Riguardavo, l’altra sera, La Valle di Gwangi – film essenziale per il cacciatore di dinosauri.
Diciamola tutta – trova Primeval supremamente noioso, e credo che Terranova sia il peggior rip-off del ciclo del Pliocene di Julian May.
Scordatevi Jurassic Park e tutte le sue permutazioni, e stendiamo un velo pietoso su Carnosaur.
Datemi Gwangi, e io sono tranquillo.
Ray Harryhausen è una garanzia.
Ma non voglio parlare del film – magari in un prossimo post – ma di un paio di idee che la pellicola mi ha suscitato.
Per ora accontentatevi di una trama ultra-condensata: la polposa TJ, nel disperato tentativo di salvare il circo/rodeo di cui è proprietaria, si procura un cavallino nano che desta l’intesse e l’entusiasmo del pubblico Il suo diretto rivale scopre, parlando con un paleontologo (ce n’è sempre uno nei dintorni, in questi film), che il cavallino è un Eohippus, che si considerava estinto da millenni. Il nostro eroe immagina allora che, nel posto da cui proviene quel fossile vivente, ci siano altre meraviglie da mettere in pista per far quattrini. Si reca quindi nella valle di Gwangi, e lì incontra… beh, Gwangi (che sarebbe poi un allosauro, per lo meno nelle intenzioni dello sceneggiatore).
Bello liscio.
Ma…
La domanda chiave è – cosa ci fa, lì, Gwangi?
O, in altri termini, perché ci sono i dinosauri, nella vale dei dinosauri?
Come ci sono arrivati?
E come hanno continuato a prosperare anziché estinguersi?