strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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Imparare da MacDonald

JohnDMacDonaldL’integrità non è un condizionale. Non soffia nel vento e non cambia come cambia il tempo, e se ci guardi e vedi un uomo che non imbroglia, allora sai che non lo farà mai. L’integrità non è una ricerca per la ricompensa dell’integrità. Magari tutto ciò che ne ricaverai sarà il più gran calcio in culo che il mondo possa rifilarti. Non si parte dal presupposto che sia un fattore produttivo.

Questo è John D. MacDonald.
Ne ho parlato spesso in passato – avevo anche cominciato a fare un post per ciascuno dei suoi romanzi di Travis McGee, ma poi non interessavano a nessuno.

John D. MacDonald è uno di quegli autori che si leggono per tre possibili motivi. Continua a leggere


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One for the road

Cominciamo con un effetto speciale – questo post, a tema lavorativo, esce in parallelo con il post di oggi di Alex Girola, su Plutonia Experiment, che vi invito a leggere.
Questo scambio di link è sulla fiducia – io credo che ciò che dirà Alex di là complementi quello che io dirò di qua, e viceversa.
 Anche se non abbiamo preso accordi di alcun genere, e non ci siamo letti vicendevolmente prima di scambiarci i link.
Vediamo se funziona.

Detto ciò, ci sono due libri all’origine di questo post.
Il primo, è uno dei migliori manuali per viaggiatori che io abbia mai letto, l’ha scritto un tale che si chiama Rolf Potts e si intitola Vagabonding.
Esiste sia in inglese che in italiano.
Illustra una filosofia di viaggio che è minimalista, responsabile, avventurosa, intelligente.
È vivamente consigliato, ed è propedeutico al contenuto di questo post.

Il secondo non è un libro, ma una serie di libri – i romanzi di Jack Reacher, scriti dall’inglese Lee Child.
Pubblicate anche in Italia, le storie di Reacher seguono le avventure di un ex militare – Jack Reacher appunto – durante i suoi vagabondaggi per gli Stati Uniti.
Si tratta di thriller polizieschi ben scritti, con un protagonista ultracompetente ma simpatico, azione frenetica, buone trame.
E quest’idea – che avendo un piccolo gruzzolo da parte, e nessun legame solido, sia possibile lasciarsi tutto alle spalle, partire a piedi in una certa direzione, ed andare avanti, così, per sempre.
Che è poi una variante del vecchio sistema di Travis McGee – godersi la pensione quando ancora si hanno le capacità fisiche ed intellettuali per farlo, in periodi di diporto interrotti da brevi, intense, dolorosamente necessarie pause lavorative.

OK, abbiamo messo giù bibliografia e base filosofica.
Passiamo all’ipotesi di lavoro – e se mollassi tutto e me ne andassi?
No, davvero!

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Leggere per sopravvivere

È Natale fuori stagione.

La cosa è partita da lontano, da una discussione sui personaggi che amiamo, cominciata qui di fianco, nel braccio femminile del Blocco C della Blogsfera, sul blog della Clarina.

In un commento mi è venuta fuori una frase che mi ha dato da pensare…

Poi, ok, Elvis Cole mi ha insegnato un sacco di cose.
Così come Travis McGee.

E così mi è venuta questa mezza idea di fare una top five dei personaggi dai quali ho imparato qualcosa, e cosa ho imparato.
Ma poi l’idea è deragliata.
Ecco perché…

Perché scavando nel web ho fatto una scoperta interessantissima.
Un breve saggio scritto nel 1985 da John D. MacDonald,. l’uomo dalla macchina per scrivere rovente.
Il Centro per il Libro della Biblioteca del Congresso aveva chiesto a MacDonald di scrivere un breve saggio sull’importanza della lettura, e lui ci aveva lavorato un po’, giungendo infine alla conclusione che il modo migliore per gestire la cosa era di costruire il saggio come un dialogo fra Travis McGee e il suo amico Meyer.

Il tema sarà il terribile isolamento del nonlettore, la sua vita priva di significato o sostanza perché non riesce a comprendere il mondo in cui vive.
Il modo migliore per far sì che le mie parole cadano utili su orecchie sorde è di usare un linguaggio così colorito che sarà citato, prima o poi, alla gran maggioranza dei nonlettori.

