strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Ritornati dal passato

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Ok, è passato il 5 maggio.
Pork chop express a tema patriottico/storico/narrativo.

Il 5 maggio hano preso l’avvio le lunghe celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Standomene seduto in un angolino del Piemonte, neanche troppo lontano dalla linea del Ticino, l’anniversario si sente, ma si sente in maniera strana.

Sarebbe una buona occasione, buonissima, credo, per riflettere su come la nostra nazione sia giovane.
150 anni è poco – molto poco.
Abbiamo sfottuto gli yankee per anni, perché per loro il passato remoto è David Crockett, ma per noi è lo stesso.
Semplicemente, c’è una narrativa più lunga alle spalle, ma non riguarda noi, la nostra nazione, riguarda la spolverata di frammenti che in momenti diversi, molto di recente, vennnero a formare la nazione.
Smanettarsi sulle glorie imperiali romane è un’illusione – il cuore dell’impero era nella località geografica definita Italia, mo non corrispondeva ad una nazione italiana, e l’impero, un patchwork di etnie e di culture, era quanto di più multietnico si potesse immaginare.

Riflettere sulla giovane età della nostra nazione – gli USA, col loro Davy Crockett, hanno 84 anni più di noi – ci aiuterebbe forse a definire cosa non ci sia, di funzionante, nella nostra anima.
Poiché per sapere chi siamo, dobbiamo sapere da dove veniamo.

Invece le considerazioni sono altre.
Da una parte, una fetta della popolazione che ha deciso (deciso, badate bene) di appartenere ad una nazione virtuale che non ha in effetti mai avuto una espressione culturale, sostiene vocalmente di non riconoscersi nelle celebrazioni.
Dall’altra, elementi che si identificano in uno stato morto, ed anacronistico ai tempi della sua dipartita, auspicano una resurrezione del Regno delle Due Sicilie, denunciando il povero Garibaldi come un nizzardo spedito da un re francese (il Savoia) a conquistare il meridione d’Italia con spirito colonialista. Si esige un’ammenda da parte della Repubblica, giovanissima erede di quello stato sabaudo.
Entrambe le posizioni – così simili pur avendo provenienze diametralmente opposte e nature assolutamente inconciliabili – sembrano indicare come la fuga dalla realtà sia ormai una scelta preferenziale per una fetta sempre più vasta della popolazione, e testimoniano una profonda, insanabile paura del futuro.
Meglio rifugiarsi in un passato utopico – che sia preso da un libro di storia letto in maniera capziosa o il frutto di un immaginario sincretico e fasullo, poco ha importanza.
L’importante è che siano i bei vecchi tempi, quando tutto andava bene, quando non c’erano tutte queste brutture.

La scelta celebrativa nazionale, d’altra parte, comporta un rischio assai simile – e sarebbe forse il caso di tenere d’occhio le celebrazioni, e se possibile fare un po’ di controinformazione.

Stiamo infatti assistendo alla celebrazione di un passato estremamente superficiale.
È il 150° anniversario dell’Unità Nazionale.
E la nostra storia comincia nel 1860.
Prima c’era… prima c’era il prima, l’Italia pre-unitaria, non ha importanza di cosa fosse, di quali fossero le sue caratteristiche.
Era prima – è fondale, background, colore, lo sfondo sul quale si svolgerà il nostro glorioso dramma, della durata esatta di 150 anni.
Già nel chiamarla Italia Pre-Unitaria, suggeriamo la fantasia che esistesse già una nazione, ma che per motivi suoi non si fosse ancora unita.
L’unità non c’era, ma l’Italia, che diamine, sì.
Il relegare tutto il resto al prima ci permette di evitare le domande scomode, le questioni complicate.
Ci permette di stringere il campo ad una azione unificatrice unitaria (…), che si svolge solo in Italia, che riguarda solo l’Italia, che avrà influenze e conseguenze solo sull’Italia.

Ora, naturalmente, anche uno sciocco con tre o quattro tentativi per passare la matura alle spalle, dovrebbe capire che osservare il processo di unificazione del nostro paese senza avere una buona inquadratura dello scacchiere nazionale, senza valutare le conseguenze delle campagne napoleoniche e ed il peso sulle generazioni successive della cultura che caratterizzò l’impero napoleonico, senza una buona idea dei rapporti dinastici… è come guardare un film 3D senza gli occhialetti appositi.

