, costruito su un’idea semplice, e che funziona.
Donovan estrae dai più popolari filmati della serie TED una serie di principi generali, e li illustra rapidamente e con un linguaggio semplice e diretto.
Concentrandosi sull’aspetto narrativo della presentazione, il volumetto è anche ottimo per chi volesse provare un approccio diverso alla narrativa – e contiene un esempio di show don’t tell garantito per far infuriare tutti i cultisti di tale pratica.
Probabilmente perché è basato sull’autentico show don’t tell, e non sulla versione delirante che è stata popolarizzata da certi guru online.

A questo si aggiungono osservazioni interessanti su come coinvolgere il pubblico, e tutta una serie di strategie e accorgimenti logistici per comunicare al meglio.

Nel complesso una lettura divertente, e piuttosto utile.


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Qualche osservazione sul gestire un blog

Si discuteva, la notte passata, di quante visite al giorno sono abbastanza per un buon blog.
Bella domanda, che dipende tuttavia da un sacco di variabili.
Il tema, la lingua usata, e il linguaggio, la frequenza di aggiornamento, l’argomento trattato…

Da lì si è passati alla faccenda di cosa sia essenziale per un buon blog.
E poiché in giro per la rete c’è un sacco di gente tosta, le opinioni, le liste di cosa da fare e da evitare, si sprecano.
Ci sono quelli che hanno il decalogo definitivo, quelli che hanno i sette elementi fondamentali, quelli che vi garantiscono che è possibile fare dai 10.000 ai 35.000 dollari col vostro blog – e se vi interessa sapere come, hanno l’ebook pronto da vendervi.

Ora, io ho avviato questo blog cinque anni or sono – ouch! – sostanzialmente senza sapere cosa stavo facendo, ed il processo di apprendimento non è ancora terminato.
Tuttavia è passata molta acqua sotto i ponti, e quindi sarei quasi tentato di dire anche io la mia.

Perciò, ecco un incrocio fra un pork chop express e una top five, cinque cose che (credo) fanno funzionare un blog. Continua a leggere


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Mostra e dimostra

Questo non è il post che avevo scritto all’origine.
L’ho cancellato, quello là, insieme all’ora circa che ci avevo messo a scriverlo.
Erano circa 1000 parole.
Una media piuttosto bassa.

Si era detto post sulla regola aurea dello show don’t tell.
Ma onestamente, dopo averci lavorato un’ora, mi sono reso conto che l’argomento e la relativa discussione non mi interessano.
Non dubito che interessino a qualcuno là fuori, ma a me non interessano.
E credo che a tutta questa faccenda delle regole si stia dando troppo spazio, nelle sedi sbagliate, e nella maniera sbagliata. E non vorrei che anche qui la discussione prendesse la piega sbagliata.
Perché le regole non sono state fatte per chi legge, ma per chi scrive.
E quando un lettore pensa alle regole e non a leggere, il meccanismo s’inceppa – avete notato che a certe persone non piace nulla di ciò che leggono?

Lo ribadisco per i distratti.
Le regole della scrittura esistono per chi scrive.
Esistono fra la punta della penna ed il foglio di carta.
Il lettore non c’entra.
Segnatevelo.

Vedrò quindi di metterla giù veloce, perché alla fine l’intera faccenda, davvero, sta su un post-it.
Ok, diciamo due post-it.

La faccenda è tutta qui, in 34 parole…

Nello scrivere, come autore ho tutto l’interesse ad utilizzare la forma che produrrà nel mio lettore ideale l’effetto che io desidero, e che lo farà nella maniera che io ritengo più economica.

Il che significa che ci saranno momenti in cui darò la precedenza ad una narrazione fortemente impressionista (show), in cui il lettore viene tirato dentro all’azione mediante semplici giochini sensoriali, oppure ci saranno casi in cui, secondo la mia insindacabile decisione autorale, una narrazione più fredda, una maggiore distanza fra il lettore e la narrazione (tell), saranno preferibili.

Il trucco, quindi, non è escludere una possibilità per applicare solo l’altra (show don’t tell), ma di applicare ciò che serve quando serve (show when you need to show, tell when you need to tell).
La cosa veramente difficile è scegliere come modulare le opzioni.
Se siamo fortunati, alla lunga svilupperemo unnostro stile, che significa usare economicamente certi strumenti in certi momenti e non altri, senza più passare due pomeriggi a pensarci.
Ma per cominciare, cerchiamo di osservare la nostra narrativa, e imparare cosa serve, e dove.

Tutto il resto sono sciocchezze – è credere che aver imparato a memoria il manuale della macchina per cucire faccia di noi dei grandi stilisti.