strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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L’occhio del padrone ingrassa il cavallo

India_Himalayas_Manali_BusMentre voi leggete questo post, io sono da qualche parte fra Alessandria ed Urbino, per l’ennesima trasferta.
Dieci ore di treno – tra andata e ritorno – due ore di corriera, una corsa in taxi e una in pulmino, una notte in collegio, una cena da qualche parte, un boccone domani a pranzo (probabilmente) al bar della stazione di Pesaro.
E lì in mezzo, un po’ più avanti, un po’ più indietro, un’ora di lezione da seguire.

Sta diventando pesante.
Non solo dal punto di vista economico (com’è che mi siedo in taxi, e fanno già 3 euro e 70?) ma anche dal punto di vista della fatica – che non viene certo aiutata dalla cattiva salute che negli ultimi due mesi mi ha perseguitato.
E poi si spezza il ritmo, si spezza la settimana.
E trattandosi di lezioni fuori calendario, non è possibile programmare le proprie attività con più di una settimana di margine – per quel che ne so, domani potrei scoprire di dover essere nuovamente a Urbino lunedì.

E in tutto questo, mi trovo a riflettere su quanto sarebbe facile gestire le lezioni che devo seguire attraverso semplici videoconferenze.

Grossomodo con ciò che spendo per una trasferta (nell’arco di un anno ne sono previste non meno di otto), sarebbe possibile acquistare l’hardware – una webcam, un microfono direzionale, un hard-disk da dedicare solo allo stoccaggio dei dati.
Considerando che le lezioni sono già presentate sotto forma di power-point da PC, basterebbe attivare un semplice programma di condivisione…*

BigBlueButton, per dire, non pare male: fornisce opzioni di registrazione e playback, lavagna condivisa, software di presentazione, desktop sharing, supporta webcam e voip…
È open source e non sembra richiedere un diploma in tecnica audiovisiva per essere utilizzato.

Sarebbe una passeggiata – docenti e studenti concordano un’ora, si connettono, discutono, condividono, e poi possono persino scaricarsi una copia della lezione.
Bello liscio.

Distance_Learning

Ma c’è questo freno – lo stesso, immagino, che frena la diffusione del telelavoro**.
Se non mi vedono lì, seduto al banco, a prendere appunti con la mia biro sul mio notes, rimane il dubbio che io non stia seguendo sul serio.
E poi, e poi…
Chessò, potrei essere in calzoni corti e canotta, magari nel cortile di casa, magari con una bella coppa di gelato, o un tot di donnine discinte (capita, sapete, quando si lavora in remoto…) – anziché essere concentrato e coinvolto, seduto su una sedia scomoda, circondato da rudi geologi.
auckland-universityE se il in cui devo trovarmi è a cinquecento chilometri da casa, in un posto mal servito dai mezzi pubblici, e mi obbliga a buttare trentasei ore per ogni ora di lezione…
Beh, in fondo non sarà poi questa gran cosa, no?

Intanto, nelle serate libere, seguo lezioni da Stanford, dal MIT, dall’Università di Aukland.
Posti che, oltretutto, sarebbero forse più divertenti da visitare della stazione di Pesaro.

Comunque, ci si vede domani in serata.
Spero.

————————————————————–

* Ho una mezza idea di farmi un salvadanaio, e alla fine del mio lavoro a Urbino, coi quattrini risparmiati donare all’ateneo tutto il necessario per fare corsi in remoto.
Sarebbe un bel gesto, credo.

** Ricordo un amico al quale, alla proposta del telelavoro, il principale disse “Noi ti paghiamo per stare in ufficio otto ore al giorno”.
L’importante è avere le idee chiare.


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Per non soccombere al caos

Apriamo la settimana con un post utilitaristico.
Ci saranno un sacco di link.

Forse per tenere a bada il panico del futuro indefinito, ho un sacco, ma proprio un sacco di cose sul piatto.
Facciamo un elenco, volete?

