strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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L’ultimo (libro) dell’anno

la cosa è partita da una discussione, qualche giorno addietro, col mio amico Germano, riguardo a Bruce Lee ed al Jeet Kune Do.
Le conseguenze di questa discussione emergeranno, probabilmente, con l’anno che viene, ma per intanto io mi sono fatto un giro sul catalogo della Shambhala Press, e saltando da una categoria all’altra, mi sono ordinato, per tre euri croccanti, una copia “usata ma in buone condizioni” di Writing Down the Bones, di Natalie Goldberg.

Il libro della Goldberg lo lessi, nell’edizione italiana pubblicata da Ubaldini (la memoria mi dice Astrolabio, ma Google mi dice Ubaldini), ai tempi dell’università, e rimane probabilmente il librosulal scrittura che è più probabile che io consigli se mi viene chiesta un’opinione a riguardo.
L’ho riletto spesso, in questi anni, e mi pareva una buona idea, ora, quasi trent’anni dopo la prima volta, ridargli un’occhiata in originale.
E poiché io i libri sullo zen li compro sempre e solo di seconda mano, ecco la mia copia “usata ma in buone condizioni”.
Questo significa, purtroppo o per fortuna, a seconda di come la volete vedere, che non mi sono potuto procurare l’edizione dle 30° anniversario, ma una copia vetusta della prima edizione.

Nel caso specifico, “usato ma in buone condizioni” significa con la copertina decisamente malandata, con pieghe e sfregi diversi. Le pagine sono ingiallite, piegate e macchiate dall’umidità – la copia è una prima edizione del 1986, ed ha visto un bel po’ d’azione in questi trentasei anni.
Ad una prima occhiata non pare ci siano annotazioni a margine – un peccato, per molti versi.

Writing Down the Bones, che in italiano si intitola Scrivere Zen, è un libro sulla pratica della scrittura come pratica di meditazione, e mira a rimuovere le barriere che eisstono fra la nostra mente e lapagina bianca.
Non perde tempo con lo show-don’t-tell e l’infodump, non tira in ballo Aristotele o Jacques Cousteau, ma si focalizza sull’idea di scrittura come esperienza e come pratica. Sottolinea non solo gli aspetti intellettuali ma anche quelli fisici, dell’atto della scrittura.
È disordinato e sorprendente, perché è stato scritto seguendo i precetti che va ad illustrare.
Ha una voce unica, e delle idee molto interessanti.
Pone una grande enfasi sulla scrittura a mano, con la penna ed il quaderno.
La mano non deve mai fermarsi è uno dei precetti centrali del libro.
Ed è un libro che parla davvero di filosofia zen, a differenza di quell’altro, che c’ha lo zen nel titolo ma non c’entra assolutamente nulla.

Focalizzato com’è sull’atto di scrivere, Writing Down the Bones non fa riferimento a generi, stili, scuole. È adatto allo stesso modo per chi scrive racconti o romanzi, saggi o articoli, per chi vuol semplicemente tenere un diario o scrivere poesie.
È ridotto all’osso, non promette successi commerciali, fama, fortuna e gloria.
Scrivete quello che vi pare, vi dice, e come vi pare. L’importante è continuare a scrivere.
È praticamente perfetto.

È, a modo suo, il primo volume di una trilogia – che comprende anche Wild Mind e The True Secret of Writing … altri due libri usatissimi, qui sul mio scaffale. Mi manca Thunder and Lightning, che scopro esistere solo ora, scrivendo questo post.
Presto, spero… magari come primo libro dell’anno.

È l’ultimo libro del 2022, e paserò qualche ora a rileggerlo, mentre aspetto la mezzanotte.
Poi, magari, nel 2023, parleremo di Jeet Kune Do.
O forse no.

E sì, ci sono link commerciali in questo post, coi proventi dei quali acquisterò, probabilmente, altri libri di seconda mano sulla filosofia zen – o magari sul Jeet Kune Do.