Il passato, nella sua globalità, è ciò che ci spiega ciò che accade dopo.
Se facciamo cominciare il film il 5 maggio 1860, lasciamo troppe questioni nel vago, troppe domande in sospeso.
Troppi “Ma perché…?” trovano solo una risposta in un “Perché sì.”
O peggio.
Perché se non ho un’idea chiara delle cause e delle dinamiche, posso dare qualunque spiegazione barbina dei fatti, e non ci sarà modo di smentirmi.

Ed allo stesso modo, se nel mio film che comincia il 5 maggio 1860 io ci metto solo Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Mazzini, Cavour…
Se faccio diventare il mio film la storia di un posto senza passato, diviso per motivi misteriosi e riunificato da un manipolo di supereroi che hanno agito nel vuoto, di propria iniziativa, per motivi vaghi o inespressi, senza partecipazione o responsabilità da parte del resto della popolazione…
Se perpetro questo falso, lascio il campo aperto ai revisionisti, che possono dirmi che l’Unificazione fu un movimento voluto e organizzato da un pugno di piemontesi rapaci… e chi li potrà smentire? Dopotutto, avete visto altri attori, altri eroi, in quel film cominciato il 5 maggio 1860?

Il progetto di unificazione dell’Italia fu il frutto di molti secoli di dinamiche sociali e storiche.
Coinvolse una quantità di personalità fra loro difficilmente conciliabili.
Ebbe, come ogni evento storico, luci ed ombre – ed amplificare le une per mascherare le altre è tanto disonesto quanto fare l’opposto.

Teniamo gli occhi aperti, quindi.,
Perché non c’è nulla di peggio di un popolo ignorante riguardo al proprio passato.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

10 thoughts on “Ritornati dal passato

  1. L’ultimo articolo raccolto in “Se Torno A Nascere” di Luca Goldoni (Mondadori, 1981) inizia con: A giudicare dagli ultimi tutoli (molti dei quali best-seller) si direbbe che Mazzini e Garibaldi Abbiano preso un granchio colossale: un secolo di unità ci ha resi maturi per i neo-ducati e le neo-signorie.
    Siamo travolti da una ventata di letteratura di separatismo, di nostalgie per imperatori, regni di ventotto ettari, isole felicemente asservite allo straniero…

    Amore Mio, Uccidi Garibaldi di Isabella Bossi Fedrigotti: marito e moglie, lui ufficiale degli ussari in guerra contro la canaglia in camicia rossa, lei trepidante per la sorte della patria lombardoveneta, le mire piemontesi, la canaglia aizzata dai cospiratori.
    In L’eredita della priora di Carlo Alianiello, da cui la RAi ha tratto uno sceneggiato(edulclorato, summongo) tutto si muove in una Sicilia che ripiange i Borboni, quanto la nobiltà romana s’indigna per i pezzenti entrati da Porta Pia per comandare Al Sole Di Settembre.
    Si trova anche Latitudine Nord di Carlous Cergoly, poesie per una Trieste slava.

    E, si, c’è questa aria pseudostorica per cui si stava meglio “prima”.
    Un “prima” idealizzato: un po’ come i palestinesi che hanno -tutti, nessuno escluso- i rimpianti delle terre e delle ville di famiglia perse.
    Non c’era neanche un poveraccio, nel “prima”. NE la ne quà.

    Che non si sa bene come sia fatto, ma era “prima” – e poi c’è l’adesso, che qualcun’altro ha imposto con la forza fuori dopo il “prima”.
    Ah, si, e in mezzo c’è stato anche un buco di un ventennio in cui qualcun’altro aveva una camicia nera. Ma quello non conta.
    (E questo l’hanno fatto anche i tedeschi, di avere un buco di vent’anni in cui non c’erano e c’era qualcun’altro in loro assenza.
    Solo che da loro il prima ed il dopo hanno una loro continuità: certo, la prima strofa dell’inno nazionale non si canta più, è di cattivo gusto, ma l’inno è lo stesso del “prima”. Non uno provvisorio da sessant’anni)

    il fatto è che non solo non si sono fatti gli italiani, ma spiegare ai presunti italiani perché sono italiani è scomodo.
    Troppi altarini.

    Garibaldi Supermen mandato da Cavour a finire un lavoro già fatto è più semplice.