A livello accademico
. la tesi di dottorato da scrivere, ovviamente, prima e fondamentale
. la documentazione da raccogliere e consegnare in segreteria entro la scadenza per iscriversi all’esame
. almeno due articoli da pubblicare riguardo al mio lavoro di ricerca
. e un incontro con dei potenziali finanziatori per futuri sviluppi.

A livello para-accademico
. la prima stesura della mia Guida alla Storia Naturale della Valle Belbo
. due lezioni da preparare per l’università della terza età di un comune vicino
. una manciata di ipotesi di corsi proposti ad una scuola locale
. un ciclo di tre conferenze da organizzare per l’inverno ’12/’13
. un articolo su scrittura, arte e meditazione per una rivista americana
. il corso di taoismo che parte fra cinque giorni!
. varie ed eventuali

A livello diportistico
. chiudere la seconda stesura della storia per Hydropunk
. partire con una nuova storia di Rebel Yell
. tre progetti per giochi di ruolo
. un nuovo agile volumetto (segretissimo)
. un paio di nuove idee che…

… oltre naturalmente a gestire questo blog, ed a contribuire a Il Futuro è Tornato.
Ed ammesso che mi vogliano ancora, continuare a recensire noir e thriller per l’Indice dei Libri.

Alla voce extra…
. la revisione della statistica Bayesiana al fine di mettere in piedi un corso post-doc
. ho ripreso in mano lo spagnolo (poi riprenderò in mano il francese e poi, per chiudere, il giapponese)

Wow!

Continua a leggere


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Giocare via Web – un’occhiata al software

Bene, seconda puntata delle mie riflessioni sul giocare di ruolo via web.

Mi prendo in apertura un minuto per ringraziare e disinnescare momentaneamente tutti coloro che mi hanno contattato per poter partecipare al più presto alle mie partite online… non ho idea di se e quando partirò con qualcosa di questo genere.
Tocca pazientare.
Per ora, sto solo mettendo giù un po’ di idee.
Come si vedrà di seguito, mettere in piedi una cosa di questo genere costa lavoro, e tempo.

Detto ciò, concentriamoci sui due approcci possibili al gioco di ruolo online.

  • attraverso una piattaforma definita
  • usando il classico spirito del bricoleur

E voi già sapete quale dei due sistemi preferisco.
Ma procediamo con ordine.

In una normale partita di gioco di ruolo, cinque o sei – o quindici! – giocatori si sistemano attorno ad un tavolo, si muniscono di dadi, matite, carta riciclata per appunti, bibite, cibarie diverse, e giocano per alcune ore…(*)
Parlano fra di loro, ascoltano le informazioni fornite dal master, occasionalmente lanciano dadi, raccolgono, leggono e commentano handout e indizi, disegnano o annotano mappe.
Alcuni usano miniature per simulare le situazioni più complicate.
Bello liscio.

Nel gioco via web, i giocatori sono sparsi per il pianeta.
Nel secolo scorso partecipai ad una partita via mail nella quali il master stava in California, ed i giocatori erano in Italia, Germania, Gran Bretagna e Giappone.
Giocammo Walker in the Wastes per Call of Cthulhu e fu divertente – anche se piuttosto lungo.
Nel gioco via web non c’è il tavolo, e non c’è l’interazone fra giocatori che il tavolo garantisce.
Tocca trovare il modo di emulare queste interazioni. Continua a leggere


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E-reader – possibilità e probabilità

Scippo con piacere un bel filmato dal blog di Cyberluke, ben sapendo che interesserà alcuni dei miei visitatori abituali, abbinato ad un tranquillo pork chop express del weekend.
Tanto per cambiare, si parla di editoria cartacea ed elettronica.
E di un breve film di fantascienza

[non potete lamentarvi, è bilingue]

Facciamo qualche considerazione volante.
Tutte le tecnologie mostrate nel filmato sono attualmente disponibili sul mercato – ed in effetti ne ho una quantità caricate sul mio netbook, e ne ho parlato in passato: Squeak + Sophie per l’editoria partecipativa e multimediale, Giver per la condivisione di file su rete locale, Scribus per la produzione di testi tradizionali…