Una cosa discorsiva, semplice.
Una dozzina di pagine di dattiloscritto.
Il titolo era Reading for Survival.
Fu l’ultime cosa pubblicata da John D. MacDonald.

“Too dark for reading.” I said.
“I wasn’t reading, Travis.”
“Please excuse me. My mistake. You had the book open and you were staring down at the pages and I thought… foolishly enough…”
“I was thinking about something. A passage in the book started me thinking about something.”
“Like what?”

Il volumetto venne stampato come fascicolo e distribuito gratuitamente dalla Biblioteca del Congresso.
Per un breve periodo circolò poi in rete come pdf.
E stanotte, con mia somma gioia, ne ho trovata una copia disponibile gratuitamente.

Dodici pagine di .doc.
È incredibile.
Una gran densità di idee, informazioni, scienza, cultura… il vecchio pulpster John D. MacDonald dimostra di essere un uomo di una cultura e di una erudizione straordinari, un grande divulgatore scientifico.
Insospettabile.
E tutto passa attraverso un dialogo perfettamente strutturato, ben ritmato, divertente.
È agli atti che a me questa idea della narrativa come veicolo di divulgazione piace, ed affascina.

Se solo avessi il tempo per tradurlo…

“Okay then,” I said finally. “Back in prehistory man learned and remembered everything he had to know about survival in his world. Then he invented so many tricks and tools, he had to invent writing. More stuff got written down than any man could possibly remember. Or use. Books are artificial memory. And it’s there when you want it. But for just surviving, you don’t need the books. Not any more.”
He nodded. “So why are we doing such a poor job surviving as a species, Travis?”
“Last I heard there were five billion of us.”
“In greater danger with each passing day.”
“Is this going to turn into one of your bomb lectures?”

Anche stanotte, ho imparato un sacco di cose da TravisMcGee.
John D. MacDonald era un grande.

Oh, già, che scemo – potete scaricare il testo originale da qui.


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Cinque polizieschi per la spiaggia

Io d’estate vado in vacanza (di solito in cortile, o sul balcone, o sotto ad un albero su qualche collina ventilata) e leggo polizieschi.
Ci sono in effetti due soli periodi dell’anno in cui mi dedico alla lettura prevalente di gialli, mysteries, cozies, dell’occasionale noir per puro ed esclusivo diporto – l’estate nel periodo delle ferie, e l’inverno a cavallo fra Natale e la Befana*.

Così, trovandomi nella necessità di fare un pezzo non troppo barboso per questo giovedì, mi sono detto… ma sì, cinque titoli di cinque polizieschi, roba leggera che si trovi anche da noi, che si possano impacchettare in valigia, portare sulla spiaggia, e via, una bella lettura estiva.
Cinque serie, soprattutto – che sia poi possibile proseguire se il personaggio acchiappa.
Possibilmente cose che non avete ancora letto.

Vediamo…
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The Quick Red Fox

“McGee, there is every identification here except the right one.”
“Cards are needed to do a favor for a friend?”

Un favore ad un’amica.
McGee userà spesso, quell’espressione – in The Quick Red Fox ed in molti altri romanzi.
Ma è in questo romanzo che la terrificante ironia di quest’espressione familiare dimostra tutta la propria potenza.

Lysa Dean è un’attrice di successo ed una carriera stellare pronta a dischiudersi, insieme con un succoso matrimonio.
Ma qualcuno ha delle foto molto compromettenti di Lysa, scattate con un teleobiettivo durante quattro giorni di orgia sfrenata e continuativa sul terrazzo di una villeta isolata.
Lysa ha già ceduto al ricatto, ma ora le minacce del ricattatore rischiano di mettere in pericolo le nozze imminenti.
Poi, un amico comune menziona Travis McGee e la sua insolita attività.