  2. Condivido in pieno.
    L’ignoranza della storia apre la porta alle manipolazioni.
    Il “buco” tedesco è stato – a detta di molti tedeschi che ho conosciuto – un erore tattico, quasi un autogol – la rimozione ha permesso il ritorno dell’ideologia, ed oggi lo spettro neo-Nazi è tutt’altro che impalpabile.

    Qui da noi, la storia è diventata (studiatamente? per incuria? mah…) una cosa noiosa che “non serve”. nella “vita reale”.
    Per cui anche un comune romanzo d’appendice può diventare il nucleo di un malcontento che, rivolgendosi al passato, si libera dell’incombenza di dover risolvere il problema attuale che è alla radice del malcontento.

    Io sono un po’ preoccupato di come ci venderanno questo centocinquantenario.
    Perché credo che lo spettacolo prevarrà sull’accuratezza storica, e che il senso di vuoto, di arbitrarietà, di discutibilità degli eventi sarà amplificato.
    E sarà un altro chiodo nella bara della nostra povera nazione.

  3. Se posso allargare il discorso, direi che occorrerebbe un po’ ripassare la storia – almeno quella degli ultimi 200 anni, non solo per quel che riguarda l’Italia, ma anche tutto il resto del mondo.

    L’ignoranza del passato pregiudica il presente e getta ombre oscure sul futuro.
    I famosi “corsi e ricorsi storici” sono spesso frutto dell’ignoranza di chi non imparara da errori già fatti.

    Ciascuno può maturare la sua idea – per assurdo anche estremista (stalinista, nazista, pol-potiana etc) – ma quel che fa paura è l’osservare che il 99% delle persone che abbracciano un’ideologia (o anche un più positivo ideale) lo fa ignorandone le origini e la storia.

    L’Italia?
    Siamo messi peggio di altri. Del resto, allevando una classe politica che fa dell’ignoranza un punto di forza, non si poteva davvero pretendere altro.

  4. Io ho come l’impressione che un sano e non accademico interesse per la storia sia sempre stato in qualche modo scoraggiato nel nostro paese, a livello culturale/istituzionale.
    E anche a livello di fiction marchiamo maluccio – anche se non in maniera così drammatica.
    È il saggio popolare di storia che a noi proprio difetta.
    Storia d’Italia a Fumetti di Biagi? E poi…?

    Resistono invece le ideologie, è vero, anche le più assurde e deteriori, forse proprio grazie al fatto che sono, a tutti gli effetti, delle fiction – ed un reboot per aggiornarsi ai gusti del pubblico è sempre possibile.

  5. Scusate per il lungo OT.
    L’interesse per la storia è fondamentale, ma, come già è stato detto, deve essere sano.L’interesse fazioso – o ancora meglio, la faziosità travestita da interesse storico – è più devastante del disinteresse. Per restare in casa nostra, vedi il tanto gridato ritorno del fascismo o presunto tale, con ragazzini idioti che indossano magliette con su slogan razzisti convinti di avere in tasca la Verità, oppure il famoso negazionismo dell’Olocausto (non passa mai di moda), con gente che si va a “informare” sul serio – li ho visti: presunti storici con DECINE di pagine di documentazione tratta dai pozzi più oscuri di Internet, decine di pagine lette e sottolineate con cura ma che non contenevano un ragionamento serio o documentato o almeno non completamente idiota che fosse uno (Gesù, per le teorie razziste si ricorre ancora a TACITO e alla Germania, ‘sti neo-quellochevoletevoi dovrebbero fare un corso di aggiornamento). Quando l’Idiota si informa, o è convinto di averlo fatto, spesso diventa peggio della Brutta Massa Ignorante. Come si fa a ispirare un interesse serio e non campanilistico/semplicistico?

  6. Una grossa responsabilità ce l’ha, naturalmente,la scuola (poverelli, tutte le colpe si ritrovano).
    Un buion insegnante di storia dovrebbe da una parte saper sottolineare l’importanza della cultura storica, e dall’altra rendere affascinante e divertente lo studio della storia.
    Certo, avere una buona scelta di testi divulgativi piacevoli da leggere e non “aggressivi” nei confronti del lettore sarebbe bello.
    Qualcosa di ciò che fanno gli inglesi – al momento i migliori, a mio parere, per la divulgazione storica – viene tradotto, ma non troppo spesso sono testi sulla nostra storia più o meno recente.