Il vero oggetto del futuro è casomai il supporto hardware, snello, piacevole, robusto.  E soprattutto dotato di una carica illimitata (batterie solari nella copertina?) ed una memoria di dimensioni ragguardevoli.
[Uno dei modelli presentati somiglia in maniera sospetta ad un iPhone, ma sorvoleremo su questo dettaglio.]
Un oggetto di questo genere costerebbe uno sproposito.
Forse.
Se l’esperienza fatta con il progetto One Laptop per Child ha qualche valore, possiamo essere certi che il prototipo di una simile macchina costerebbe uno sterminio, ma poi entrando in produzione a grandi volumi, i prezzi si abbasserebbero in breve tempo; come diceva Nicholas Negroponte, quando si apre la discussione con “Ce ne servono centomila pezzi entro due anni”, anche la Lenovo viene a miti consigli.
Anche qui, le tecnologie esistono, si tratta solo di combinarle nella maniera più efficiente ed economica.

Risolto il problema hardware, essendo pressocché inesistente o comunque secondario il problema software, restano due grandi scogli.
I contenuti e l’utenza.

Partiamo con l’utenza – io credo che l’immagine più rivoluzionaria mostrata dal film qui sopra sia quella dell’autore che ha il controllo assoluto della propria opera, la completa, la manda all’editor, e dopo una settimana è pronta per lo scarico.
E lui riesce anche a campare più che degnamente (per quanto in una casa arredata all’IKEA), ed a concedersi qualche svago.
Io dubito fortemente che gli editori – certi editori soprattutto – rinuncerebbero con tanta simpatia al proprio controllo sull’opera dell’autore.
Ciò che infatti è sottointeso nel filmato è una marginalizzazione della figura dell’editore – a centro scena ci sono l’autore, l’editor, l’illustratore, il libraio.
Che è poi abbastanza normale.
Potremmo immaginare una sorta di coworking – analogico o digitale – fra autori, traduttori, editor ed artisti, tutti freelance, tutti partecipi per quote proporzionali ai guadagni del progetto, che si appoggiano ad una rete di librai e micropresses POD su scala nazionale o internazionale, sulla base di accordi chiari ed univoci.
Si sposterebbero e si venderebbero solo elettroni.
Cessando di essere centrale la figura dell’editore, e quella altrettanto essenziale del distributore (allo stato attuale, per lo meno in italia, normalmente due facce della stessa azienda), scompaiono naturalmente anche i loro introiti.
Crediamo davvero che sia possibile?

L’idea è meravigliosa – poiché immagina testi di alta qualità a bassissimo costo in formato elettronico, e piccole tirature a stampa gestite dai librai, e il grosso del costo dei volumi che finisce nelle tasche di autori, artisti, editor, librai…
Crediamo davvero che le case editrici favorirebbero una simile situazione?

Certo, è possibile immaginare una soluzione radicale – la diffusione degli e-reader che porta all’estinzione degli editori, poiché autori e artisti potrebbero a quel punto scavalcarli a pié pari.
Crediamo davvero che le case editrici accetterebbero di scomparire senza combattere?

E qui entra in gioco un’altra faccenda pelosa – la componente legale e burocratica della fruizione letteraria.
Considerando che la SIAE storce il naso se ordino dischi di artisti giapponesi direttamente dal Giappone (perché qui comunque non li troverei) – e vorrebbe davvero che io acquistassi i bollini SIAE e mettessi in regola la mia collezione – come reagirebbe al fatto che io vada a scaricare un testo in fiammingo a Bruges, e poi ne ordini una stampata (tradotta nella mia lingua) qui sotto casa?
C’è un confine di mezzo – uno che l’unificazione europea non ha cancellato.
E consderando che non posso – per una convoluta ma piuttosto facile da capire faccenda legale tutta nostrana- mettere in piedi una mia radio via web, come potrei diventare editore di me stesso e vedere salvaguardati i miei diritti?
Ed a questo punto, considerata la forte commistione fra editoria e politica, come
possiamo immaginare evolverebbe il panorama legale nel momento in cui dovesse sorgere una tecnologia in grado di scalzare e di fatto uccidere gli editori, o obbligarli ad una radicale ristrutturazione della propria attività?

