Prendo l’avvio, come già in passato, dall’ultimo post dell’ottimo Elvezio Sciallis.
da questo momento in poi non intendo più parlare, scrivere news o
recensire prodotti in qualche modo collegati con gli editori a
pagamento, print on demand, autoproduzioni e satelliti vari di questa protogalassia.
Una brutta notizia.
L’adozione di un metodo di pubblicazione eterodosso è spesso una necessità per gli esordienti, e la recensione di un critico acuto, feroce ed onesto è quanto di meglio possa sperare chi, per scelte eterodosse, non ha potuto avvalersi di editor, revisori, comitati editoriali.
Mi dispiace quindi che Elvezio decida di lasciare ancora più soli quegli autori che, per sua stessa ammissione, sono lasciati soli dai propri editori.
non riesco ad accettare la completa mercificazione dell’arte,
l’equiparazione della vendita di scritture alla vendita di ortaggi.
La pubblicazione come servizio, i romanzi come volantini o menù di ristoranti.
Così
non è, per me, e non intendo quindi favorire in nessun modo questa
variegata banda di briganti che accumula soldi nella maniera più
bastarda, alle spalle dei deboli, facendo leva su nervi esposti.
Parole sante.
Ma qui, le nostre strade divergono, specie sulle autoproduzioni.
Dopotutto, questo è un piccolo tempio… un pilone votivo, via, sul bordo della supersterrata dell’informazione (information super-dirt-road), dedicato a San Freelancer.
E tuttavia, invece di stare a discettare lungamente e noiosamente sul perché io creda che la seguente affermazione sia per lo meno superficiale e manchi un paio di bersagli importanti…
Se nessuno è disposto a investire energie, tempo, denaro e mezzi nella
vostra opera, è molto probabile (non al 100%, chiaro, ma non posso
occuparmi delle eccezioni) che la vostra opera non riesca a passare la
soglia della mediocrità.
… preferisco affrontare la questione da un punto di vista diverso.
Non ho trascorso strani eoni a meditare sul mio tanden per non averne ricavato un briciolo di illuminazione (a kerosene) e so quindi che è meglio costruire che distruggere.
Lo stesso Elvezio in fondo ammette
Per le autoproduzioni vale il discorso che non esiste un controllo
editoriale professionistico, io da questo punto di vista sento molto la
questione (editing, revisione, cura bozze, impaginazione, copertina ecc
ecc) e l’autoproduzione, per quanto “cattiva” si obblighi di essere,
non sarà mai pari agli schiaffi in faccia che ti molla un editor
imparziale.
Fine delle citazioni e delle chiacchiere.
Veniamo ai fatti.
Regola per sopravvivere: se avete un libro che credete valga la pena infliggere al pubblico ma tanto gli editori maggiori quanto gli editori minori vi snobbano, piuttosto che andare da una vanity press o da uneditore a pagamento, autoproducetevi.
Detto ciò, prima di autoprodurvi, imparate come si fa, e procuratevi gli strumenti adatti.
Per imparare come si fa, esistono dei libri.
Io, per vari motivi, faccio riferimento a manuali in lingua inglese – e se proprio ci si deve conformare ad uno standard, tanto vale conformarsi allo standard più diffuso.
L’Università di Chicago pubblica Getting it Published, di William Germano.
Sottotitolato A guide for scholars and anyone else serious about serious books, è un manuale di editing, formattazione e revisione di testi accademici e divulgativi secondo gli standard internazionali. Viaggia sulle cento e ottanta pagine, è scritto in un inglese accettabile, ed è probabilmente preferibile al comunque imprescindibile Chicago Manual of Style, del quale rappresenta una summa.
In italiano dovrebbe esistere qualcosa di simile pubblicato da Zanichelli (e probabilmente costosissimo).
Line by Line, di C.K. Cook (Houghton Miffling) è un manuale di editing per autori – insegna cosa guardare e come per migliorare la prosa edeliminare errori ed inconsistenze.
E’ poi assolutamente essenziale leggere But What of Earth, di Piers Anthony, ma a quello dedicherò un post a parte.
A questo punto preveniamo un’osservazione ingenua – ma non bastano gli strumenti di Microsoft Word?
NO.
E Word non è proprio una scelta meravigliosa per sistemare il vostro manoscritto per la pubblicazione.
Se lo fosse, non credete che i professionisti lo userebbero?
Word è OK per scrivere la storia, non per pubblicarla.
Per mettere insieme un prodotto dignitoso sdestinato al pubblico esistono dei software adatti – e la buona notizia è che spesso sono gratuiti.
Io di solito consiglio Scribus: è gratuito, multiplatform e ampiamente collaudato.
Ciò che non è – intuitivo.
Ma è la vostra settimana fortunata – la rivista Full Circle sta pubblicando una serie di articoli su come utilizzare proprio Scribus.
I tutorial sono mirati agli utenti Ubuntu, ma Scribus funziona allo stesso modo su tutte le piattaforme.
Full Circle è gratuita, e la trovate anche in italiano.
Se invece volete buttarvi e fare il gran salto, diventando editori indipendenti (e perché no?), allora prima o poi incontrerete LaTeX.
E allora tanto vale incontrarlo subito.
Le buone notizie – LaTeX è gratuito.
Le cattive notizie – è molto meno intuitivo di Scribus.
Però trovate davvero un sacco di documentazione in rete – la pagina di Wikipedia è un buon punto di partenza.
Il prodotto finale andrà trasformato in .pdf per la distribuzione in rete o per portarlo comodamente al tipografo di nostra fiducia.
Questa è la parte più complicata – gran parte delle copisterie faticano ad andare oltre il formato A4 per le rilegature “serie”.
anche se nessuno vi impedisce di dare ai vostri prodotti un taglio cyberpunk, pubblicando volumi rilegati a spirale.
Ma l’uscita in formato elettronico non deve essere trascurata – e in caso di vendita, vi serviranno un indirizzo e-mail dedicato per gli ordini (Gmail?) un modo per gestire i pagamenti (PayPal?) ed un sistema per watermarkare i file .pdf.
Se il vostro volume è davvero buono (ma DAVVERO buono), non trascurate l’eventualità di pagare qualche euro e metterci un codice ISBN.
In questo modo, anche senza avere un distributore aggressivo (scordatevelo – a meno che vostro zio non faccia il distributore, un distributore non lo avrete mai come autoprodotti) i vostri libri saranno reperibili in rete, e le librerie on-line ve ne richiederanno copia a fronte di ordini.
Resta il problema che Elvezio ha inchiodato con una sola battuta…
l’autoproduzione, per quanto “cattiva” si obblighi di essere,
non sarà mai pari agli schiaffi in faccia che ti molla un editor
imparziale
Vero.
Verissimo.
Ciò che sarebbe auspicabile – e che non ha una colossale difficoltà pratica di messa in opera – è la creazione di un network di autori autoprodotti, all’interno del quale ciascuno possa agire da imparziale editor degli altri.
Gli effetti positivi sarebbero notevoli – il network diventerebbe implicitamente un editore con un catalogo.
Sarebbe più facile attirare l’attenzione, pù facile generare interesse – organizzare letture, presentazioni…
Da soli, tutto diventa infinitamente più difficile.
Oh, un’ultima cosa – evitate stupide strategie pubblicitarie.
Di quelle, magari, ne parliamo poi.
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