The Quick Red Fox, quarto romanzo della serie di Travis MCGee e quarto pubblicato nel corso del 1964, è in effetti il primo vero romanzo di McGee scritto da John D. MacDonald.
I tre titoli precedenti sono rielaborazioni di trame lasciate in sospeso dall’autore, lavori fermi sul fondo di un cassetto e prontamente resuscitati all’offerta della Fawcett di pubblicare una serie.
Ed è infatti impossibile non notare una certa disomogeneità nelle trame e nelle situazioni dei primi tre romanzi.
Con Quick Red Fox, MacDonald mette finalmente in macchina un foglio di carta con l’esplicita intenzione di scrivere una storia di Travis McGee – visto il successo delle precedenti.
E se per atteggiamento e disposizione d’animo il McGee di Red è affine a quello inizialmente incontrato in The Deep Blue Good-bye, è anche vero che elementi diversi vengono recuperati da Nightmare in Pink (la rete di favori che rende McGee una delle centomila persone reali) e da A Purple Place for Dying (Meyer viene citato una seconda volta, e ne otteniamo anche una descrizione fisica).
Di Purple, Red replica (ma non imita) poi la trama complessa e ingegnosa.

Ma il vero elemento che, introdotto nei primi tre romanzi, arriva finalmente al compimento in questo volume è la divagazione socio-politica del protagonista – che non esita a prendersi pagine e pagine non per discutere di indizi, moventi e sospetti, ma per esprimere opinioni sulla società americana in evoluzione.
Il cambiamento è nell’aria, qualcosa si muove all’orizzonte, preannunciato da musicisti coi capelli lunghi e dalla speranza in una generazione che saprà rivolgere alla precedente le domande antipatiche.

You see, Virginia, there really is a Santa Rosita, full of plastic people, in plastic houses, in areas noduled by the vast basketry of their shopping centers. But do not blame them for being so tiresome and so utterly satisfied with themselves. Because, you see, there is no one left to tell them what they are and what they really should be doing.
The dullest wire services the world has ever seen fill their little monopoly newspapers with self-congratulatory pap. Their radio is unspeakable. Their television is geared to a minimal approval by thirty million of them. And anything thirty million people like, aside from their more private functions, is bound to be bad. Their schools are group-adjustment centers, fashioned to shame the rebellious. Their churches are weekly votes of confidence in God. Their politicians are enormously likable, never saying a cross word. The goods they buy grow increasingly more shoddy each year, though brighter in color. For those who still read, they make do, for the most part, with the portentous gruntings of Uris, Wouk, Rand and others of that same witless ilk. Their magazine fare is fashioned by nervous committees.
You see, dear, there is no one left to ask them a single troublesome question. Such as: Where have you been and where are you going and is it worth it.
They are the Undisturbed. The Sleep-Lovers.

L’esplosione dei sobborghi, delle comunità omologate, è un bersaglio d’elezione, per Travis McGee, che in futuro aggiungerà delle preoccupazioni ambientali al proprio già nutrito bagaglio di antipatie.

In the meanwhile, Virginia, Santa Rosita still exists, and it is as if some cynical genius had designed a huge complex penal colony in the sunshine, eliminating the need for guard towers and barbed wire by merely beaming a gigantic electronic message at the inmates, day and night, saying, You are in heaven! Be happy! If you can’t be happy there, you can’t be happy anywhere! Vote! Consume! Donate! And don’t forget to use your number.

La molto vocale antipatia di McGee verso le carte di credito percolerà pochi anni dopo nella vita dello stesso John D. MacDonald, che resterà a lungo impelagato in un contenzioso con una società di credito per delle ipotetiche spese (mai effettuate) non pagate.
MacDonald arriverà – poco saggiamente – a minacciare la compagnia di carte di credito con lo spauracchio di Travis McGee; immaginate c he danno d’immagine, se in un romanzo di McGee la vostra compagnia venisse pubblicamente accusata di cattive pratiche.
La minaccia, cadde nel nulla – forse perché le frecciate alle carte di credito, alle banche, alle compagnie di costruzioni ed alle mille entità senza volto intente a spartirsi l’America erano ormai al di là di ogni valore intimidatorio.