Il problema di fondo, quindi, parrebbe non essere né di natura tecnologica, né di natura culturale (si noti che il filmato non postula l’estinzione del cartaceo, solo un riassestamento della fruizione), bensì di natura strettamente economica e, per riflesso, politica.
Per lo meno nelle fasi iniziali – diciamo per la prima generazione – l’utenza verrebbe probabilmente ostacolata da politiche miranti a mantenere i prezzi dei lettori elevati, ed a dare tempo all’editoria tradizionale di operare una transizione pilotata e non traumatica verso nuove strutture che mantengano tuttavia attivi i monopoli preesistenti.

Insomma, agli editori piacerebbe moltissimo poter continuare a vendere elettroni invece di carta, allo stesso prezzo, e continuando ad intascarsi la stessa fetta.
E se sostengono il contrario, mentono.

E quanto ai contenuti.
Il filmato mostra l’efficacia di un mezzo come l’e-reader del futuro per la fruizione di manuali, guide, o come piattaforma per la compilazione di testi e dispense.
Questo parrebbe in linea con la vecchia idea di Guy Kawasaki, secondo il quale l’e-reader sarebbe ideale per avere sempre sottomano una copia aggiornata e consultabile interattivamente del Chicago Manual of Style – un’idea ripresa da Seth Godin quando si dichiarava favorevole al Kindle a patto che Amazon ci caricasse sopra i suoi libri gratis.
Sarebbe davvero l’e-reader la piattaforma ideale per leggere romanzi e poesie?
Beh, si dirà, nel momento in cui non dovessero esserci alternative…
Ma se le alternative esistessero?
Anche qui, credo che il primo, principale impiego dell’e-reader – a parte lo sfoggio come status symbol da parte di quelli che devono sempre avere l’ultimo gadget prima di tutti gli altri – sarebbe in campo didattico e professionale.
Ciò giustificherebbe i prezzi alti.
La letteratura verrebbe dopo.
Grossi blocchi editoriali permettendo.

Quindi, dovendo rispondere alla domanda espressa dal titolo del filmato qui sopra…
Sul fatto che sia possibile non ci sono dubbi.
Sul fatto che sia probabile – credo sarà una corsa in salita.

Non confondiamoci – mi piace il futuro mostrato dal film, e vorrei già esserci.
Come dicevo, potremmo già esserci tutti.
Se non ci siamo, la colpa non è né di chi scrive, né di chi legge.

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Ubuntu Netbook Remix – e poi?

Dopo una ventina di giorni dall’acquisto del mio netbook, è giunto finalmente il momento di porsi la domanda essenziale – cosa diavolo me ne faccio, di un netbook?
Specie considerando che ho un computer portatile che è ormai una macchina oliata alla perfezione (beh, quasi) per fare ciò di cui ho bisogno.
Però, l’hai voluta la bicicletta?
E adesso pedala.
E poi, dai, a qualcosa servirà…

Di fatto, il netbook, col suo peso ridottissimo, è di per se un’ottima scusa per non scammellarsi il portatile in giro ad ogni pié sospinto.
Rispetto alla solita chiave USB con caricato Portable Apps (ormai indispensabile), il netbook torna utile qualora io debba fare qualcosa di più premeditato e definito che mettere in piedi una copia del mio ufficio on the road in caso di emergenza; posso usarlo per impostare presentazioni, per tenere in ordine i miei appunti, per lavorare anche sul treno o in qualche località esotica. Il sistema deve permettermi quindi di avere il necessario per lo svolgimento del mio lavoro e poco più, il tutto sul suo miserrimo hard disk allo stato solido.
Ne consegue una accurata lista della spesa.
Applicazioni collaudate, utili, leggere in termini di spazio occupato su disco – con un occhio all’interoperabilità ed alla ridondanza.

