Continuiamo col diario di questo crowdfunding per Hope & Glory, mentre la data del lancio si avvicina inesorabile. È davvero steampunk, Hope & Glory? La prima volta che mi sono sentito chiedere in che modo Hope & Glory sarebbe steampunk è stato nel 2016, in una diretta con Lucca, dove si trovavano Gionata dal Farra di GGStudio (alias, l’editore) e Angelo Montanini (alias, l’artista), che aveva creato i bozzetti dei costumi per alcune delle culture presenti nel mondo di gioco.
Ma dove sarebbe l’elemento steam in tutto questo?
Perché è vero, la prima cosa della quale mi pare il caso di parlare, quando parlo di Hope & Glory, è la varietà culturale del setting: c’è il Raj Anglo-Indiano scaturito dalla fusione di cultura vittoriana e cultura indiana; c’è la Cina dei Taiping con la sua polizia psichica ela sua teocrazia pseudo-cristiana; c’è la Russia nella quale la popolazione si sta inesorabilmente separando in Eloi e Morlock; c’è la Federazione Africana che ha buttato i colonialisti fuori a calci e si è trovata un posto fra le Grandi Potenze. E ci sono i giapponesi della Repubblica di Iezo che combattono contro i kaiju. Perché io valgo.
Riprendiamo le trasmissioni con l’anno nuovo.
E cominciamo a parlare del futuro, vale a dire degli ultimi cinque anni.
Ho trascorso la giornata della Befana ascoltando vecchi dischi, pianificando un paio di esperimenti in porogramma per i prossimni giorni, e leggendo What’s the Future of Work? di Tim O’Reilly.
Il sottotitolo Esplorando la trasformazione economica avviata da software e connettività è abbastanza chiaro: il libro di O’reilly guarda a come nuovi modi di organizzare, amministrare e coordinare il lavoro abbiano inciso sull’economia e sulla vita degli individui, e come questo impatto si espanderà nel futuro.
“My grandfather wouldn’t recognize what I do as work.”
Per chi se lo fosse perso, Tim O’Reilly è il fondatore della O’Reilly Media, quelli che pubblicano tutti quei manuali tecnici e libri di informatica. O’Reilly è anche l’organizzatore di un certo numero di conferenze annuali sullo stato dell’arte della tecnologia e dell’economia e si occupa in particolare di tenere d’occhio gli alpha geek, vale a dire quelle persone che, sviluppando o adottando per prime nuove tecnologie e soluzioni, fanno da apripista per gli sviluppi a venire.
Mica robetta. Continua a leggere →
L’avete saputo anche voi, vero?
La notizia è di un paio di giorni or sono: pare che il più grave pericolo per la nostra civiltà… di più, per la nostra specie, non sia costituito da integralisti religiosi avidi di potere, speculatori dementi che si sgozzerebbero da soli per guadagnare cinquanta centesimi in più e psicotici assortiti.
No, la vera grave minaccia che incombe su noi tutti è rappresentata dalla scienza.
Sì, la scienza, quella cosa difficile e complicata che piace agli sfigati (qui ci vorrebbero le risate registrate in sottofondo) che palesemente non serve a nulla se non a minacciarci tutti.
OK, ora prendetevi un paio di minuti per smettere di ridere e poi, se volete, andate avanti.
L’avvento del formato digitale in editoria ha causato un cambiamento drastico nel modo in cui i libri si scrivono, si pubblicano, si vendono e si leggono.
E se l’essenza resta la stessa – c’è una narrativa più o meno lineare che io dispongo sulla pagina, e che poi viene trasferita al lettore – tutto il resto comporta delle trasformazioni.
E non solo trasformazioni logistiche: azzerati i costi di magazzino, azzerati i costi di distribuzione.
Anche trasformazioni di fatto: penso alla rinascita di generi di nicchia (penso al movimento new pulp, ad esempio) e di formati che si pensavano superati (le novelle, i romanzi brevi).
La libertà e a varietà garantite dall’autopubblicazione rappresentano un cambiamento epocale nella creazione letteraria.
Restano tuttavia delle potenzialità che non sono state sviluppate – per una quantità di motivi.
Fra queste, si segnalano due autentici fallimenti del medium. Continua a leggere →
alcuni di noi fanno qualcosa della propria vita
altri, la vita li usa come esempio
Che non è proprio una cosa gentile.
Ma il fatto è che io in questi giorni, ragionando sui miei tre anni di lavoro di ricerca, sto giungendo alla conclusione che, in Italia, nel 2012, il mio progetto di ricerca, sulla generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili, e nello specifico mediante generatori idroelettrici, abbia più un valore didattico e culturale che non pratico e applicativo.
Il che mi caccerà certamente nei guai quando verrà il momento di discutere la mia tesi, ma c’è poco da fare.
La storia ha fatto del micro-hydro, ora, nel nostro paese, un esempio.
E per una volta, potrebbe non essere male**.
Il titolo di questo post è una formula ideata da J.G. Ballard. Si trova all’interno di uno strano libro che mi è appena cascato (si fa per dire) sulla scrivania, complice un rivenditore web che me ne ha procurata una copia di seconda mano.