    Poi, chiaro, se parto con una tesi, e la voglio dimostrare, selezionando i testi (pessima pratica) posso arrivare dove voglio.

    Anche qui, essere educati ad un minimo di spirito critico, di curiosità e di onestà intellettuale (scuola? famiglia? amici?) non sarebbe male.

    Quanto poi alla storia fatta con le maglietta – ah, quello sarebbe un argomento a cui dedicare uno studio sociologico.
    Cominciando col ragazzino con la maglietta di Che Guevara che pensa sia Jim Morrison…

  7. Beh, tanto per dire come qualcuno sta revisionando la Storia negli ultimi decenni, basta andare su qualche forum di giovani neo-fascisti, dove le frasi più tipiche sono “eh, ma anche le foibe hanno ammazzato della gente”.
    Come se si trattasse di un bambinesco “non sono stato solo io, signora maestra! Lo ha fatto anche lui, gne ghe!”

    A onor del vero c’è da aggiungere che, sì, in fondo la Storia è raccontata sempre dal punto di vista dei vincitori. Tuttavia dovrebbero esserci dei punti comuni, imprescindibili, su cui fare tutti i ragionamenti che si vogliono.

    Ragionamenti che qui in Italia comunque interessano a pochissime persone.

  8. Dato che tutti quanti “vengono da lontano” ed hanno le radici da qualche parte, è ovvio che guardare per benino queste radici da dove partono è scomodo.

    Una Non-Storia a priori è semplice: i buoni ed i cattivi, il fato ineluttabile.
    I buoni garibaldini che mettevano a posto l’Italia come andava fatta ostacolati dai cattivi Borboni, I ribelli che combattono Darth Vader per riportare la Repubblica, i partigiani bravi che ci liberano degli alieni fascisti venuti da Marte per rimettere le cose a posto (e non stiamo a cavillare di cosa era ‘sto “a posto”). Tutto fa brodo.

    La scuola non si va ad infilare nel ginepraio.
    Per quieto vivere, perché è arrivato messaggio dall’alto che “non è gradito”, e in più già insegnare la grammatica è un atto repressivo, ci moffàfà di spiegare il fascismo?
    Che Anna Frank è pornografia perché -tra le bazzecole dell’Olocausto- in questo diario ci sono anche accenni alle pulsioni adolescenziali di una ragazzina.
    Che sia stata gassata, fa niente: anzi, cosi impara, che non si dicono certe cosacce e non ci si tocca lì.

    La non conoscenza della storia è stata incoraggiata: ridotta a sfilza di date a memoria a scuola e guai a ragionare, trinciata e distillata nella fiction popolare.
    Il libro di parte vende (Pansa, per dirne uno) perché fa caso, senza che nessuno lo legga. O appunto, solletica il paese dei balocchi del “prima”.
    Oppure si piglia uno stralcio a caso, lo si avvolge come una molla e si usa come trampolino per il quarto d’ora di celebrità.
    (Mi vedo un bavarese che chiede i danni di guerra ai prussiani: riderebbero tutti molto, penserebbero che è uno sketch (i comici germanici usano spesso il dialetto bavarese per far ridere))
    Noi si assente gravemente nella misura in cui non si può escludere che…

    Un libro all’inglese non esiste: posto che ci sia un saggio imparziale, è illeggibile, cattedratico, trombonesco, si perde nel dettaglio fino a far sparire la vista d’insieme.
    Sto seguendo il trafiletto che sabato per sabato Fruttero e Gramellini pubblicano su La Stampa: intento alto, ma cosi a pezzi e bocconi, Cavour sembra tanto il personaggio di una Soap Opera…
    Ho anche terrore di un libro preso al supermercato “Arrivano i nostri” di Alfio Caruso – Il Berlusca è colpa degli Inglesi sbarcati in Sicilia, perché si allude che voi sapete chi ha fatto voi sapete cosa – Si può fare un libro storico omertoso, che nomi non ne fa? Caruso l’ha scritto, Longanesi l’ha stampato.
    E lo trovi nel cestone delle offerte al supermercato.

    E tuttosommato, piace così: c’è qualche vecchietto rompiballe tipo Ciampi che mugugna con stile, ma è l’arteriosclerosi, i vecchi, si sa.

  9. Quella di Anna Frank me l’ero persa – o l’avevo rimossa.

    Il testo storico omertoso mi mancava – certo, così non si perde troppo tempo a far ricerca bibliografica…

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