strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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Le ultime 24 ore

Domani, 2 Ottobre 2023, la guadie della Prihione di Facebook apriranno i cancelli, ed io sarò nuovamente libero di postare noi gruppi di cui sono membro-
Come forse riocroderete, in 2 di Settembre ho avuto la malaugurata idea di condividere una notizia che mi era arrivata su Facebook, riguardo l’uscita di un nuone documentario sui film di Dario Argento. Questa condivisione conteneva un’immagina da Suspiria che ha fatto squillare gli allarmi dell’algoritmo, che si è conmvinto che io stessi istigando all’auto-immolazione tutti i membri di Paura Y Delirio WTF. Immediatamente, la solerte intelligenza artificiale di Zuckerberg mi ha consigliato di rivolgermi a una struttura di supporto psicologico (niente battute, grazie) e poi mi ha sospeso per un mese, informandomi che andare avanti in questo senso avrebbe avuto “delle serie conseguenze”.

Così per un mese non ho potuto postare nei gruppi che ho creato o che co-amministro per restare in contatto con chi mi conosce, e magari segue in mio lavoro, e nei gruppi di cui sono parte e che coprono i miei diversi interessi.
Ho perso l’opportunità di condividere, ad esempio, i post fatti per il Cimmerian September con la comunità degli appassionati di sword & sorcery, o l’uscita del mio romanzo Dreams of Fire nei gruppi di appassionati di fantasy.
Questo, perché un fotogramma di un film vecchio di cinquant’anni avrebbe potuto spingere qualcuno a farsi del male, ed io ho evidentemente postato quel fotogramma proprio con questo scopo.

D’altra parte, sono tre anni che sono sotto osservazione dopo essere stato segnalato e bloccato con questo blog, in quanto diffondo l’odio. Quindi qualunque mia attività è sospetta, e come dicevamia nonna “dove c’è il sospetto c’è il difetto”.
Colpevole fino a prova contraria.
Il blog non può essere condiviso su Facebook, e non avendo idea dei criteri usati dall’Algoritmo, ogni attività su FB potrebbe portare a una nuova incarcerazione, o magari “delle serie conseguenze”.
Ho già ampiamente discusso di come questo mi abbia causato un piccolo ma significativo danno economico – oltre a limitare la mia libertà di espressione (che quella, alla fine, non è che interessi a nessuno).

Ma guardiamo al lato positivo.
Chiuso fuori da Facebook perché sono, a quanto pare, una via di mezzo fra Thulsa Doom e Jim Jones, mi sono trovato ad avere un sacco di tempo libero.
Perché è difficile immaginare quanto tempo i social ci possono sottrarre per pura erosione.

Così in settembre ho chiuso la prima traduzione su cui stavo lavorando, e sono partito con la seconda.
Ho firmato un contratto per due romanzi e ho scritto 12.000 parole del primo.
Sono finalmente tornato alla pratica di leggere due libri alla settimana. E contemporaneamente ho riletto tutte le storie di Conan scritte da Bob Howard, e ne ho scritto su Karavansara.
Ho sperimentato un paio di nuove ricette per variare la dieta.
Ho ripreso a camminare con regolarità, cercando di rimettere in sesto la salute traballante.
Ho ripreso a postere con una certa regolarità sul mio Patreon, ridando vita al Piano Bar del Fantastico e cominciando a postare le mie annotazioni a vari manuali e libri relativi alla scrittura, creando una sorta di corso di scrittura destrutturato che pare sia interessante.

[e qui potrei aggiungere che con solo un euro al mese potete avere accesso a tutto questo e molto altro, ma sarebbe di estremo cattivo gusto, vero?]

E nel frattempo ho ricevuto un sacco di segnali, da vari angoli del mondo, da persone che conosco o che seguo che dopo aver abbadonato Twitter (che in effetti ormai mi inonda di spam), hanno lasciato anche Facebook e Instagram, e lasciato Tik Tok agli adolescenti.
E la tentazione è forte.
Questo mese senza Facebook mi ha dimostrato abbondantemente che la mia presenza non è richiesta e non desta interesse. I social possono fare ampiamente a meno di me, dei miei lavori, delle mie opinioni.

Quindi, cosa succederà domani, quando si apriranno i cancelli della prigione di mister Zuckerberg?

