Ci sono cose curiose.
Stamani la postina mi consegna il primo numero del mio nuovo abbonamento a Nature.
Nature, per chi se la fosse persa, è al momento la principale rivista settimanale di scienza – si gioca con Scientific American il titolo di vetrina ideale per le pubblicazioni scientifiche, e costituisce il gold standard della letteratura accademica*.
Ciò che è curioso è che questo numero di Nature – uscito il 18 del mese – a parte avere in copertina un topotalpa nudo (odiosa bestiaccia), dedica un ampio spazio al digitale in ambito didattico.
Perché è curioso?
Nature dedica dieci pagine scritte fittissime all’argomento didattica digitale, ed aggiunge una sezione specifica mirata alle offerte di lavoro nel digital learning; in Italia, negli stessi giorni, decidiamo che l’adozione degli ebook come libri di testo – in fondo un passo banale, semplice, quasi ovvio – non succederà: che i ragazzini continuino a scarrozzarsi ottanta chili di libri di testo.
Ora, io non sono così coinvolto nella didattica, perciò mi mancano certamente le informazioni “dall’interno” sul problema.
La forte impressione, tuttavia, è che l’argomento “ebook a scuola” sia stato dirottato su un binario morto come accadde, a metà anni ’90, all’argomento “telelavoro”.
Sono state create commissioni di studio sui pro e contro del “fenomeno”.
Si sono tenute dotte conferenze.
Sono stati pubblicati studi che nessuno di fatto si è letto.
E si è continuato come sempre.
I pendolari prendono il treno, i ragazzini si scammellano i libri.
Al contempo – altra impressione selvatica – si sono promosse le forme esteriori della “rivoluzione”.
Tutte le aziende sono cablate, e i dipendenti prigionieri in ufficio giocano a Warcraft online.
Ci sono le lavagne digitali in tutte le aule nelle quali gli studenti annotano a margine libri cartacei.
Leggerò con estremo interesse il condensato di Nature sullo stato dell’arte – e in particolare la guida alle strategie per la definizione di corsi online e spazi virtuali per la didattica.
E spulcerò le proposte di lavoro.
Tutto, naturalmente, pensando a paesi che non sonoil nostro.
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* Sì, possiamo piangere e dire che in fondo Nature e Scientific American ormai fanno popular science, pubblicano sulla base del “wow factor” e bla bla bla.
Ho sentito un sacco di gente lamentarsi di questo – di solito gente che non ha mai pubblicato più in là della Rivista dell’Accademia Portorecanatese di Matematica Applicata.