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ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Fenomeni

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Un grande seduttore

Anni addietro una classifica dei più grandi seduttori della storia risultò dominata da tre personaggi meno che prevedibili.
King Kong.
Dracula.
Il Mostro della Laguna Nera.

Contemporaneamente, per la dannazione di tutti i grandi della letteratura e dei loro tomi dai titoli memorabili, una classifica dei personaggi più popolari ed immediatamente riconoscibili dal pubblico, in tutto il mondo indicò ai primi posti… Sherlock Holmes e Tarzan.
E qui, ok , potete dirmi che si tratta di una ricaduta cinematografica, che in effetti non è merito di Conan Doyle o di E. R. Burroughs, ma di Johnny Weismuller e Basil Rathbone… ma ciò non toglie che lassù sulla vetta ci siano due personaggi popolari, e non, per dire Nikolaj Vsevolodovič Stavrogin.
C’han fatto i film è una povera scusa.
Il fatto che c’abbiano fatto i film è indicativo che qualcosa, una scintilla, un extra, c’era.

Tutto questo per introdurre un pezzo del piano bar del fantastico, lievemente atipico, che parte da un post su un blog contiguo, e vedremo dove andrà a finire.
Parliamo di fenomeni.

La cosa prende le mosse da un gustoso post comparso su Senza errori di Stumpa una settimana fa.
Vi invito a leggerlo.
Fatto?
Bene.

Non voglio entrare nel merito dell’autore al centro del dibatito narrato nel post.
E se ammetto che il concetto di genre-snobbery mi affascina – io credo di esserne portatore sano, in quanto leggo quasi esclusivamente genere… o è l’esatto opposto? – non è di questo che intendo parlare qui.

La cosa che mi interessa, un po’ mi inquieta, e parecchio mi diverte, è che un autore… qualsiasi autore… che venda due carrettate di libri in più della media venga definito “fenomeno sociale”.

Fenomeno sociale?

Mi permetto di avere i miei dubbi.
Ma piuttosto – può un best seller qualificarsi come fenomeno sociale?
O è piuttosto un fenomeno culturale?
E come, quando, si passa dall’uno all’altro?
La moda dei tatuaggi tribali maori fra bancari, travet e colletti bianchi è un fenomeno sociale o culturale?

Ora, è noto che io ho studiato antropologia culturale sui romanzi di Edgar Rice Burroughs, quindi la mia visione tende ad essere un po’… mah, diciamo sui generis.
Prendete quanto segue per quel che vale.
Però io la metterei giù così…
Se la società, nel suo complesso non è coinvolta, non è un fenomeno sociale.

Il fatto che tutti sappiano chi è Sherlock Holmes non è un fenomeno sociale.
È un fenomeno sociale il fatto che qualcuno ad un certo punto cominci a indirizzare al 221b di Baker Street delle lettere in cui chiede l’aiuto del famoso detective.

Il fatto che chiunque, anche nelle più sperdute lande della Mongolia Esterna, riconosca istantaneamente Tarzan è un fenomeno culturale.
Ed il fatto che tutti abbiano letto il romanzo di un certo autore è un fenomeno culturale – a meno che non ammettiamo che l’acquisto (e non necessariamente la lettura) di quel libro, avvenga per segnalare l’appartenenza ad un gruppo, come metodo di rassicurazione sociale e segnale di appartenenza tribale.

Il titolo di best-seller è interessante ma non è sufficiente io credo, a fare di un libro un fenomeno culturale – per esserlo deve influenzare successivamente la cultura dei lettori.
E per essere un fenomeno sociale, deve influenzare la società in maniera significativa.

Esistono certamente libri che sono stati all’origine di ampi fenomeni culturale e sociali – penso a L’Origine della Specie, di Charles Darwin.
O il Discorso sul Metodo, di Galileo.
L’Elogio della Follia di Erasmo e l’Utopia di Moore.
Santo cielo, tutti i principali libri delle principali religioni!