Non lo so.
Ma probabilmente cambierà qualcosa.
Qualcosa è già cambiato.


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Il ritorno del Piano Bar del Fantastico

Il Piano Bar del Fantastico era la serie di post più popolari su questo blig, prima che venissimo messi in lista nera. Così popolare che si sone furbastri che ancora si rivendono i miei vecchi post come farina del loro sacco.
Dicono sia la forma più alta di apprezzamento.
Loro certamente vengono apprezzati dai loro follower.

Ora, alla fine di questa estate infernale, il Piano Bar del Fantastico riapre i battenti, in una nuova location: diventerà una serie di post sul mio canale Patreon.
Il primo episodio è online, ed è aperto a tutti, per chi volesse farsi un’idea-
L’argomento è il fantasy Medio-Orientale, una lista (incompleta) di titoli e autori.


Le prossime puntate, che compariranno mano a mano che ricevo delle richieste dai miei Patron, saranno disponibili, appunto, solo ai sostenitori che verseranno almeno un euro al mese.
(e sì, probabilmente avrei dovuto farlo prima)


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Fantasy e rivoluzione

Questo è un pezzo del piano bar del fantastico.
Nell’ultima puntata di Chiodi Rossi è venuta fuori – come a volte accade – una breve ma interessante divagazione. Più interessante, forse, di quanto potesse esserli l’episodio in sé. E da questa divagazione è arrivata una domanda, e ora proviamo a rispondere.

Uno degli elementi che spesso il mio complice Germano Hell Greco sottolinea, nei momdi fantastici che ci capita di visitare nel podcast, è l’assenza di un progresso tecnologico – è come se la presenza della magia arestasse lo sviluppo tecnologico del mondo, congelandolo non solo a livello scientifico ma anche, molto spesso, a livello sociale. Un medioevo eterno, o un eterno rinascimento.
Curioso quest’ultimo elemento, se consideriamo che il rinascimento è un periodo ricco di scoperte e riscoperte, e di trasformazioni.

Non così, molto spesso, nel fantasy classico.
OK, stiamo generalizzando, ma uno dei motivi, io credo, è che le idee scientifiche non sono il dominio del fantasy, che è invece il dominio delle scelte etiche e morali. Non materia ed energia, ma bene e male sono all’opera in questi mondi – e quindi ciò che interessa, a livello tematico gli autori non è lo sviluppo tecnologico, ma lo sviluppo morale dei loro mondi.
Dobbiamo sconfiggere l’oscuro signore, respingere i demoni nel loro inferno.
Costruire una caffettiera più efficiente, o creare un vascello spaziale che ci porti sulla luna, non ha nulla a che vedere con queste storie.

Per questo abbiamo spesso a che fare con dei mondi stagnanti – mondi che sono immutabili da millenni, in cui sconfiggere il male significherà tornare indietro, ai bei tempi prima che il male sorgesse a Occidente. Spesso incontreremo artefici meravigliosi, certo, ma che sono tali perché sanno creare artefatti straordinari come quelli che esistevano in passato, nell’età dell’oro.
Quante volte l’eroe trionfa perché ha accesso a un artefatto del passato, e non a un artefatto del futuro?

E naturalmente un altro tema portante è quello del ritorno allo status quo.
L’Oscuro Signore ed i suoi malvagi tirapiedi hanno calpestato le aiuole e lasciato lattine di birra e incarti di patatine ovunque, ma ora che sono stati sconfitti faremo pulizia e tutto tornerà come prima.

Ma non è sempre così’ – e nel podcast mi è parso opportuno citare l’opera di Michael Moorcock, i cui eroi non solo sono incapaci di restaurare le condizioni precedenti, ma spesso sono consapevoli che tale restaurazione sarebbe pericolosa quanto ciò che l’ha perturbata. Elric deve abbattere Melnibone, Corum deve mettere fine al mondo che ha conosciuto, Dorian Hawkmoon avrà l’orribile privilegio, nella seconda serie delle sue avventure, di vedere cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente.
L’universo narrativo di Moorcock è dinamico, ed evolve – perché la stagnazione è il male.