Sistema operativo, si è detto, Ubuntu Netbook Remix – che è poi una versione rielaborata dell’ultimo Ubuntu 9.04.
Ad alcuni non piace l’interfaccia, ma le prestazioni sono comunque ottimali.
E non è Windows.
UNR si installa con una serie di software precaricati.
OpenOffice 3 fornisce tutte le funzioni basilari per la gestione del lavoro – elaboratore testi, foglio di calcolo, software per presentazioni, database, disegno.
Potrebbe bastare, ma non basta.
Ci aggiungiamo Gnumeric, che rispetto ad OpenCalc ha molte più funzioni statistiche.
Ci aggiungiamo gLabels, che è piccolino e stampa etichette e biglietti da visita personalizzati.
E poi… VUE (Visual Understanding Environment) è un software alternativo per creare presentazioni – è ancora un po’ legnosetto, ma i risultati possono essere spettacolari; FreeMind serve per creare mappe mentali – ne ho parlato spesso, negli ultimi tempi; Note Tomboy è utile per buttare giù apunti alla svelta, e costruire outline di lavori diversi.
Xpad fornisce dei post-it da piazzare sullo schermo – ottimi per pro-memoria volanti.
E per finire un diario/organizer – RedNotebook funziona alla perfezione – e una rubrica per segnare i contatti – Rubrica appunto.

Se sono in giro per il mondo, voglio poter comunicare con i miei contatti, in qualsiasi forma possibile.

UNR ha di default Firefox, attraverso il quale posso verificare la mia posta su Gmail. Aggiungo un paio di plugin per la posta, Greasemonkey per gli script, e ScribeFire per poter gestire il mio blog, così come FireFTP per il file transfer (anche se ormai è considerato antico).
Già che ci sono, customizzo il look di Firefox eliminando le Toolbar di navigazione e dei Bookmark, spostando tutto l’indispensabile nella barra del menù, ed implementando TinyMenu e un tema compatto. All-in-One Sidebar è un altro ottimo componente aggiuntivo. Lo scopo è rendere disponibile il massimo spazio sullo schermo alla navigazione.
Poi è sempre bene avere un back-up: è vero che lo spazio scarseggia, su questo piccolo hard-disk, ma una copia di Opera la carico ugualmente – per quelle occasioni in cui Firefox ci lascia a piedi.
Wicd serve per risolvere eventuali problemi di connessione wifi o LAN.
Mentre ci sono, elimino Evolution Mail dal menù (e se ci riesco dall’hard disk) perché non mi serve.
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Comunicare, si diceva.
Pidgin mi permette di gestire da un’unica interfaccia la messaggistica: IRC, GoogleChat, Facebook Chat, Yahoo, MSN… La parte veramente noiosa è impostare sul nuovo Pidgin tutti gli account che ho sul computer di casa – al momento se esiste uno strumento per la sincronizzazione, non l’ho ancora scoperto. Ma è una minuzia.
Oh, già, Liferea, per restare in contatto con i feed che leggo regolarmente. Stesso problema di sincronizzazione come per Pidgin, ma non è così grave.
Skype lo adoperano tutti, o così dicono.
Non mi piace particolarmente, ma lo carico, insieme con Ekiga, che fa le stesse cose (meglio) per un diverso circuito di comunicazione.radioage10-55
Butto una manciata di euro e acquisto un set di cuffie e microfono a bottone, con le quali oltre a parlare su Skype o Ekiga, posso anche ascoltare la musica.
Questo significa caricare XBMC e VLC sulla macchina.
Li userò poco, ma sono entrambi inaffondabili. E poi, poco… conentrambi è possibile anche ascoltare stazioni radio in streaming…
Un rudimentale registratore di suoni è già installato, e potrò usarlo per registrare eventuali presentazioni altrui.

Grafica – si potrebbe rendere necessario sistemare alcune immagini alla svelta.
Considerando costi e benefici, GIMP ha tutto quello che serve.
È pesante, ma ci può stare.
Resta da discutere Picasa – che potrebbe servire, visto che di solito mi sposto con la fotocamera digitale. Bisogna valutare i pro (potenzialmente utile) con i contro (pesante).

Impossibile rinunciare a Wine – per far girare le applicazioni Windows.
Già che ci siamo, aggiungiamo UbuntuTweak, per la manutenzione minima del sistema.