Costruito sulla base di una premessa – i quattro giorni di sesso e alcool all’origine del ricatto – molto più scollacciata di quelle incontrate nei romanzi precedenti, Red titilla lo spettatore senza di fatto concedergli nulla.
Il contenuto delle immagini compromettenti viene lasciato alla fantasia del lettore, ma offre ancora una volta l’occasione a McGee per alcune riflessioni…

But something still bothered me, something I could not quite define. So I took them out and shuffled through them again. The clue was there. It was the terrible loneliness on their faces. Each one of them, in all that lazy confusion of intimacies, in that lexicon of clinical descriptions, looked utterly, desperately alone.
And they were beautiful people. Lysa Dean was the featured player in every shot, and her body was as superb as its promise.
I felt as if I had glimpsed the edge of some great paradox. The grotesque ultimate of togetherness is the final loneliness of the human spirit. And once you had been that far out on that barren limb, there was no chance of ever coming all the way back.

Gli anni delle playmate stanno per finire, e per McGee non sarà mai troppo presto.

Non manca, naturalmente, il personaggio femminile danneggiato e bisognoso di assistenza, che ritroverà la salute mentale ed emotiva e la gioia di vivere a letto col nostro eroe, per il piacere dei suoi lettori della prima ora.
Oggi, la capacità di McGee di mettere tutto a posto con una buona nottata di sesso all’antica ci pare sciocca, e ridicola, almeno quanto la tirata che in Red ci viene ammannita riguardo all’improvviso proliferare dell’omosessualità femminile (ed a ben guardare, tutta la scena relativa).
Sono i dettagli che sono invecchiati male e che strappano un sorriso se non una smorfia di fastidio.
Ed è un peccato, perché Dana è forse la partner migliore, fin qui, fra quelle che hanno condiviso il letto e le indagini di McGee, e Quick Red Fox è un romanzo superiore ai precedenti.

Ma a rendere davvero speciale questo quarto/primo romanzo della serie, a parte la risoluzione dell’intrigo poliziesco, è il quadro finale, con McGee che scopre, e tocca con mano, quanto amaramente ironico possa essere quel modo di dire.
Aiutare un’amica.

Eppure, come…? Possibile che non te lo aspettassi, McGee?

Per il prossimo giro… A Deadly Shade of Gold.


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A Purple Place for Dying

Alcune persone hanno un talento. Dovunque lei vada, che sia dannato, sembra capitare qualccosa. E poi si impiccerebbe comunque, vero?

Fred Buckelberry, sceriffo ad Esmerelda, uno sbirro in fondoa posto, ha un sacco di problemi.
Siamo ormai oltre le 220 pagine di A Purple Place for Dying, e la soluzione non si vede ancora all’orizzonte.
E Travis McGee non gli è proprio esageratamente simpatico.

Terzo romanzo della serie di Travis McGee e terzo volume pubblicato nel 1964 da John D. MacDonald, A Purple Place for Dying è un romanzo forse troppo ingegnoso per il proprio bene.
Dopo il semplice confronto col Male di Deep-Blue Good-bye e l’intrigo pulp “alla Fu Manchu” di Nightmare in Pink, il nuovo romanzo di McGee sembra inoltrarsi nelle atmosfere rarefatte del poliziesco investigativo classico.
Dopo essersi ripreso dagli “spettri e rimorsi” lasciatigli dall’ultima avventura, Travis è di nuovo lontano dal mare, dalla sua barca e dalla Florida, e si muove fra i paesaggi rocciosi dell’Arizona (presumibilmente – i riferimenti geografici sono volutamente vaghi).
Travis è qui, per valutare se sia il caso di accettare il lavoro prospettato da Mona Yeoman, ma le cose si complicano alla svelta – qualcuno abbatte Mona Yeoman con un colpo di fucile di precisione, ma poi lascia fuggire McGee senza attaccarlo.
Unico testimone di un omicidio che apparentemente nessuno ha commesso (il cadavere di Mona scompare), McGee inizia ad indagare per conto proprio nella comunità di latifondisti della zona, alla ricerca di un movente, e di una spiegazione – perché lasciarlo in vita dopo l’omicidio?

