Ma com’è che non ho una scaffalata di romanzi di Walter Jon Williams?
Me lo domandavo qualche giorno addietro, mentre procedevo nella lettura di This i$ Not a Game, ultima fatica dello scrittore americano.
In effetti, ho una mezza scaffalata di romanzi di Walter Jon Williams.
E mi sono pure piaciuti parecchio.
Mi è piaciuto Hardwired, con il suo cyberpunk da B-movie alla faccia di tutta la pretenziosità di Gibson e Sterling.
E mi è piaciuto ancora di più il sequel, Voice of the Whirlwind, pieno di zen e di ambiguità morali.
Ho letto con gran divertimento Metropolitan.
E poi Aristoi, prestato durante l’università e mai riavuto (ma quanti libri ho sparso per il paese?)
E On Angel Station, nonostante una traduzione che ricordo non proprio coinvolgente.
Mi sono sempre piaciuti i suoi racconti.
E Walter Jon Williams si è pure dimostrato personaggio singolare e piacevole di persona – quando lo contattai per tradurre una sua storia che aveva appena rischiato di vincere il Nebula.
Strana miscela di professionalità e gigionaggine, Williams rimane un autore che leggo sempre con piacere.
L’unica cosa, la produzione di Williams per qualche ragione tende a scivolare facilmente al di sotto del radar.
Ti volti un attimo, e sono passati cinque anni, e ci sono una manciata di nuovi romanzi.
This i$ Not a Game è, in prima battuta, un technothriller.
Charlie, Austin, Dagmar e BJ si sono conosciuti all’università, nel secolo scorso, giocando a Dungeons & Dragons.
Oggi vivono nel mondo del web 2.0, restando comunque legati al mondo dei giochi, con diverse fortune – c’è chi fa un sacco di milioni, c’è chi tira a campare.
Quando un killer uccide uno dei quattro, gli altri tre si mettono al lavoro per rintracciare l’assassino.
Utilizzando le risorse messe a disposizione dalla rete e dai social network legati ai giochi online.
Dalle prime pagine – nelle quali una web-community di geek e giocatori di ruolo batte a man bassa un contractor israeliano nel gestire una crisi in estremo oriente – il romanzo è una lunga carrellata di nuove tecnologie, intrighi e cospirazioni e rete.
Fra un dialogo e l’altro – tutti scritti benissimo – Williams tocca molti argomenti che si sono discussi su questo blog, dal capitale di fiducia che sta alla base di qualsiasi rapporto online al vero significato dell’espressione perdente, passando per gli effetti a lungo termine dell’aver passato un sacco di tempo a giocare.
Il cast del romanzo è composto di geek – alcuni che hanno saputo tramutare il proprio stato in una miniera d’oro, altri che sono rimasti ai blocchi di partenza, altri ai quali non importa.
Williams usa con perizia lo slang di giocatori e utenti web – a limite inventandosi i termini che non ci sono, ma che servirebbero.
Non mancano i riferimenti autobiografici, un paio di giochini accessibili solo a chi frequenta Williams fin dai tempi di Hardwired, un omaggio a Roger Zelazny ed uno a Dune.
Già a suo tempo coinvolto col mondo dei giochi – fu autore del supplemento per Cyberpunk 20.20 basato su Hardwired – Williams mette in campo un campionario di personaggi che chiunque abbia mai lanciato una coppia di dadi da dieci ha conosciuto, e li usa per costruire un buon thriller.
È strano, trovare un pezzo della propria vita in un romanzo – almeno quanto lo è trovarlo in un saggio.
Ma è bello vedere i geek presentati in una luce positiva, anche se all’interno di una storia che si fa sempre più claustrofobica mano a mano che si avanza verso il finale.
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