Ma restiamo nell’ambito della narrativa.
È probabile che Madame Bovary sia stato un fenomeno tanto sociale quanto culturale.
Robinson Crusoe di Dafoe.
E poi montagne di carta dedicate alla letteratura popolare – Conti di Montecristo, Moschettieri in numeri dispari, burattini riottosi, Tom Sawyer, il Giovane Holden e Lord jim, Moby Dick e Gandalf, e Conan e Capitan Futuro e Philip Marlowe e tutti gli altri.
Potremmo addirittura arrivare a sostenere che, in ambito narrativo, solo i libri clamorosamente popolari sono all’origine di fenomeni culturali o sociali.
E lo status di bestseller non è una garanzia.
Perché non basta comperarlo.
Bisogna anche leggerlo.
Ed una volta letto deve lasciare un qualcosa… una serie di parole chiave, di concetti di riferimento, per diventare un fenomeno culturale.
Pensate a dove avete l’asciugamano, non fatevi prendere dal panico, e avrete una buona idea di quale sia un libro popolare di narrativa che è anche un fenomeno culturale.

Il che spesso marca male per certe cose molto strombazzate.
Insomma, considerando che de Il Pendolo di Foucault, di Umberto Eco, si sono vendute milioni di copie, esso non è tuttavia un fenomeno culturale, a meno che non abbia influenzato significativamente la cultura delle persone (spingendole ad altre letture, a dibattiti accesi sulla storia del Rosacrocianesimo o il rifiuto ab aeterno di ogni forma di narrativa in quanto fonte di inenarrabili borborigmi), ed io non me ne sia accorto; e diventa un fenomeno sociale nel momento in cui incide significativamente sulle attività sociali dei lettori, e sul funzionamento della società.
Se, per dire, almeno 20.000 lettori de Il Pendolo sono stati ricoverati in preda a spasmi, sudori freddi e difficoltà dell’eloquio in seguito alla lettura, allora la ricaduta sui sistemi assistenziali e di previdenza, sul mondo produttivo, sulla qualità della vita di decine di migliaiai di persone, sono stati tali da garantire il titolo di fenomeno sociale.
Ma il fatto che il mio capo, nel 1999, beccandomi a leggere il Pendolo in ufficio durante l’orario lavorativo, mi abbia fatto i complimenti anziché cazziarmi, è un fenomeno culturale.
Deteriore, che col contenuto del libro non ha probabilmente nulla a che vedere, ma lo è.
Certo, se accadesse in tutti gli uffici e diventasse un sistema per rubare lo stipendio, allora…

Ma non divaghiamo e facciamo un altro esempio – pur restando solidamente un long seller, Mein Kampf, di Adolf Hitler, è oggi sostanzialmente un fenomeno culturale (orribile, ma vero), mentre purtroppo fra gli anni ’30 e gli anni ’40 fu decisamente un fenomeno sociale.

Lunga vita e prosperità (ma scarsa interazione sociale)

E speriamo che l’attuale fenomeno culturale non giri in sociale – perché è poi ciò che succede, no?

Star Trek è un fenomeno sociale quando i trekkies sono in grado, con una campagna postale e qualche articolo su Starlog, di far cancellare una serie TV.
O di dare il nome ad uno Shuttle della NASA.
Ma il fatto che fra di loro si salutino col saluto vulcaniano è ancora solo un fenomeno culturale, così come metersi il pigiamino d’ordinanza in occasioni particolari.
Diventa tuttavia un fenomeno sociale il fatto che i trekkies vengano emarginati per l’appartenenza alla loro cultura.
Triste, ingiusto, ma certamente un fenomeno sociale.
E lo stesso vale per tutte le altre serie televisive (sono o non sono un Browncoat?) , ed i film di culto.

E la musica?
Citare i Beatles sarebbe probabilmente sleale, ma cosa dire di Sketches of Spain, di Miles Davis?
Gran disco, certamente.
Ci fu un periodo in cui il disco fu così popolare che non avevate bisogno di possederne una copia – il vostro vicino di casa ne aveva certamente una da prestarvi.
E si diceva che Sketches fosse indispensabile per una serata romantica che si potesse chiudere oltre la seconda base.
Quando un disco influenza in questo modo i rapporti interpersonali, allora probabilmente è un fenomeno sociale.

Complicato, eh?

Ma allora perché insistere sul fatto che i libri dell’autore X siano un fenomeno sociale?
Probabilmente, per trovarsi una scusa “alta” per leggere ciò che si considera, o si teme venga considerato, pattume.
Un po’ come il classico Io Playboy lo leggo per gli articoli, è il tentativo di chi si sente in colpa per darsi un tono.