La struttura di A Purple Place for Dying è ingegnosa.
Un omicidio, un mistero, nessun movente apparente.
Mentre gli effetti della presenza di McGee sul luogo del delitto si allargano come anelli sull’acqua dopo che c’è cascato un sasso, altri personaggi vengono coinvolti nell’azione.
C’è il marito di Mona – il monolitico e non completamente scrupoloso Jass Yeoman.
C’è il professor John webb, scomparso contemporaneamente all’omicidio, e ipoteticamente fuggito con Mona.
C’è Isobel Webb, sorella del professore, nuovo esempio di giovane donna traumatizzata e bisognosa delle attenzioni del nostro eroe.
manca un movente.
Manca un sospetto.
È una questione di soldi?
Di vecchi rancori?
Perché montare una falsa fuga romantica per coprire l’omicidio di Mona, e poi lasciare in vita un testimone?

Le peregrinazioni di McGee nella fittizia comunità di Esmerelda permettono a MacDopnald di dedicare un ampio spazio alla descrizione di una città e di una comunità sull’orlo del collasso.
Il fabisogno idrico della città è coperto dal pompaggio di acque fossili, spiega uno dei personaggi, e quando l’acqua si esaurirà, i campi ed i pascoli torneranno ad essere deserto – ma per tutta risposta l’amministrazione continua a favorire l’immigrazione, facendo crescere il consumo idrico.
Contemporaneamente, MacDonald ha lo spazio sufficiente per mettere a frutto i propri studi di economia e spiegare – in poche battute – come funzioni un sistema di scatole cinesi per l’evasione fiscale ed il trasferimento di fondi neri intersocietari (dettagli ed osservazioni sull’economia diverranno più frequenti e approfonditi nei romanzi successivi, con l’inroduzione del personaggio di Meyer, che viene citato in questo volume per la prima volta).
E mano a mano che il paesaggio di corruzione strisciante si amplia, ancora manca una valida soluzione per il caso.

È qui, probabilmente, che il format Gold Medal al quale John D. MacDonald doveva conformarsi danneggia il libro.
Sarebbe bello avere cinquecento pagine per sviluppare al meglio un grande affresco di malversazioni, corruzione e rancori covati per anni fra vecchi speculatori.
Ma i tempi inclazano, tocca chiudere.
Fate entrare un uomo con la pistola, suggeriva Chandler.
MacDonald è stato un buon allievo – e fa entrare un uomo con un coltello.
E poi due uomini col fucile:
Senza contare un thermos di caffé alla stricnina.
La trama prende velocità, si passa all’azione, fino alla chiusura, con un confronto fra le rocce del deserto in cui ancora una volta McGee si troverà a fronteggiare avversari dall’astuzia e dalla crudeltà al limite dell’animale.

La chiusura è ragionevole, per quanto melodrammatica, ma non completamente soddisfacente.
A Purple Place for Dying è un romanzo ingegnoso che ci titilla e ci incuriosisce, ma in ultima analisi non riesce a mantenere le promesse fatte.
Si discosta inoltre dal modello fin qui collaudato in quanto sembra volerci risparmiare fino alla fine il lungo capitolo nel quale Travis McGee applica il proprio “sexual healing” (per dirla con Marvyn Gaye) alla protagonista danneggiata di turno.
Ma MacDonald dedica l’ultimo capitolo proprio alla redenzione sessuale della imbronciata Isobel Webb – accontentando così i fautori delle “men’s adventures stories” che non lo leggevano per l’intreccio poliziesco.

Quasi unromanzo di transizione, quindi.
Prossima fermata – The Quick Red Fox.


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John D. MacDonald in Italiano

Mentre prosegue il progettodi lettura e annotazione di tutti e 21 i romanzi di Travis McGee, la mia frequentazione di John D. MacDonald mi porta a scoprire facende incresciose.

Non esiste, allo stato attuale, una bibliografia completa delle traduzioni in italiano delle opere dell’autore americano.
Non online, per lo meno.

È proprio a partire da un recente scambio di email con un altro appassionato che mi si è incuneata nel cranio quest’idea di fare l’impossibile – compilare anche una bibliografia italiana di John D. MacDonald.

Quella che segue, quindi, è la versione 1.0 della bibliografia, per chiunque abbia voglia di farsi una passeggiata per bancarelle e librerie dell’usato e cercare di rintracciare i lavori di questo eccellente narratore americano, a suo tempo citato da Damon Knight come esempio standard di buona prosa narrativa.

Seguiranno, spero, aggiornamenti.

