In prospettiva, il lavoro su Capitan Futuro, se garantì a Edmond Hamilton una certa sicurezza economica, ne segnò la carriera letteraria in maniera meno che lusinghiera.
Capitan Futuro era narrativa a formula, nella sua forma più grezza – l’eroe, con la sua squadra di assistenti improbabili (i Futuremen – un robot, un androide, un cervello in scatola), che affrontava un misterioso avversario che in ciascun romanzo lo avrebbe intrappolato, e lui sarebbe per tre volte riuscito a fuggire prima della conclusione finale.
Quello, e il pessimo giudizio consegnato ai posteri da H.P. Lovecraft sulla prosa di Hamilton, hanno fatto sì che negli ultimi anni soprattutto, questo autore ed i suoi lavori migliori siano un po’ passati nel dimenticatoio.
E tuttavia c’è molto di buono nel catalogo di Edmond Hamilton, e se la trilogia di StarWolf rimane probabilmente uno dei momenti più alti della produzione hamiltoniana (e in quel periodo confuso in cui la fantascienza cominciava a ragionare su se stessa), io ho sempre avuto una grande simpatia per John Gordon, e per la serie dei Sovrani delle Stelle.
Per tutta una serie di buoni motivi.
Ah, già – quanto segue conterrà degli spoiler. Se non avete letto I Sovrani delle Stelle e Ritorno alle Stelle, se intendete leggerli, e se temete che quanto segue possa rovinare il vostro godimento di queste opere, beh… andatevene.
Tuttavia stiamo parlando di fantascienza pulp degli anni ’40 – posso davvero rovinarvi la sorpresa? Continua a leggere