Ed in effetti esiste un filone di opere che hanno al proprio nucleo l’idea dell’abbattimento di questò stato di immobilità. E qui potrei cominciare col citare, come al solito, Gormenghast – perfetta rappresentazione di un universo completamente sclerotizzato, in cui i personaggi sono mere marionette, che devono replicare le azioni dei loro predecessori come registrate in infinite cronache. In Gormenghast la distruzione arriva due volte, prima con Steerpike, che trama e distrugge per ottenere il potere, e poi con Titus, che deve sconfiggere Steerpike, ma anche capire che non si può tornare indietro, e che bisogna creare qualcosa di nuovo.

Però mi dicono che Gormenghast è noioso e orribile e “non è vero fantasy”, e chi sono io per dire il contrario, giusto?
Rivolgiamo allora lo sguardo altrove.

Il primo titolo che mi viene in mente, pensando a fantasy che abbiano al loro nucleo una rivoluzione – e non una restaurazione – è probabilmente Freedom & Necessity, di Steven Brust e Emma Bull. Un fantasy storico ambientato nel 1848, ha dei rivoluzionari per protagonisti, e le grandi sollevazioni europee come sfondo.
È anche un romanzo epistolare, e pare che anche questo non sia “un vero fantasy”. E sì che ci sono anche gli elfi – forse, non è moltochiaro – e la magia, che però non si vede.

Restiamo con Steven Brust – che alcuni ricorderanno, è il fautore della “teoria della roba figa in letteratura” – che nella serie di Vlad Taltos affronta un problema interessante: cosa si può fare, per ribellarsi, in una società che è, per sua natura, immutabile?
La risposta di Vlad Taltos a questa domanda è quanto di più pragmatico – e divertente – si possa immaginare.

Mary Gentle, autrice per la quale ho una assoluta venerazione e che ha smesso di pubblicare da una ventina d’anni ha trattato spesso il tema della rivoluzione come motivo trasformativo nei suoi universi – nei racconti contenuti in Cartography, e certamente nella trilogia di Valentine White Crow, che si apre con lo straordinario Rats & Gargoyles.
Come il mondo di Taltos, spesso anche i mondi della Gentle appaiono thatcherianamente immutabili, ma è una illusione, e il cambiamento può essere tanto traumatico quanto indispensabile.

Il tema dell a rivoluzione e dell’usurpazione del trono è un tema dominante nei lavori di Karl Edward Wagner dedicati a Kane, lo spadaccino mistico. Kane è immortale per spregio nei confronti del dio che lo ha creato, ed il suo piano standard consiste nel mettersi al servizio di un potente, scalare il sistema, eliminare i vertici e diventare imperatore. Di solito non funziona benissimo.
E se il mondo di Kane è costellato di artefatti di epoche più civili (o più brutali), Kane è tuttavia un personaggio che, nella sua ricerca di una stabilità (il suo impero, con lui per sempre sul trono), opera come agente del cambiamento. Gli imperi crollano, e le circostanze cambiano.

E qui potremmo anche metterci un link commerciale (consideratevi avvertiti), visto che il ciclo completo di Kane sta per uscire in italiano, ed è tradotto benissimo.

Ma, a questo punto, potremmo dirci, se è sufficiente un eroe o anti-eroe nerboruto che calpesti coi suoi piedi calzati di sandali i troni del mondo, allora Conan lo ha fatto prima.
E non è del tutto sbagliato, e qui entriamo in un ambito interessante – è davvero rivoluzione se l’abbattimento dello status quo è dettato semplicemente dagli interessi di un singolo?
Perché Kane non è certo motivato dall’altruismo, e lo stesso possiamo dirlo per Conan.
O per l’opera di George R.R. Martin, che descrive semplicemente un a guerra di successione.

Forse dobbiamo guardare altrove.
A lavori come il recente The Unbroken, di C.L. Clark, che ha la rivoluzione addirittura nella tag line in copertina – e che è stato tradotto anche questo in italiano – quando si dice avere fortuna.
Il lavoro della Clark si inserisce in un filone che vede spesso sommovimenti politici e sociali al centro della scena. Si tratta spesso di lavori di autori e autrici appartenenti a culture diverse dalla nostra – penso a Fonda Lee col ciclo della Giada, che ha una notevole componente politica e un generale senso di insofferenza verso le strutture sociali tropo rigide, pur concentrandosi di più sulle strutture familiari che non su quelle politiche. E scopro con piacere, nel documentare questo post, che Jade City, primo volume della trilogia della Lee, è anche stato tradotto in italiano. bene.