John D. MacDonald in Italiano  (versione 1.0, marzo 2010)

TravisMcGee:
* Il sudario verde (Bright Orange for the Shroud) (1965) Garzanti, 1969
* La sirena reticente (Darker than Amber) (1966) Il Giallo Mondadori n. 1105 5 aprile 1970
* La morte viene dal Messico (A deadly shade of gold), Garzanti, 1968. (Garzanti per tutti ; 170)
* Un silenzio rosso sangue (A Tan and Sandy Silence) (1972) Il Giallo Mondadori n. 1527 11 aprile 1976
* Sette cadaveri per Macgee (The Dreadful Lemon Sky) (1975) Il Giallo Mondadori n. 1419 7 maggio 1978
* Un uomo in mare per Travis McGee (The Empty Copper Sea) (1978) Il Giallo Mondadori n. 1655 19 ottobre 1990
* Requiem per la mia donna (The Green Ripper) (1979) Il Giallo Mondadori n. 1696 2 agosto 1981
* A corpo morto (Free Fall in Crimson) (1981) Il Giallo Mondadori n. 1922 1 dicembre 1985

Romanzi singoli:
* Giungla al neon (The Neon Jungle) (1953) Il Giallo Mondadori n. 928 13 novembre 1966
* Maledizione sepolta (A Bullet for Cinderella, ripubblicato come On the Make) (1955) Il Giallo Mondadori n. 524 15 febbraio 1959
* Grida forte, grida ora (Cry Hard, Cry Fast) (1956) Robin, 2002 ISBN 887371093X
* Il cane alla catena (April Evil) (1956) Il Giallo Mondadori n. 527 8 marzo 1959
* La morte conta i dollari (The Price of Murder) (1957) Il Giallo Mondadori n. 599 24 luglio 1960
* Branco di lupi (The end of the night, )Il giallo Mondadori n 743, 1964
* Ti ho visto (A Man of Affairs) (1957) Longanesi, 1964
* Il promontorio della paura (The Executioners, ripubblicato come Cape Fear) (1958) A. Mondadori, 1992 ISBN 8804353201
* Colpo jellato (Soft Touch) (1958) Il Giallo Mondadori n. 667 12 novembre 1961
* Branco di lupi (The End of the Night) (1960) Il Giallo Mondadori n. 743 28 aprile 1963
* Non ho paura (Where is Janice Gantry?) (1961) Il Giallo Mondadori n. 784 9 febbraio 1964
Fantascienza:
* Il pianeta dei sognatori (Wine of the Dreamers ) (1951) Martello, 1954

Romanzi incertae saedis:
* Dovere d’uccidere : la morte dal fondo del lago silenzioso (????), Garzanti, 1970 (I Garzanti ; 218)
* Pezzi di ragazza per Travis McGee (the girl in the plain brown wrapper), ????, ????

Buona caccia.


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Nightmare in Pink

“Una volta adoravo Fu Man Chu”, commenta Terry Drummond – certo il personaggio più divertente e soddisfacente del romanzo – verso la fine di Nightmare in Pink.
Ed in effetti c’è, nella seconda parte del secondo romanzo di John D. MacDonald su Travis McGee un forte, fortissimo sentore di pulp d’annata, opportunamente aggiornato agli standard bondiani dell’epoca.
È come se un competente poliziesco scivolasse senza preavviso nel mondo di The Shadow o, appunto, di Fu Man Chu.
ma è più complicato di così.

È ancora il 1964, e la seconda uscita di McGee lo porta a New York, lontano dal sole e dal mare della Florida.
Quasi un pianeta diverso.
Le stanze sono cubicoli, l’infernale ronzio dei condizionatori d’aria è una costante.
La comunità deicreativi e dei pubblicitari è un covo di vipere.
McGee viene trascinato ad una festa

Potevo identificare tutti i tipi – i giovani barbuti, feroci e tristi, e le loro ragazze senza reggiseno e con le ballerine ai piedi, la Checca Petulante, la Danzatrice Orgiastica, il Negro Simbolico, le Coppie Coraggiose, la Lesbica Gelosa, il Comediografo di Grido dell’Anno Venturo, la Ragazza che-più-tardi-rigetterà, il Comunista Simbolico, la Ninfomane Tradizionale, il Turista Entusiasta, ed il Saggio Vecchi Scultore con l’Alitosi.