Resta un problema chiave, che è poi quello che sta al centro del post dal quale noi prendiamo le mosse.
Il fatto che un testo sia al cuore di un fenomeno sociale o culturale, ne rende imprescindibile la lettura?
Credo non sia scritto da nessuna parte – e credo sia in fondo una forma di pubblicità deteriore.
Non più “leggilo perché è bello”, o “leggilo perché è interessante”, ma “leggilo perché lo fanno tutti”.
Sui fenomeni – naturali, culturali o sociali che siano – possiamo informarci senza necessariamente un coinvolgimento esperienziale diretto.
Posso capire le dinamiche della mente dell’assassino anche senza uccidere.
Posso studiare i movimenti del gregge anche senza farmi tosare.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

14 thoughts on “Fenomeni

  1. Complicato a dir poco, però credo che tu abbia centrato il punto e fatto un po di luce sul’argomento.
    Davvero c’è gente che dici di leggere PLAYBOY per gli articoli? 🙂
    Mentono sapendo di mentire. LOL

  2. “spingendole ad altre letture, a dibattiti accesi sulla storia del Rosacrocianesimo o il rifiuto ab aeterno di ogni forma di narrativa in quanto fonte di inenarrabili borborigmi”. Con questa mi hai stesa. Mi son dovuta fermare per ridere un quarto d’ora. Sì, ho un distorto senso dell’ umorismo.
    Detto questo, l’ argomento è complicatissimo, anche perché mi sono sempre chiesta cosa influenzi e cosa ne sia influenzato. Spesso i fenomeni sociali influenzano un’ intera cultura. E qui mi vengono in mente quei Beatles che per te era troppo semplice tirare in ballo. Il pop in musica, è un fenomeno sociale o culturale? E’ entrambe le cose? è stato prima l’ una e poi l’ altra cosa.
    Sì, è un gran casino, però è interessante.
    E comunque la stilettata al pendolo, lo ripeto, è da applausi.

  3. “Sono infelice perché ascolto musica pop, o ascolto musica pop perché sono infelice?”

    In realtà credo siano anelli di feedback, per cui ad un certo punto la cultura influenza la società che influenza i media che influenzano la società che influenza la cultura che influenza i media…

    Neanche anelli semplici, anelli intrecciati.
    Resta il fatto che esistono un sacco di tromboni (vedi la tipa citata nel post del blog che linko), che usano “fenomeno sociale” per dire “l’ho letto/visto/ascoltato, ma per dovere, non per piacere”.
    Che è snob, o forse semplicemente disonesto.

  4. Sì, ho letto il post, ridacchiando e trasecolando ad alternanza.
    Io ho letto il primo tuailait per gli stessi motivi di mmX. O almeno, accampando gli stessi motivi. In realtà, volevo leggerlo. Poi ne sono uscita disgustata e non ho toccato nessuno dei seguiti. Resta il fatto che utilizzare il Fenomeno Sociale (maiuscolo) per i propri guilty pleasure è anche quello un Fenomeno meritevole di analisi.

  5. In effetti… uno studio sullo spacciarsi per intellettuali al fine di leggere ciò che si considera pattume…

  6. Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

  7. “In realtà credo siano anelli di feedback, per cui ad un certo punto la cultura influenza la società che influenza i media che influenzano la società che influenza la cultura che influenza i media…”
    Non posso che sottoscrivere. Ottimo post!
    Anch’io ho letto il post originario… e trovo senz’altro disonesto il cercare scuse quando si legge qualcosa di cui poi ci si sente di doversi vergognare, o comunque di non apprezzare, o si sospetta che non sia apprezzato dal resto del mondo (o dal “clan”? si potrebbe discuterne). Forse quand’ero molto giovane l’ho fatto anch’io, ma adesso mi pare di essere uscita da questo stato adolescenziale… almeno, lo spero. Ciao, e grazie.

  8. Fenomeno. Genio. Capolavoro.
    Tre delle parole più abusate perfino dal marketing, che tenterebbe perfino di spacciare Fabio Volo per un filosofo (oddio, mi sa che già lo fa).
    Non sono abbastanza lucido per commentare i risvolti più profondi del tuo post (molto bello, complimenti), ma sappi che io sto sempre dalla parte del buon artigianato, riservando il compito di influenzare la mia psiche a pochissimi titoli nell’arco dell’intera vita.
    Tre o quattro libri. Una decina di film. Mezza dozzina di canzoni.