E stiamo solo scalfendo la superficie.
La necessità di un cambiamento, insieme con l’impossibilità di ripristinare una ipotetica età dell’oro perduta in un’epoca precedentre, sembra essere un tema sempre più diffuso nel fantastico – come sempre uno specchio deformante della realtà in cui viviamo. Ci si puà guardare attorno, e si troveranno decine di storie – alcune più interessanti di altre – che vale la pena leggere.

E poi sì, naturalmente c’è il libro sulla più grande e ironica delle rivoluzioni, quella che portò Mahasamatman a sfidare gli dei.
Ma lui preferiva fare a meno del Maha e dell’-atman, e si faceva chiamare semplicemente Sam…

Ma quello naturalmente non è davvero fantasy. È fantascienza.

Magari ne riparleremo.


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Fra le macerie di Tekumel

Questo è un post del piano bar del fantastico, che riapre in queste sere d’estate con un pezzo che non è proprio piacevolissimo – diciamo pure che mi genera un certo ri brezzo – ma mi è stato richiesto, e queste sono le regole del piano bar.

La nostra storia comincia nel 1975, quando la TSR – sì, quelli di Dungeons & Dragons – pubblicarono un gioco di ruolo intitolato Empire of the Petal Throne. Il gioco era slegato da D&D, girava su un motore diverso costruito ad hoc, e offriva un setting science fantasy creato, a partire dagli anni ’40 e sull’onda dell’entusiasmo per La Terra Morente di Jack Vance, dall’allora professore di linguistica all’Università del Minnesota, M.A.R. Barker – il mondo di Tekumel.

Tekumel ha perciò il primato di essere il primo setting per un gioco di ruolo mai pubblicato – D&D, che pure era suo coetaneo, non aveva ancora all’epoca un mondo suo nel quale far muovere i personaggi – Mystara e Grayhawk erano di là da venire.

L’idea di base del setting è che dopo una guerra nel 21° secolo che ha lasciato in vita solo le culture Arabe, Maya e Tamil, il pianeta Tekumel sia stato colonizzato dai terrestri, trasformandosi col tempo (parliamo di 60.000 anni) in un pianeta delle vacanze per le elite terrestri – e per parecchie altre specie alieni.
Poi, un fenomeno inspiegabile trasporta il pianeta e tutto il suo sistema solare in una dimensione parallela, una pocket dimension dalla quale non si riesce a sfuggire. Qui la società di Tekumel si sviluppa in maniera autonoma per 50.000 anni. E ora possiamo cominciare a giocare.

Ciò che è difficile spiegare, per chi se lo fosse perso, è l’impatto di Tekumel sul mondo del gioco di ruolo – non solo questo è il primo setting mai pubblicato, ma è un lavoro di una complessità e di una profondità colossali. Degli imperi e delle nazioni di Tekumel conosciamo tutto – la storia, la geografia, la lingua, la religione e la mitologia, le alleanze e le rivalità; la struttura sociale e politica.
Immaginate la Terra di Mezzo, ma con influenze indiane, pre-colombiane e quant’altro.
Il primo universo fantasy in cui poter giocare, e non si tratta di un fantasy “all’Europea”, pseudo-celtico o falso-medievale. Notevole, vero?

Dal 1975, il gioco in un modo o nell’altro, non è mai andato fuori stampa.
Negli anni ’80 venne ristampato in due manuali da Gamescience, negli anni ’90 ritornò alla carica col titolo di Gardásiyal: Adventures on Tékumel da Theater of the Mind (la prima versione su cui io misi le mani), nei primi anni ‘2000 ricomparve come Tekumel: Empire of the Petal Throne per i tipi della Guardians of Order, e una decina di anni fa come Bethorm, pubblicato da UNIgames.
Esiste una Tekumel Foundation, dedicata al gioco ed al suo sviluppo.
È certamente uno dei setting più amati e più giocati della storia dell’hobby – e un sacco di “grandi antichi” (i giocatori della prima generazione, molti dei quali sono diventati autori o creatori di giochi) si sono fatti le ossa su questo sistema e in questo universo narrativo, hanno imparato il mestiere leggendo i manuali di Tekumel.