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Come si cammina

Mi hanno regalato un libro.
Sai che novità, mi direte voi.
Ma non ti farà male passare tutto ‘sto tempo a leggere?
Poi perdi la vista.
Perché non esci a fare due passi…

Ecco, mi hanno regalato un libro sul camminare.
È How to Walk di Thich Nhat Hanh.
Ne avevo parlato qui, e un’amica me ne ha regalata una copia.
Io ho delle amiche così. Continua a leggere


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Le regole sono per i deboli

Questo è un post ironico.
Mi pare il caso di dirlo subito, per motivi che diverranno chiari più avanti.

Ieri è successa una cosa curiosa, come strascico del mio post sulle recensioni online.
Il caso ha voluto che, poche ore dopo che il mio post era andato online, su facebook partisse una discussione sullo stesso argomento1.

Nel corso della discussione, un autore ha candidamente ammesso di aver recensito un proprio ebook, dandosi anche una valutazione di cinque stelline.

101_StorieZenOra, alcuni hanno trasecolato alla notizia, ma in prima battuta, la cosa mi ha ricordato quell’aneddoto, credo attribuito a Dogen, e che mi pare si trovi nelle 101 Storie Zen pubblicato da Adelphi.
L’aneddoto fa più o meno così…

Un giorno un tizio entra in una macelleria, e chiede al macellaio quale sia il taglio migliore fra quelli che sono esposti in vendita.
E il macellaio risponde, “Signor mio, nel mio negozio tutti i tagli sono il migliore.”
E sentendo questo, il tizio raggiunge l’illuminazione. Continua a leggere


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A cosa si pensa prima di scrivere

Un post estemporaneo, per il pomeriggio.
Un pork chop express.
La cosa nasce da una chiacchierata fatta ieri con alcuni amici, durante l’ora d’aria, qui nel Blocco C.
Si parlava – indovinate un po’ – di scrittura, ed inparticolare di un paio di autori che ci sono particolarmente odiosi.
No, no, nessuno che conoscete.
Ed è venuto fuori qualcosa di interessante – a dimostrazione che anche dalle chiacchiere più vuote ed inutili, qualcosa di buono si può ricavare.

locandinapg1Ma prima, fatemi divagare un attimo.
C’è un film, una vecchia pellicola degli anni ’80, con Tom Selleck e Paulina Porizkova, intitolato Her Alibi – in Italiano, Alibi Seducente.
Si tratta della storia abbastanza sciocca di un giallista in crisi che decide di dare un alibi ad una giovane donna accusata di omicidio, nella speranza di ricavarne un’ispirazione che ravvivi la sua carriera ormai alla canna del gas.
E lei naturalmente è molto attraente.

Ora, al di là dei meriti e dei demeriti del film – che non è esattamente il massimo – ciò che mi interessa è il modo in cui viene rappresentato il processo creativo del protagonista, che siede al PC (usa un venerando Zenith laptop 8086, macchina che all’epoca costava un capitale ed era quanto più d’avanguardia si potesse immaginare) e comincia a riversare prosa orribile nel word processor, sostanzialmente dando un’aura hard boiled e pacchianissima ai propri eventi domestici.
È una scrittura orribile, chiaramente figlia di un autore che non riesce a dimenticare se stesso quando scrive.
Fa ridere.
Fa molto ridere, a tratti.
È scritto per far ridere.
E fa particolarmente ridere se mai avete conosciuto certe persone che lo fanno per davvero.
La vita imita l’arte, e tutto quel genere di cose.

Per cui torniamo al punto interessante della chiacchierata di ieri – ciò a cui pensiamo quando ci mettiamo a scrivere.

No, ok, lo so, pensiamo alla storia, ciascuno nella sua maniera diversa – e non esiste una maniera giusta o sbagliata.
No, non quello.
Prima.
Più a fondo.

È il solito discorso, in realtà, lo abbiamo già fatto.
Se mi siedo al PC pensando “Ora vi faccio vedere io!” (o peggio ancora “Ora ti faccio vedere io, <nome e cognome>!”), i risultati saranno orripilanti.
sarò ridicolo e pacchianissimo, come Tom Selleck in quel film.
Devo esserne consapevole.