C’altro?
Kompozer, oppure BlueFish, oppure il Web Developer plugin per Firefox – perché potrebbe essere necessario mettere in piedi alla svelta una pagina web e non sempre il blocco note è la scelta più comoda.

Il tutto, con un po’ di attenzione, in circa quattro giga di hard disk, forse un po’ di più.

A questo punto, nella cartella Documenti, si crea una sottocartella nella quale si scaricano copie del curriculum, un foglio di biglietti da visita, e l’eventuale modulistica minima necessaria per il lavoro.
In una cartella a parte metteremo invece i lavori in corso sui quali vogliamo poter lavorare anche on the road.
Una cartella di letture diverse per il tempo libero potrebbe sostituire/complementare l’immancabile Grosso Paperback per le nostre trasferte.
In Musica mettiamo non più di quattro dischi campionati in maniera non ossessiva (circa 300 mega in totale) – è una di quelle classiche situazioni da isola deserta, e ci accontenteremo di una pulizia del suono da vinile d’antan…
In Immagini mettiamo uno sfondo alternativo a quello – un po’ deprimente – di Ubuntu.

Sarebbe bello metterci anche R e Squeak, ma lo spazio è quel che è – se non sono strettamente necessari…

Fatto!
Mancano naturalmente i software da lavoro essenziali per ciascuno (io ci metterò PAST, una tabella stratigrafica, una tavola periodica) – ma l’elenco di software visto fin qui dovrebbe garantire un’elevata produttività anche a fronte di un hard disk minuscolo.

Prossimo passo – acquistare un alimentatore a celle solari per ovviare alla vita breve della batteria e rendere davvero mobile tutto il sistema…

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Ancora Software per Chi Scrive

La scrittura è – anche – un insieme di processi più o meno ordinati.
Non sorprende quindi se esistono dei software sviluppati per aiutare chi scrive a gestire la parte meccanica ed organizzativa del processo di scrittura.
Alcuni li abbiamo già citati.
Alla fine la scelta è dell’utente – e questioni quali la personalità e il look & feel (già citato in un commento recente ad un altro post) hanno la loro importanza.

Scopro adesso un software di produzione svizzera (per lo meno a giudicare dall’indirizzo del sito web) che fornisce una opzione in più a coloro che volessero automatizzare i processi meccanici della propria scrittura.
Si chiama Storybook, è open source ed è disponibile gratuitamente sia per Windows che per Linux – di fatto, gira su Java.
Il programma permette di tracciare una outline del nostro lavoro, favorisce la suddivisione in capitoli e – cosa piuttosto interessante – sembra permettere l’impostazione di una struttura cronologica diversa da quella della successione numerica dei capitoli.
Insomma, se vogliamo scrivere una storia zeppa di flashback e quant’altro, Storybook ci aiuta a non perderci.
Ed in effetti, la possibilità di delineare diversi “strand” nella nostra storia permette lo sviluppo di trame piuttosto complesse senza troppo sforzo e rappresenta forse il magior punto di interesse di questo programma, peraltro molto completo.
Ci sono poi il database di personaggi, location e scene, e la possibilità di visualizzare il prodotto finito.
I risultati possono essere esportati in una quantità di formati – dal .txt al .pdf passando per r.rtf e .htm.
Ed è possibile analizzare statisticamente il proprio lavoro (quante volte compare un certo personaggio?).

Come sempre, un simile prodotto non garantisce la qualità della scrittura.
Ma, a seconda delle inclinazioni personali, potrebbe aiutare alcuni a migliorarla – liberandoli dall’incombenza di mantenere l’ordine fra le proprie annotazioni, ad esempio.

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Ancora software per pensare

Raccogliere le idee, pianificare.

