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Editoria tradizionale o autoproduzione, l’opinione degli autori

3 commenti

dbw-publishedauthorexpectatÈ estremamente improbabile che qualcuno di noi legga a breve What Advantages do Traditional Publishers Offer Authors, A Comparison of Traditional and Indie Publishing from the Authors’ Perspective, di Dana Beth Weinberg and Jeremy Greenfield.
Si tratta di uno studio condotto congiuntamente da Digital Book World e da Writer’s Digest, e circola in formato pdf, per la cifra di 295 dollari.

Poiché non abbiamo quei soldi da spendere, ci conviene approfittare dalle tabelle scelte pubblicate da DBW, e ragionarci un po’ su, volete?
Sarà una buona occasione, fra le altre cose, per sentire l’opinione di chi c’è dentro, e confrontarla con quella di chi dentro vorrebbe esserci, ma non c’è ancora.
Vedrete che sarà interessante.

Le tabelle di DBW si concentrano su tre argomenti – proiduzione, marketing & distribuzione, e guadagni legati al libro.
Gli autori intervistati (e l’esatto numero degli intervistati è l’unico dettaglio critico mancante, purtroppo) sono stati suddivisi in quattro categorie – aspiranti (non hanno ancora pubblicato), autoprodotti (si pubblicano da sè), pubblicati tradizionalmente (quindi legati a case editrici tradizionali) e “ibridi” (pubblicano sia tradizionalmente che da sé).
Le risposte alle domande sono state raggruppate in cinque classi – genericamente da “giudizio molto favorevole all’autopubblicazione” a “giudizio molto favorevole alla pubblicazione tradizionale.

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I grafici sono cumulativi – maggiore l’ampiezza di una determinata banda di colore, maggiore il numero delle persone che hanno espresso quella opinione. La somma dà 100.

Il primo grafico, relativo alla produzione del volume, riguarda due domande – una sulla qualità del prodotto finito, una sul controllo artistico dell’autore sul prodotto.

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Il discorso qualitativo appare decisamente a favore della pubblicazione tradizionale – ma curiosamente non solo la maggioranza degli autoprodotti, ma anche degli ibridi (che conoscono entrambe le realtà) sembrano convinti che il livello di qualità sia (o possa essere) lo stesso.
Non c’è storia invece sul controllo creativo – e le risposte sono prevedibili.

Marketing e distribuzione mostrano una generale convinzione che il libro abbia una maggiore visibilità se prodotto da una casa editrice tradizionale.
La cosa non sorprende.

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Anche qui, tuttavia, è interessante l’opinione degli ibridi – fra i quali prevale che, per ciò che riguarda i servizi di marketing, un autoprodotto e una casa editrice tradizionale spesso se la giochino alla pari.

Il terzo grafico è altrettanto interessante.

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Quando si parla di royalties, meno di un quarto degli intervistati, in tutte le categorie, è convinto di poter guadagnare di più lavorando con un editore tradizionale.
La probabilità di raggiungere lo status di best seller resta tuttavia bilanciata al 50% o quasi fra i due modelli di produzione – segno che gli autori credono che sia la qualità del proprio testo, non la fdinamica produttiva, a fare il successo di un libro.

È interssante notare infine il dato dei costi di produzione, per il quale non viene fornito un grafico.
ma si dice che

All four types of authors associated higher time and money costs with self-publishing. Overall, they perceived that with self-publishing they were more likely to spend more of their own time and money on editing and preparing their books for publication and on marketing and promotion. However, hybrid authors were split on the issue of whether they would spend more time on marketing: The most popular answer choice for this group was that they would spend the same either way (47.2%).

Interessante, non trovate?

Resta il problema di come interpretare questi dati.

Dalle risposte parrebbe logico affermare che chi sceglie l’autopubblicazione è attratto dal controllo artistico sul prodotto finito, e dalla possibilità di guadagnare di più. È convinto (nella maggior parte dei casi) di poter fornire un prodotto di qualità affine a quello di un editore tradizionale, ma che costerà più tempo e denaro a livello produttivo, e non godrà degli stessi vantaggi legati a distribuzione e marketing.
Gli autori tradizionali testimoniano un maggior supporto da parte delle case editrici, con un vantaggio sulle spese personali e sulle vendite ma non sugli introiti, ed una drastica riduzione del controllo creativo.

Pare evidente che il controllo creativo, se lo vuoi, costa.

Altrettanto interessante è paragonare le opinioni degli aspiranti – che sono un po’ il sogno prima dell’impatto con la realtà – con le opinioni in particolari di autori pubblicati tradizionalmente ed autori ibridi.
Che la realtà, si suppone, l’hanno impattata eccome.

Resta il grossissimo problema dell’assenza dei numeri – quanti autori sono stati intervistati? Le quattro categorie sono composte da un numero confrontabile di individui?
Perché è ovvio che se una categoria è composta da 100 persone, e un’altra da 15, confrontare le percentuali delle loro risposte ha un po’ poco significato.
Bisognerebbe vedere i numeri – ma per farlo, tocca spendere 295 dollari per un ebook.

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Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

3 thoughts on “Editoria tradizionale o autoproduzione, l’opinione degli autori

  1. L’analisi riportata, mi sembra innanzitutto che ribadisca un fattore che nel nostro paese è ancora da consolidarsi. La coesistenza di libri in formato elettronico e cartaceo. Premettendo questo, trovo rassicurante da un lato l’equilibrio che emerge tra i due formati e stimolante le prospettive di maggior controllo artistico nell’ambito dell’autoproduzione, via che mi sta interessando sempre di più.

  2. Il controllo artistico è certamente una delle grandi attrattive dell’autoproduzione (che poi, come non mi stancherò mai di dire, non è affatto una pratica solitaria).
    In questo senso sarebbe il caso di ribadire che per molti la scelta dell’autopubblicazione non è una spiacevole necessità dovuta al fatto che nessuno si fila il loro brutto libro, ma una scelta consapevole per mantenere il controllo del proprio lavoro.
    E magari anche la maggior parte dei ricavati.
    Se vogliamo, il controllo artistico comincia dal momento in cui ci si mette al lavoro su un’opera (che sia un racconto o un saggio) che non ha un mercato abbastanza ampio da destare l’interesse di un editore – non perché sia di bassa qualità, ma perché rappresenta un interesse di nicchia.
    Non che i detrattori siano facilmente disposti ad accettare questa ipotesi, naturalmente – poiché apre tutta una serie di implicazioni spiacevoli.

  3. ottimo articolo che ci fa risparmiare 295 verdoni 🙂 Io da ibrido posso dire, ma sono fortunato e scrivo in un settore di nicchia, che non noto grandi differenze, se non nella qulità (editing, estetica e materiali delle versioni cartacee).

    Lavorando in una nicchia ben precisa, il numero di copie maggiori vendute dalla CE tradizionale bilancia le royalties molto più basse (12,5 contro 70-90) quindi alla fine i soldi sono più o meno gli stessi, e si raggiunge una diffusione maggiore che magari porta a vendite maggiori dei propri titoli autoprodotti (ma sto parlando prima di aver ancora visto assegni dalla CE).

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