Pubblicato da Thames & Hudson, solidi editori nel settore dell’arte, dell’architettura e dell’archeologia, il volume si intitola Formulas for Now, ed è curato da Hans Ulrich Obrist. Ha una spaventosa costola fuchsia, copertine di catone da imballaggio heavy-duty foderate di carta color acquamarina (l’immagine qui di fianco falsa i colori riducendo l’orrore) e se l’esterno ricorda un incubo anni ’80, l’interno è, visivamente, molto molto più complicato ed entusiasmante. L’idea è semplice – ilcuratore del volume ha chiesto ad un certo numero di scienziati, scrittori ed artisti di fornire una formula fondamentale, al fine di compilare un massiccio prontuario al quale l’uomo del ventunesimo secolo (che sarei io, che sareste voi) possa rivolgersi per trovare delle risposte. O al limite delle nuove domande. Il risultato è divertente e, come dicevo, complicato. J.G. Ballard fornisce la formula del futuro. Mike Moorcock le formule per lastesura di Mother London e dei romanzi del ciclo del colonnello Pyat. Richard Dawkins la formula per calcolare la potenza delle teorie scientifiche Stewart Brand la formula strutturale della civiltà. Enzo Mari il diagramma per i livelli di realtà. Loris Greaud la formula per fare fuochi d’artificio silenziosi. Ryoji Ikeda la formula e la teoria dell’irriducibilità. Marina Abramovic presenta la formula del genio (che si trova anche sulla copertina, epotete leggere qui di fianco).
E così via, per cento e rotti esempi – schegge di scienza fin troppo avanzata, saggezza spicciola, paradossi, umorismo. Anche il Gatto di Schrodinger fà una comparsata. Il tutto condito da fotografie, schizzi, disegni (imperdibile il disegno-formula del curriculum vitae in forma di corda tesa da acrobata). Un libro strano, difficilmente classificabile, a volte irritante, ma che promette di fornire un sacco di materiale per le mie prossime imprese. Diurne e notturne.
science – and its handmaiden, technology – are changing so fast that it is impossible for science fiction to keep up
Niente di nuovo sotto il sole – lo stesso ragionamento venne sottoposto dai giornalisti della RAI a Fruttero & Lucentini il giorno dello sbarco sulla Luna.
Son passati quarant’anni.
Il lato interessante dell’iniziativa di New Scientist è che, dopo un articolo sostanzialmente sciapo, la palla viene passata a sei saggi, che possono dire la loro e sollevare la discussione dalla sua banalità di fondo.
I sei scrittori interpellati da New Scientist sono Margaret Atwood (che così implicitamente ammette in pubblico di essere un’autrice di fanascienza), Stephen Baxter, William Gibson, Ursula K. LeGuin, Kim Stanley Robinson e Nick Sagan.
Alcune delle loro osservazioni sono notevoli, e meritano di essere ripetute.
William Gibson riesce quasi a diventarmi simpatico quando afferma
The single most useful thing I’ve learned from science fiction is that
every present moment, always, is someone else’s past and someone else’s future. […] I grew up in a monoculture – one I found highly problematic – and science fiction afforded me a degree of lifesaving cultural perspective
I’d never have had otherwise
E davvero, a parte i soliti imbecilli – che tendono ad infiltrarsi ovunque, ahimé – è facile affermare che la maggioranza dei lettori di fantascienza che ho avuto modo di conoscere tende ad avere una visione del mondo molto più ampia e flessibile della media.
E poi siamo l’unica categoria che si occupi monoliticamente e “istituzionalmente” di futuro.
A chi volete chiedere come sarà il futuro?
Ai politici?
Agli industriali?
Ed è paradossale, questa nostra ossessione per il futuro, se ciò che sostiene Stephen Baxter è vero (come io credo che sia)
science fiction has – rarely – been about the prediction of a definite future, more about the anxieties and dreams of the present in
which it is written. In H. G. Wells‘s day the great shock of evolutionary theory was working its way through society, so Wells’s 1895 classic The Time Machine is not really a prediction of the year 802,701 AD but an anguished meditation on the implications of Darwinism for humanity.
Noi non siamo quindi così interessati al futuro “grezzo”, quanto all’estensione delle nostre conoscenze, esperienze e convinzioni nel futuro.
Il che ci lascia comunque un paio di passi avanti rispetto a chi quelle conoscenze, esperienze e convinzioni dovrebbe/vorrebbe controllarle, o indirizzarle.
Gli appassionati di fantascienza non hanno paura del mondo che cambia.
E certo che cambia in fretta, perciò è lecito (anche se banale) domandarsi se nel futuro la fantascienza esisterà ancora come tale.
Ma qui arriva Kim Stanley Robinson a tagliare corta la discussione…
Science fiction is now simply realism, the definition of our time. You could imagine the genre therefore melting into everything else and disappearing. But stories will always be set in the future, it being such an interesting space, and there is a publishing category devoted to them. So there is a future for science fiction.
È in fondo il vecchio sogno degli appassionati emarginati.
Ora siamo noi la norma.
The future is thus a kind of attenuating peninsula, running forward with steep drops to both sides. There isn’t any possibility of muddling
through with some good and some bad; we either solve the problems or fail disastrously. It’s either utopia or catastrophe. Science fiction is good at both these modes. Will it be fun too? Fun, entertaining, provocative. Yes.
Il futuro è adesso.
Abbiamo vinto.
… per lo meno sulla carta.