Un rapido inventario

  • Sticky Notes – per piazzare post-it e pro-memoria sullo schermo
  • KOrganizer – agenda elettronica
  • Note Tomboy – note veloci in sequenza, linkate fra loro, per creare strutture, outline, collezioni di idee
  • Zim Desktop Wiki – per creare testi in forma di wiki
  • FreeMind – per creare mappe mentali, ottimo per progettare siti web o approfondire trame intricate
  • VUE – mappe concettuali più presentazioni multimediali, ottimo per corsi e conferenze

Ed ora, la versione 2.0 di ThinkingRock, un semplice aggeggio in Java che utilizza la metodologia Getting Things Done (GTD), per raccogliere e organizzare le idee volanti e le cose da fare.
Non esattamente immediato ma una volta appreso diventa facile, ThinkingRock è gratuito e crossplatform.

GTD, un procedimento gestionale sviluppato da David Allen nel 1983, non è fatto per tutti, ma è possibile implementarne una versione anche parziale per mettere ordine nelle troppe attività di chi si ritrova a fare tre lavori contemporaneamente.


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Farsi un libro

Prendo l’avvio, come già in passato, dall’ultimo post dell’ottimo Elvezio Sciallis.

da questo momento in poi non intendo più parlare, scrivere news o
recensire prodotti in qualche modo collegati con gli editori a
pagamento, print on demand, autoproduzioni e satelliti vari di questa protogalassia.

Una brutta notizia.
L’adozione di un metodo di pubblicazione eterodosso è spesso una necessità per gli esordienti, e la recensione di un critico acuto, feroce ed onesto è quanto di meglio possa sperare chi, per scelte eterodosse, non ha potuto avvalersi di editor, revisori, comitati editoriali.

Mi dispiace quindi che Elvezio decida di lasciare ancora più soli quegli autori che, per sua stessa ammissione, sono lasciati soli dai propri editori.

non riesco ad accettare la completa mercificazione dell’arte,
l’equiparazione della vendita di scritture alla vendita di ortaggi.
La pubblicazione come servizio, i romanzi come volantini o menù di ristoranti.
Così
non è, per me, e non intendo quindi favorire in nessun modo questa
variegata banda di briganti che accumula soldi nella maniera più
bastarda, alle spalle dei deboli, facendo leva su nervi esposti.

Parole sante.
Ma qui, le nostre strade divergono, specie sulle autoproduzioni.
Dopotutto, questo è un piccolo tempio… un pilone votivo, via, sul bordo della supersterrata dell’informazione (information super-dirt-road), dedicato a San Freelancer.

E tuttavia, invece di stare a discettare lungamente e noiosamente sul perché io creda che la seguente affermazione sia per lo meno superficiale e manchi un paio di bersagli importanti…

Se nessuno è disposto a investire energie, tempo, denaro e mezzi nella
vostra opera, è molto probabile (non al 100%, chiaro, ma non posso
occuparmi delle eccezioni) che la vostra opera non riesca a passare la
soglia della mediocrità.

… preferisco affrontare la questione da un punto di vista diverso.
Non ho trascorso strani eoni a meditare sul mio tanden per non averne ricavato un briciolo di illuminazione (a kerosene) e so quindi che è meglio costruire che distruggere.
Lo stesso Elvezio in fondo ammette

Per le autoproduzioni vale il discorso che non esiste un controllo
editoriale professionistico, io da questo punto di vista sento molto la
questione (editing, revisione, cura bozze, impaginazione, copertina ecc
ecc) e l’autoproduzione, per quanto “cattiva” si obblighi di essere,
non sarà mai pari agli schiaffi in faccia che ti molla un editor
imparziale.

Fine delle citazioni e delle chiacchiere.
Veniamo ai fatti.

Regola per sopravvivere: se avete un libro che credete valga la pena infliggere al pubblico ma tanto gli editori maggiori quanto gli editori minori vi snobbano, piuttosto che andare da una vanity press o da uneditore a pagamento, autoproducetevi.

Detto ciò, prima di autoprodurvi, imparate come si fa, e procuratevi gli strumenti adatti.

Per imparare come si fa, esistono dei libri.
Io, per vari motivi, faccio riferimento a manuali in lingua inglese – e se proprio ci si deve conformare ad uno standard, tanto vale conformarsi allo standard più diffuso.