E come può succedere con un universo narrativo di questo genere, è anche facile venire respinti dalla complessità – io onestamente a metà di Deeds of the Ever-Glorious, il manuale che descrive nel dettaglio le imprese di ottantacinque legioni imperiali (ciascuna coi suoi colori per le tuniche, le sue insegne, il suo rostro di comandanti e ufficiali, la sua storia, le sue onorificenze, il suo inno di battaglia…), mi dissi che avevo di meglio da fare, e tornai ai Regni Giovani e a Stormbringer.
Se voi siete interessati, qui ci sono 25 pagine di cronologia semplificata della storia di Tekumel.

Quindi, un’opera storica per l’hobby, un lavoro colossale di worldbuilding, frutto della passione di M.A.R. Barker – che fu sempre molto attivo nell’hobby, ed intrattenne rapporti di amicizia e supporto con moltissimi giocatori e game designer fino alla sua morte avvenuta nel marzo del 2012.
Conosco personalmente almeno due creatori di giochi che hanno trovato il coraggio di fare del gioco di ruolo la loro professione grazie all’incoraggiamento del professor Barker.
E Tekumel viene normalmente citato come esempio di un setting inclusivo, non-eurocentrico, caratterizzato da una vasta diversità.

C’è solo un piccolo problema.
Un problema di cui alcuni già accennavano, in toni vaghi ed incerti, alcuni anni or sono, ma che pochi mesi fa è stato finalmente confermato.
M.A.R. Barker, classe 1929, era un nazista – e lo è stato per buona parte della sua esistenza.

Tra il 1990 ed il 2002 Barker servì come editor di una rivista “storica” (le virgolette sono d’obbligo) dedicata – fra le altre cose – alla negazione della Shoah. E con lo pseudonimo di Randolph D. Calverhall,m nel 1991 pubblicò un romanzo – Serpent’s Walk – con una delle principali case editrrici neonaziste negli USA.

Nel romanzo, un gruppo di bravi e volenterosi membri delle SS …
No, non ce la faccio – mettiamoci semplicemente la quarta di copertina:

I buoni a volte vincono. Non sempre, ovviamente. Hanno perso alla grande nella seconda guerra mondiale. Questa è stata una vittoria per comunisti, democratici ed ebrei, ma tutti gli altri hanno perso.
Serpent’s Walk è un romanzo in cui l’élite guerriera di Hitler, le SS, non rinuncia alla lotta per un mondo bianco quando perde la seconda guerra mondiale. Invece i sopravvissuti scivolano nell’ombra e adottano alcune delle tattiche dei loro nemici: iniziano a costruire muscoli economici e ad acquistare i media per formare l’opinione pubblica. Un secolo dopo la guerra, sono pronti a sfidare i democratici e gli ebrei per i cuori e le menti dei bianchi americani, che hanno iniziato ad averne abbastanza di multiculturalismo e ‘uguaglianza’ imposti dal governo.
Il risultato è un grande conflitto, che non possono permettersi di perdere.

Lasciamo a questo punto la parola a un recensore su Goodreads…

La copertina in stile Young Adult

Davvero non un brutto libro. Buona narrativa; sarebbe anche buono per qualcuno che sia aperto e disposto ad imparare. È un po’ debole dal punto di vista filosofico e molto debole sul problema ebraico (in qualche modo li fa sembrare solo un altro gruppo di cattivi ma in realtà non speciali). Ma dirò che contiene molte più spiegazioni di posizioni politiche (da quello che posso ricordare) rispetto ad altri romanzi nel suo genere, che è abbastanza raro.
Mi è piaciuto soprattutto leggerlo perché l’autore sa scrivere bene nel genere della fantascienza ed è esplicitamente pro-Nazional Socialismo. La mia più grande critica sarebbe per la copertina, che lo fa sembrare un libro per “young adult”.

E così è venuto tutto fuori – come l’uomo che nel 2009 Der Spiegel aveva definito “il Tolkien dimenticato” fosse di fatto un suprematista bianco, uno convinto che esistesse una cospirazione comunista-ebraico-massonica per il controllo delle menti della popolazione, un antisemita che negava la Soluzione Finale … ma al contempo la considerava una soluzione accettabile.