Cosa ci fa, Trav, in questo posto?
Cominciamo a scoprire in questo romanzo alcuni pezzetti del passato del protagonista.
La guerra in Corea.
Il commiliotone Mike Gibson.
Il fidanzato della sorella di Mike è stato ucciso.
La polizia non ha approfondito, ma Mike – relegato in unletto per le ferite subite in guerra – intuisce che qualcosa non va.
Chi meglio del vecchio amico Travis McGee per dare una scrollata alla ragazza?

Sorvoliamo sul fatto che la giovane Nina Gibson verrà scrollata eccome dal fascinoso avventuriero.
Il vero problema è che il defunto fidanzato ha lasciato alla giovane un pacco di banconote ottenute illecitamente – ma checché ne dica la disillusa e inaridita Nina, la faccenda non quadra.
McGee si mette quindi all’opera per scoprire la verità.

La verità lo farà rinchiudere in un manicomio, perpetuamente stordito da stupefacenti sperimentali, con la prospettiva di essere lobotomizzato alla fine della facenda.

Ci sono tutti gli ingredienti per un pessimo romanzetto, ma MacDonald riesce aduscirne con una certa classe.
L’abilità consiste nel costruire un traballante impianto investigativo nella prima parte, distrarre il lettore dall’ingenuità di fondo usando Nina Gibson ed ilsuo legame col protagonista, e poi far crollare l’indagine, con conseguenze catastrofiche per McGee.
Al quale viene comunque concessa abbastanza lucidità per rendersi conto (e spiegare al lettore) di quanto ingenuo sia stato il suo approccio al problema.
Siamo stati ingannati con un semplice gioco di prestigio narrativo.
Poi, l’incubo.

Quello del protagonista relegato in una camera imbottita e riempito di sedativi fino agli occhi è un cliché al quale ci hanno abituato due decenni di Hollywood – non c’è una singola serie televisiva da Charlie’s Angels a The Pretender passando per MacGyver che abbia rinunciato ad una variazione sull’accoppiata manicomio/sedativi.
Si tratta del cliché più facile e popolare, probabilmente, dopo quello dell’amnesia in seguito ad un colpo in testa.
A discolpa di MacDonald, possiamo immaginare che l’ideaavesse ancora una certa freschezza nel 1964.
A rendere più sinistra la cosa, il volenteroso staff medico della clinica, pronto a sperimentare su un soggetto sano e robusto come il nostro eroe tutta una serie di variazioni sul tema dell’allucinogeno, e lo spettro della lobotomia frontale.
E se per noi oggi LSD è sinonimo di san Francisco e controcultura, è interessante notare che solo due anni prima di Nightmare in Pink, l’attore Cary Grant – che faceva uso di LSD dal 1958 su consiglio medico – decantò gli effetti positivi dell’acido lisergico a fini terapeutici su Time Magazine, e tenne a riguardo una conferenza all’UCLA.
La percezione del fenomeno, nel 1964, era qualcosa di sostanzialmente diverso (l’LSD sarebbe stato dichiarato illegale solo nel 1968).
Qualcosa di simile vale per la lobotomia – fra gli anni ’40 e gli anni ’50 il rimedio standard per gli stati psicotici (ne vennero praticate circa 20.000 in un decennio, solo negli USA).

E quindi, eccoci al fondo di un’altra avventura di Travis McGee – un’avventura con una grande voglia di Fu Man Chu (non necesariamente un male) ed uno dei cattivi più solidamente amorali mai incontrati nella letteratura di genere.
Nel corso dell’avventura, abbiamo anche avuto la possibilità di osservare la società urbana attraverso gli occhi impietosi di Travis McGee.
E di scoprire ancora una volta l’orrore di McGee non tanto per la violenza fisica, quanto per l’omicidio – nel mondo dell’hard-boiled e del pulp, il rimorso è una merce rara.
Ed abbiamo assistito a per la seconda volta alla redenzione di una donna traumatizzata grazie alle arti amatorie ed alla psicologia spicciola del nostro eroe.
Ma a questo, temo, dovremo abituarci.

Prossimo giro – A Purple Place for Dying.