  9. > Conti di Montecristo, Moschettieri in numeri dispari, burattini riottosi, Tom Sawyer, il Giovane Holden e Lord jim, Moby Dick e Gandalf, e Conan e Capitan Futuro e Philip Marlowe e tutti gli altri.

    e un robttone che “si trasforma in un razzo missile, con circuiti di mille valvole”
    e “Sono Pazzi Questi Romani”
    e “Buona seeeeeeeeeeeeeera”

    Due brevi annotazioni:
    forse per diventare culturale/sociale non e’ necessario che un fenomeno influenzi la societa’ nel suo complesso, ma e’ sufficente che influenzi una tribu’?

    mi torna in mente un monologo di Gaber in cui si diceva come fosse piacevole perdersi le cose “Mi sono perso l’ultimo film di Fellini. Che goduria!”

    Alla fine quello che ci perdiamo ci definisce tanto quanto quello che leggiamo/vediamo/ascoltiamo.

  10. —>> Posso studiare i movimenti del gregge anche senza farmi tosare. <<—

    Fantastico Davide!
    Bella sintesi! Esattamente la mia filosofia 🙂
    Di solito mi viene l'orticaria quando mi danno un libro e mi dicono "leggilo perchè è ormai un fenomeno sociale/culturale".
    Che poi se vuoi sapere cosa è considerato fenomeno sociale/culturale basta vedere cosa mi regalano i miei parenti a Natale o cosa si portano in spiaggia quando vengono al mare.

    Mio fratello per primo è uno che legge pochissimo e che quando fa lo sforzo di farlo, legge libri che siano un fenomeno.
    Ho smesso di consigliargli le cose perchè ogni volta mi chiede :
    "ma è un libro importante?" e se rispondo:
    "Boh non lo so. A me è piaciuto…"
    La risposta è :"ho poco tempo, preferivo leggere un libro "serio"". -_- SIGH!

    Comunque questa storia del fenomeno trovo che sia per vendere qualcosa di culturalmente e intellettualmente elevato, in una nazione dove quando studi letteratura leggi un libro perchè ha lasciato qualcosa di intellettualmente valido secondo i critici.
    E più sbandierano sta storia del fenomeno come se un fenomeno fosse garanzia che valga la pena di leggere quel libro, più puoi star certo che si tratta di un prodotto medio e niente di ultraterreno!

    Cily

  11. Grazie della segnalazione. Avevo trovato la distinzione molto interessante nel commento, e non vedevo l’ora di leggere il post…
    Mi piace particolarmente l’idea del libro come token di appartenenza tribale – ci sono le tribù unius libri e le tribù di “Lettori” – e allora diventa interessante vedere quali sono i libri che fanno sentire una persona leggitimata a definirsi un Lettore con la maiuscola. Interessante e non difficile, perché ti snocciolano i titoli a cena o mentre tutti gli altri recuperano sciarpa e giaccone per andarsene dopo la lezione di scrittura… Mi sa che qui c’è materiale per un altro post.
    Oh, e Mme X docet. Non materie strettamente letterarie, ma abbastanza all’incrocio tra scientifico e umanistico da indurre a domandarselo: consiglierà letture ai suoi discenti?

  12. @Cily
    Come mi diceva a suo tempo il nostro comune amico Massimo Citi, ormai l’editore di alto livello non può più vendermi “solo” un libro – deve vendermi un “fenomeno” (che include le interviste all’autore, le marchette televisive, se ci fanno il film anche il film)…

    @la Clarina
    Per il genere è facile.
    Il Popolo del Signore degli Anelli esiste ed è estremamente vocale – e permaloso.
    Ma i lettori con la L maiuscola probabilmente considerano i tolkienoidi dei minus habens.
    Il Popolo di Holmes ha una sua “accademia” (Gli Irregolari di Baker Street, dei quali a suo tempo facevo parte), i suoi rituali, i suoi luoghi di ritrovo.
    E Il Popolo della Guida galattica, naturalmente, ha addirittura il Towel Day.

    Ed il genere stesso è tribù, ovviamente.

    Allo stesso modo per la saggistica – io appartengo, volente o nolente, al Popolo dell’Origine (delle Specie)… ma anche, ammesso che esista, al Popolo di Cosmos.