Definire l’effetto di queste rivelazioni sulla community “un terremoto” è un assoluto understatement.
Come vi sentireste, se l’uomo che ha creato il mondo immaginario in cui avete trascorso gran parte della vostra adolescenza, l’uomo che vi ha incoraggiati nel perseverare nel vostro hobby, che ha lodato il vostro lavoro, fosse anche stato il genere di uomo che è fermamente convinto che voi non siate davvero esseri umani, ed andreste uccisi insieme a tutti quelli come voi?
Questo è molto peggio della buonanima di Gary Gygax che afferma che, sulla base del “determinismo biologico” in cui crede, è convinto che le femmine non siano in grado di giocare a D&D.
Questo è infinitamente peggio.
Ecco, immaginate il terremoto, ora.

Il punto – come ha fatto notare Pauli Kidd, una delle prime persone a occuparsi sul proprio canale youtube di questa storiaccia – è certamente quello di separare l’autore dalla sua opera.
Il fatto che Barker fosse un nazista non fa dei giocatori di ruolo dei nazisti, o dell’hobby una specie di campo di addestramento per membri della Gioventù Hitleriana.
È vero che alla luce delle opinioni di Barker, alcuni tratti della società di Tekumel – come ad esempio la netta separazione di classi sociali e gruppi etnici – assume un significato sinistro. Ma giocare nel mondo di Tekumel non ha fatto di quei giocatori dei neonazisti, ed io trovo particolarmente ironico – e soddisfacente – che di fatto tutte le persone che sono state ispirate dal lavoro di Barker siano il genere di persone che Barker odiava dal profondo della sua anima. Persone che hanno creato i propri mondi e le proprie storie, dando voce a valori che alla buonanima di Barker avrebbero fatto venire le convulsioni.
Questo è bene.

Intanto, la Tekumel Foundation ha deciso di devolvere tutti gli incassi in beneficenza.

Resta una faccenda orribile.
E sì, lo so – anche qui, a pochi click di distanza su Youtube, posso trovare qualche imbecille che si descrive come “suprematista bianco” mentre delira “di argomenti nerd,” e poi se viene pizzicato “è solo una provocazione.”
Ricordate che è sempre così che fanno i bulli, vero?
Vi prendono a calci, ma se vi ribellate siete voi che non sapete stare allo scherzo.
In linea di massima, come dicono gli anglosassoni, se sembra un’anatra, e fa il verso dell’anatra…
Lasciare spazio a queste persone significa essere complici.
Non prima, quando non siamo consapevoli di cosa si nasconda dietro alle mappe ed ai manuali con cui noi diamo forma ai nostri sogni, ma decisamente quando non c’è più modo di sfuggire alla verità.

E qui chiudiamo questo breve concerto.


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Ritorno ai fondamentali

Questo post è una specie di piano bar del fantastico, e nasce da una osservazione che mi è stata fatta durante il weekend, e che faceva più o meno

sì, OK, facile sfottere chi conosce solo Conan e il Signore degli Anelli, citando titoli in inglese – cosa dovrebbe leggere secondo te, in italiano, uno che non voglia sentirsi dare dell’ignorante quando parla a vanvera del fantastico?

E la prima risposta è naturalmente “il più possibile”, ma ammettiamolo, sarebbe barare.
Uno dei seri problemi, per un lettore che si avvicini in questo momento alla letteratura di genere è non la povertà degli scaffali, quanto l’assenza di una memoria storica. Io sono stato fortunato (e con me quelli della mia generazione): andando in libreria trovavamo una certa quantità di novità, è vero, ma anche i classici, il più recente Premio Hugo e una ristampa di storie apparse su Astounding o Weird Tales negli anni ’30. E avevamo delle ricche introduzioni, per cui si leggeva un romanzo e se ne scoprivano altri sette. Era un mondo perfetto? No – io cominciai a leggere in inglese per spendere di meno e per poter leggere cose che in italiano non si trovavano, ma c’era una grande varietà, ed era possibile vedere lo sviluppo del genere dalle sue origini al presente, lì, sullo scaffale.
Possiamo farlo ancora oggi?
Certo, possiamo battere le bancarelle per cercare quegli artefatti di un’epoca più civile, ma se volessimo qualcosa che non sia stampato su carta ingiallita e fragile? Magari delle traduzioni aggiornate? Magari un po’ di apparato critico moderno che ci faccia venire delle idee?