L’Università di Chicago pubblica Getting it Published, di William Germano.
Sottotitolato A guide for scholars and anyone else serious about serious books, è un manuale di editing, formattazione e revisione di testi accademici e divulgativi secondo gli standard internazionali. Viaggia sulle cento e ottanta pagine, è scritto in un inglese accettabile, ed è probabilmente preferibile al comunque imprescindibile Chicago Manual of Style, del quale rappresenta una summa.
In italiano dovrebbe esistere qualcosa di simile pubblicato da Zanichelli (e probabilmente costosissimo).
Line by Line, di C.K. Cook (Houghton Miffling) è un manuale di editing per autori – insegna cosa guardare e come per migliorare la prosa edeliminare errori ed inconsistenze.
E’ poi assolutamente essenziale leggere But What of Earth, di Piers Anthony, ma a quello dedicherò un post a parte.

A questo punto preveniamo un’osservazione ingenua – ma non bastano gli strumenti di Microsoft Word?
NO.

E Word non è proprio una scelta meravigliosa per sistemare il vostro manoscritto per la pubblicazione.
Se lo fosse, non credete che i professionisti lo userebbero?
Word è OK per scrivere la storia, non per pubblicarla.
Per mettere insieme un prodotto dignitoso sdestinato al pubblico esistono dei software adatti – e la buona notizia è che spesso sono gratuiti.

Io di solito consiglio Scribus: è gratuito, multiplatform e ampiamente collaudato.
Ciò che non è – intuitivo.
Ma è la vostra settimana fortunata – la rivista Full Circle sta pubblicando una serie di articoli su come utilizzare proprio Scribus.
I tutorial sono mirati agli utenti Ubuntu, ma Scribus funziona allo stesso modo su tutte le piattaforme.
Full Circle è gratuita, e la trovate anche in italiano.

Se invece volete buttarvi e fare il gran salto, diventando editori indipendenti (e perché no?), allora prima o poi incontrerete LaTeX.
E allora tanto vale incontrarlo subito.
Le buone notizie – LaTeX è gratuito.
Le cattive notizie – è molto meno intuitivo di Scribus.
Però trovate davvero un sacco di documentazione in rete – la pagina di Wikipedia è un buon punto di partenza.

Il prodotto finale andrà trasformato in .pdf per la distribuzione in rete o per portarlo comodamente al tipografo di nostra fiducia.
Questa è la parte più complicata – gran parte delle copisterie faticano ad andare oltre il formato A4 per le rilegature “serie”.
anche se nessuno vi impedisce di dare ai vostri prodotti un taglio cyberpunk, pubblicando volumi rilegati a spirale.
Ma l’uscita in formato elettronico non deve essere trascurata – e in caso di vendita, vi serviranno un indirizzo e-mail dedicato per gli ordini (Gmail?) un modo per gestire i pagamenti (PayPal?) ed un sistema per watermarkare i file .pdf.

Se il vostro volume è davvero buono (ma DAVVERO buono), non trascurate l’eventualità di pagare qualche euro e metterci un codice ISBN.
In questo modo, anche senza avere un distributore aggressivo (scordatevelo – a meno che vostro zio non faccia il distributore, un distributore non lo avrete mai come autoprodotti) i vostri libri saranno reperibili in rete, e le librerie on-line ve ne richiederanno copia a fronte di ordini.

Resta il problema che Elvezio ha inchiodato con una sola battuta…

l’autoproduzione, per quanto “cattiva” si obblighi di essere,
non sarà mai pari agli schiaffi in faccia che ti molla un editor
imparziale

Vero.
Verissimo.

Ciò che sarebbe auspicabile – e che non ha una colossale difficoltà pratica di messa in opera – è la creazione di un network di autori autoprodotti, all’interno del quale ciascuno possa agire da imparziale editor degli altri.
Gli effetti positivi sarebbero notevoli – il network diventerebbe implicitamente un editore con un catalogo.
Sarebbe più facile attirare l’attenzione, pù facile generare interesse – organizzare letture, presentazioni…
Da soli, tutto diventa infinitamente più difficile.

Oh, un’ultima cosa – evitate stupide strategie pubblicitarie.
Di quelle, magari, ne parliamo poi.

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