Quasi esattamente sei anni or sono, il 26 di Luglio 2016, un uomo di 26 anni, di nome Satoshi Uematsu usò un martello per far saltare la serratura di una delle porte d’ingresso del centro residenziale per disabili di Sagimahara, una cittadina della prefettura di Kanagawa, Giappone.
Erano le due e dieci di notte.
Una volta dentro, Uematsu stordì e legò uno degli inservienti, prese le sue chiavi, e procedette ad accoltellare alla gola 45 dei 149 ricoverati dell’istituto – uccidendone 19.
Poi uscì dall’edificio. Erano le due e cinquanta.
Attorno alle cinque del mattino, Uematsu si consegnò alla polizia.
Secondo la sua confessione…
Immagino un mondo in cui una persona con disabilità multiple possa essere soppressa, con il consenso dei tutori, quando è difficile per la persona svolgere attività domestiche e sociali.
E nell’attesa del concretizzarsi di questo stato di cose, Uematsu-san aveva deciso di portarsi avanti col lavoro, “per il bene del Giappone e della pace nel mondo.”
E chissenefrega dei tutori e del loro consenso.
Diciamo che messa in questi termini, la questione della fine vita prende una piega sinistra: il fatto che una persona abbia il diritto (che dovrebbe essere sancito per legge) di scegliere il modo in cui finire la propria corsa non significa che un tizio mai visto e mai conosciuto possa farsene carico part-time, di propria iniziativa, usando un coltello su delle persone addormentate.
Poi, quest’anno a Cannes viene presentato Plan 75, della regista giapponese Chie Hayakawa.
A fronte di una popolazione che sta rapidamente invecchiando, il governo nipponico avvia una campagna di eutanasia a tappeto per gli over-75. Tutto gratis, e con un bonus di 1000 dollari per farci quel che ci pare prima di venire soppressi e cremati.
Visto che “sta rapidamente invecchiando” mi descrive abbastanza bene, io trovo orribile ed aghiacciante la prospettiva del film – soprattutto perché è maledettamente credibile.
Non fatico affatto a credere che i nostri governi, a fronte delel difficoltà che ci aspettino, partano con dei piani di “depopolamento guidato” – se saremo fortunati, sarà bello asettico e soft come in Plan 75, ma è più probabile che si torni ai vecchi sistemi col filo spinato e i forni. Costa meno.
Ora, si dirà, non è il caso di farsi prendere dall’ansia.
È fantascienza, giusto?
Quando mai è successo, che un governo abbia dichiarato che le fasce più deboli potevano essere lasciate a morire per favorire l’economia e il “ritorno alla normalità”?
Assurdo, vero?
Quando mai è successo che nel dover decidere fra la propria sopravvivenza e il fatturato, una civiltà abbia esitato, a lungo, non sapendo cosa fosse preferibile?
Quale ridicola parodia di figura politica ha mai affermato la necessità di dover lasciar morire delle persone perché i principi della legge, o le promesse elettorali, vengono prima?
Ma a giustificare ed alimentare ulteriormente la mia ansia è un esperimento che Chie Hayakawa ha fatto prima di distribuire il proprio film – lo ha fatto vedere ai suoi genitori, ed ai loro amici, ed ha chiesto loro cosa ne pensassero.
E questi anziani hanno detto che loro sarebbero ben felici, di essere eutanasiati con simpatia, piuttosto che gravare sul bilancio familiare dei loro figli.
Meglio morire e via, che lasciare ai figli i debiti delle cure, e l’impegno, la fatica e il logoramento morale di dover dedicare la propria vita all’assistenza di un anziano.
Meglio morire.
C’è solo un piccolo problema, in tutto questo.
Che nel film – così come nelle farneticazioni di Satoshi Uematsu – i congiunti non figurano affatto.
Il Piano 75 è motivato dalla necessità di risparmiare sulle spese statali per l’assistenza, “per il bene della nazione”.
È il sistema che, anziché accudire i propri elementi più deboli, li sopprime.
Perché costa meno.
E i poveri vecchi intervistati dalla Hayakawa dicono sì, OK, facciamolo, se l’alternativa è che i costi siano caricati alle nuove generazioni. Sacrifichiamoci per i ragazzi.
Ma qui i ragazzi non c’entrano – e i costi non dovrebbero essere ribaltati su di loro.
E non c’entra la legittima scelta consapevole di porre fine alla propria esistenza.
Qui è semplicemente una questione di soldi pubblici, che non si vogliono spendere in assistenza.
Una agghiacciante variazione sul tema di quel vecchio modo di dire – che le uniche due certezze al mondo sono la morte e le tasse.
E io sono qui, ed ho paura, perché non sarebbe la prima volta che per preservare i fondi pubblici, il PIL, il fatturato, si manda in malora l’esistenza della cittadinanza.
Per proteggere i posti di lavoro dell’industria automobilistica, ad esempio, anche se le proiezioni parlano di deterioramento ambientale.
O per garantire la sopravvivenza dei minatori nelle miniere di carbone, anche se il carbone è inefficiente e inquinante.
O perché convertire l’infrastruttura dei trasporti in termini sostenibili “obbligherebbe le aziende a ristrutturare le proprie linee produittive”, e quello sarebbe un costo che intaccherebbe i loro fatturati e metterebbe in pericolo dei posti di lavoro.
Meglio morire.
E posso immaginarli, che portano la questione del diritto all’eutanasia in primo piano in quanto diritto inalienabile dei cittadini in uno stato laico, parte di una piattaforma progressista.
Normalizzando l’idea che chi non è produttivo è meglio morto.
Secondo la loro definizione di “produttivo”, naturalmente.
E non fate quella faccia.
Parliamo di gente che sosteneva che l’uso migliore possibile per un parco naturale sia farci dei parcheggi a pagamento, perché “cosa se ne fanno gli orsi di tutti quei boschi? Un parcheggio genera un utile…”
Il fatto è che tutti, dal primo giorno della nostra esistenza, stiamo correndo a capofitto verso quel traguardo, verso la nostra personale ed unica fine della corsa.
Tutti noi dovremo finirla in qualche modo, questa corsa.
Ma ciò non significa che qualcuno abbia il diritto di farci lo sgambetto, e farcela finire qui ed ora, per la propria convenienza.
E quindi sì, sto invecchiando rapidamente, e l’intera faccenda mi mette molto a disagio.
Il fatto che un giorno si possa far leva sul fatto che sono diventato un peso (per chi?), colpevolizzandomi, per convincermi a staccare la spina è agghiacciante.
In fondo sei un costo. Noi non abbiamo creato strutture che ti possano supportare. Non abbiamo pianificato gli anni della tua vita fuori dal sistema produttivo. Non abbiamo alcuna forma di contingenza per l’invecchiamento dell a popolazione, che sapevamo essere una realtà da cinquant’anni, ma che abbiamo ereditato dal governo precedente. Non abbiamo intenzione di pagare per farti continuare a vivere. Non hai figli o congiunti che possano accollarsi le spese.
Sei veramente un problema, e dovresti vergognarti di te stesso.
Fai qualcosa di buono, per una volta. Ucciditi.
Ve li vedete, che sostengono la bontà di questo approccio, in un talk show televisivo in prima serata, condotto da un giornalista falsamente aggressivo e compiacente.
Io sì.
Ma io, naturalmente, scrivo fantascienza per vivere.
Ah, quasi dimenticavo.
Chiudiamo con una nota ironica.
Per quello che fece quella notte a Sagimahara, Satoshi Uematsu è stato condannato a morte.