Una risposta me la suggerisce la seconda risposta che ho dato al mio interlocutore…

Beh, stanno per ristampare tutto Lankhmar, no?

Perché difficilmente qualcuno che abbia letto le storie di Fafhrd e del Gray Mouser se ne uscirà con la storia che la sword & sorcery è il genere letterario popolato di uomini muscolosi. E la nuova edizione Mondadori, da quello che ho visto nelle anteprime, è meravigliosa.
E tra parentesi è Fa’ferd, non Fatfard.
Ma torniamo al problema di partenza – cosa leggiamo?

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Leggere ad Agosto – gli sconti sugli Oscar e una dozzina di titoli

Questo è un post del piano bar del fantastico – o quasi.
La notizia è che è in corso la campagna sconti degli Oscar Mondadori, e per tutto il mese si possono risparmiare un po’ di soldi mentre ci si compra qualcosa da leggere.
E mi è stato chiesto di suggerire qualcosa.
E perché no – bisogna sempre ascoltare i suggerimenti dei lettori del blog.

Per cui il piano era semplice – andare su Amazon, spulciare il catalogo degli Oscar, e mettere giù due liste: una di saggi e una di opere di narativa. Cinque e cinque. Bello liscio.

Poi però, saltando da un titolo all’altro, ha cominciato a delinearsi un percorso diverso.
La narrativa è quasi scomparsa, e la saggistica ha preso il sopravvento.
Scienze e storia, soprattutto, perché quelli sono i miei interessi, ma con qualche deriva qua e là.
Perciò, come diceva quel tale, il catalogo è questo – una dozzina di libri che io (ri-)comprerei per passare il tempo durante questo agosto che ormai è cominciato. Soprattutto saggistica, con qualcosa di narrativo.

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Un giro a Ryhope Wood

Questo è un post del piano bar del fantastico. Era un po’ che non ne facevo ma ieri chiacchierando con un’amica, mi è stato chiesto di fare un pezzo sul ciclo dei Mythago, o ciclo di Ryhope Wood, della buonanima di Robert Holdstock. Il caso vuole che quest’anno cada il decimo anniversario della scomparsa di Holdstock, e mi pare una buona idea farci un post.

È anche interessante, perché il primo romanzo della serie, Mythago Wood, è del 1984 e quindi ricade ancora in quell’interregno durante il quale alla narrativa fantasy era ancora permesso tentare strade diverse dal template fantasy che sarebbe da lì a poco diventato lo standard. Ed in effetti il ciclo ha le sue radici in una novella pubblicata nell’81.

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La cuociriso elettrica

Si era detto di fare un post sulla cuociriso – un po’ perché lo sappiamo che non è sempre caviale (a volte è riso), un po’ perché a quanto pare questo si sta trasformando in un lifestyle blog, un po’ perché ancora una volta questo aggeggio non ha una sua pagina Wikipedia in italiano.
E chissà poi perché.

Traduciamo allora la Wikipedia degli inglesi, tanto per aver chiaro di cosa stiamo parlando…

Una cuociriso o cuociriso a vapore è un elettrodomestico da cucina progettato per bollire o cuocere a vapore il riso. Consiste di una fonte di calore, una ciotola di cottura e un termostato. Il termostato misura la temperatura della ciotola di cottura e controlla il calore. Le cuociriso più complesse possono avere molti più sensori e altri componenti e possono essere multiuso. […] Il termine cuociriso era precedentemente applicato a utensili per la cottura del riso dedicati non automatizzati, che hanno una storia antica (una cuociriso a vapore in ceramica risalente al 1250 aC è esposta nel British Museum). Ora il termine si applica principalmente ad elettrodomestici automatici. Le cuociriso elettriche sono state sviluppate in Giappone, dove sono conosciute come suihanki (炊 飯 器).

Bello liscio.

Ma ci mettiamo subito un avviso – esiste anche una cosa chiamata cuociriso per il microonde, di base un contenitore speciale in plastica per la cottura del riso in microonde. Non mi occuperò di quello, in questo post. Continua a leggere