Eppure ci sono quegli autori che pare di vederseli, che si siedono alla tastiera pensando

Eccomi, bello come un dio greco, pronto a illuminare le masse decerebrate dei rudi meccanici con la mia arte, la mia prosa meravigliosa, i miei concetti sublimi! Ah, come sono bello! Sono davvero bello bello bello in maniera assurda! <sospiro>

Che poi scrivano racconti, manuali di scritura o pagine di blog, cambia poco – lo sentite anche voi, quella disperata infatuiazione per se stessi si riversa sulla pagina, quel voler essere loro – e  non la storia – al centro dell’attenzione dei lettori.
Fa inacidire ogni riga, ogni paragrafo.

Il fatto è che se si scrive una storia, o un post, o una lista della spesa, ciò che conta è la storia, o il post, o la lista della spesa.
Non devo scrivere pensando all’immagine che i lettori ricaveranno dell’autore.
Non devo scrivere pensando ai numeri – di battute, di pagine, di parole, di lettori, di hit.
Non devo pensare alle mie vendette o alle mie faide personali.
Non devo – e questo dovremmo averlo imparato al liceo – scrivere per far colpo su una ragazza.
Se scrivo, scrivo.
La storia è la storia, non un piedistallo per il mio ego.
Ed è dura, è durissima, perché di solito chi scrive – anche se scrive solo post su un blog o liste della spesa – ha un ego in qualche modo ingombrante.

Ecco, di questo, siamo finiti a parlare, durante l’ora d’aria di ieri nel Blocco C.
Il che, lo ammetterete anche voi, è molto zen.
E siamo giunti alla conclusione che forse la cosa migliore a cui pensare, quando ci si dispone a scrivere, è…

OK, vediamo adesso cosa succede.


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Sofferenza & Controllo

Scrittura, scrittura.

zencreativityUn sacco di diverse cose si sono sovrapposte e rimescolate, negli ultimi giorni, riguardo alla scrittura: dal parlarne con alcuni amici online, al fatto che ho riletto alcuni capitoli di The Zen of Creativity, di John Daido Loori (in particolare il capitolo sull’espressione dell’inesprimibile), e poi quel bel filmato che gira, di Stephen Fry che parla del piacere del linguaggio contrapposto all’applicazione pedestre e pedante delle regole, fino ad un breve scambio di idee sul concetto di controllo – e di abbandono del medesimo – di là sul blog della mia amica Clarina.

E in effetti è proprio il controllo, la questione centrale di cui mi piacerebbe discutere.
Controllo e scrittura.
Ma anche, perché anche di questo ho chiacchierato, di sofferenza e scrittura, o meglio ancora sofferenza e creatività.

Ecco, parto da qui. Continua a leggere


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Una specie di Zen

È stata una primavera difficile.
Prima i problemi di circolazione, poi una lunga e noiosa influenza, poi le continue trasferte, la fatica.
E le visite, i controlli medici, e tutto il resto.
Il fisico scricchiola ma non è compromesso, ma la fatica si riflette sul morale, e si rimane fiacchi e spompi.
Sarebbe bello farsi delle lunghe passeggiate, ma il clima non è esattamente adatto all’andare a camminare per strade sterrate.

In attesa che il tempo si sistemi e io possa riprendere a fare un po’ di tai chi nel cortile, per il divertimento dei vicini e l’imbarazzo mortale di mio padre, ho rimesso mano alla pratica della meditazione.zen
Ripulisce le sinapsi.
Scaccia la malinconia.
Stimola la creatività.
Riporta sotto controllo la pressione sanguigna.
Mantiene giovani.
Ed è, naturalmente, perfettamente legale.

Ora, ci sono argomenti che si portano dietro un tale carico di ciarpame, che cercare di imbastire un discorso sensato a riguardo diventa, se non impossibile, per lo meno molto molto difficile.

La meditazione è uno di questi – dite “meditazione” e la parola stessa evocherà una parata di stramboidi assortiti, bonzi salmodianti, guru truffaldini, fachiri che praticano forme improbabili di yoga, orridi modaioli superficiali che ascoltano musica-tappezzeria avvolti da volute d’incenso, e cose tipo la chiromanzia, i chakra, il tantra, l’I Ching, il Feng Shui, i fiori di Bach, l’uso dei cristalli per la visione a distanza, il contatto telepatico con i signori dell’Agarthi, Atlantide, musica celtica, gente con più quattrini che buon senso, e una dieta ferrea, fatta di riso bollito e… riso bollito.
E poco altro.