    Per la narrativa “seria”… eh, son problemi.
    Troppa scelta, troppa paura di esporsi (quanti fan di Stevenson celebrano la Giornata Parla come un Pirata?), troppa volubilità.
    E poi la tristezza… gli Holmesiani si ritrovano e discutono di Irene Adler, i manzoniani cosa fanno, sgranano rosari e parlano della Provvidenza? 😛

    Però è vero… si può sempre fare un altro post.

  13. Potrebbe esserci un rapporto “doppio” cioè, se dovessi fare un disegno ci sarebbero A e B e tra A e B ci porrei due freccioline, una che va da A a B e una che va da B a A. Questo per definire il “fenomeno culturale” (A sta per la massa, B sta per la produzione letteraria).
    Premetto che (aridaglie, se fosse stata una premessa avrei dovuto farla all’inizio ma pazienza) nello specifico, non conosco benissimo la corrente letteraria citata in queste pagine e forse proprio per questo mi attira. Tuttavia sono un’amante dell’epoca vittoriana per molte ragioni (Poe per esempio lo adoro; lessi qualcosa alle superiori, ma ciò che più amo è Edgar stesso: qualche anno fa comprai una sua biografia scritta da Baudelaire in persona, libro affascinante come pochi e che consiglio vivamente. Un genio che racconta un altro genio, rarissimo).
    Prendiamo il tuo esempio: la moda dei tatuaggi tribali fra i colletti bianchi è, appunto, “una moda” . La moda è un fenomeno sociale.
    Nel contesto tribale è invece un fenomeno sì sociale, ma anche e soprattutto culturale. Parliamo di tatuaggi Maori. Il popolo Maori li usava per “raccontare se stessi”; possiamo dire che è lo stesso principio delle incisioni rupestri, con la differenza che questi sono disegnati sulla propria pelle. Inoltre le incisioni rupestri raccontavano la “quotidianità” delle azioni mentre i tatuaggi Maori illustrano su pelle un fatto accaduto alla persona e che ne determina una particolare condizione dell’anima.
    Io direi che è un “fenomeno sociale”, almeno credo, ciò che in qualche modo “risuona” nella coscienza delle persone.
    A prescindere da quanto questo possa fare o meno parte della propria cultura.
    Mi spiace aver usato la moda come esempio, mi sembra riduttivo eticamente anche se rende benissimo l’idea di come una “cosa” possa influenzare le masse. E se l’influenza è perché “smuove” qualcosa dentro. Qualcosa di antico, di arcaico.
    Come dici tu, “qualcuno” ad un certo punto inizia a indirizzare lettere al 221b di Baker Street. Quello che bisogna chiedersi è “perché”? Che cosa colpisce la coscienza collettiva in questo modo?
    Mi viene in mente anche Dylan Dog (alle superiori lo mangiavo con la nutella): l’indagatore dell’incubo abitava in Craven Road, non ricordo il numero. Ma ho amici che una volta a Londra hanno cercato Craven Road Street!
    C’è qualcosa in queste figure che smuove la coscienza. E mi rifaccio al post del Dott. House: sono persone infallibili che inspirano fiducia, ma una fiducia autentica poiché entrambi non si amalgamano alla massa ma in qualche modo “spiccano”.
    E’ di questo che ha bisogno l’Umanità? Di una guida, un altro Cristo forse?
    E per la moda il nesso qual è? Il sentirsi “gruppo” in una società alienante?
    E coloro che invece non ne sono vittima? Non ne sentono l’esigenza forse. Non hanno bisogno di esprimere il senso di appartenenza poiché già essi “sono”.
    E c’è anche chi riesce ad anticiparle, le masse. Qualcuno che ci arrivava 30 anni prima (e qui non mi riferisco solamente al settore del fashion) e che diventa “fenomeno” poi. Quelli sono gli “illuminati”. In molti sono stati uccisi. Guardiamo il piano musicale: canzoni di 30 o 40 anni fa potrebbero benissimo descrivere i tempi attuali. Altre invece hanno un contenuto “universale”, erano sono e saranno sempre attuali. Questo concetto dal sapore ultraterreno può essere riassunto come ciò che si definisce “una buona comunicazione tra mentre conscia e inconscia”, una naturale attitudine a decifrare istintivamente i segnali dell’inconscio poiché l’uomo da sempre si ripete.
    Ci sono “cose” che l’uomo sente essere come vere dentro nel profondo, nelle viscere.

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