Ah, sì, e donne bellissime sedute nella posizione del loto in luoghi immersi nel verde, o su spiagge esclusivissime, o in altri luoghi improbabili.

meditation-preparation

Certo, come no…

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Se non fosse una questione di soldi…?

Cominciamo la settimana con una bella lezione di Alan Watts, studioso di religioni comparate, divulgatore, filosofo.

Ribadiamo la domanda.

Se non fosse una questione di soldi, voi cosa fareste?

Per girarla in una maniera diversa, per eliminare i soldi dal centro dell’immagine e darvi la possibilità di ragionare più chiaramente…

Se l’unica cosa che doveste spendere fosse il tempo che vi resta, come vorreste spenderlo?

monkey meditatingE il trucco non è dirmi che fareste qualcosa che sapete nella vita normale non porta soldi, ma dirmi quello che vi piacerebbe davvero.
Magari qui sotto, nei commenti.
Ma anche no, se non avete voglia  – perché come con tutti gli esperimenti zen, l’importante è la risposta che date a voi stessi, non quella che date a me, o ad Alan Watts.

E magari siete fortunati, e lo state già facendo.
Nel qual caso, che diamine, ditecelo nei commenti!
Ma se siete come me, e non è così…

L’importante è che riusciate a darvi una risposta.
Una risposta che non sia mutuata da un film, o dalla pubblicità di uno shampoo.

Cosa vi piacerebbe fare?

Il che, naturalmente, porterebbe alla domanda successiva.

Perché non lo state facendo?

Ma quella la lasciamo per la prossima volta, ok?

Quanto a me…
Mi piacerebbe insegnare.
E viaggiare, per incontrare persone, per vedere posti.
Muovendomi con la dovuta lentezza, sulle strade secondarie.
E poi sì, poter insegnare.

E prima che qualcuno mi dica ma come, non vorresti fare lo scrittore?, mi permetto di rispondere che lo scrittore non ho bisogno di farlo, perché già lo sono.

Quanto al resto, al viaggiare ed all’insegnare, perché non lo sto facendo?
Eh…


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Un po’ di zen

Vi capitano mai quelle mattine che siate talmente avviliti dalla situazione generale, che non avete neanche voglia di aggiornare il blog o – se è per questo – di alzarvi dal letto?
Beh, io ho di solito dei libri d’emergenza, per queste situazioni – qualcosa che mi tiri su, e che mi aiuti a scacciare l’umor nero (o per lo meno mi distragga dalla situazione generale, ma non tanto da farmi dimenticare che ci sono cose che devono essere fatte).

In questi giorni, questo effeto alka-seltzer lo ha svolto un esile volumetto che tenevo lì per i momenti di sconforto.

questions-zen-master-practical-spiritual-answers-from-great-taisen-deshimaru-paperback-cover-artQuestions to a Zen Master, di Taisen Deshimaru, è…
Beh, una collezione di domande rivolte ad un maestro zen.
Su cose come la pratica dello zen, gli elementi basilari di questa filosofia, e anche faccenduole come la morte, la vita di tutti i giorni, l’Oriente, l’Occidente…

Ora, li detestate anche voi, quelli che usano certi termini a vanvera?
Chessò, zen, evoluzione, steampunk, olistico…?
O meglio ancora – li detestate anche voi quelli che parlano a vanvera di cose alle quali magari voi avete dedicato tempo e passione, e loro bla bla bla a sproloquiare?
E non intendo esprimendo opinioni informate diverse dalle vostre, ma proprio sparando sciocchezze su cose che non capiscono e non si sono presi la pena di approfondire?

Beh, Questions to a Zen Master (che uscì originariamente in francese, e credo esista anche in italiano) serve ascrostare un sacco di preconcetti dal cervello di chi dovesse essersi convinto di conoscere lo zen, e per chi fosse ancora fermo alla versione “oriente misterioso” di questa filosofia.

Dove è andato Bodhidarma quando è morto?
Non è qui, e non ha importanza.

Una buona lettura, veloce e piacevole,che rimette in funzione il cervello, e scaccia le malinconie.
Ed un utile lavoro in previsione del corso sulla filosofia zen che mi piacerebbe offrire online in primavera.