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ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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Creatività, Taoismo e narrativa d’immaginazione

La prima parte di un interessante articolo sull’annosa questione di cosa pensino gli autori di fantascienza, dove trovino le proprie idee e cosa ne facciano, è comparsa sul blog di Vittorio Catani.
Una lettura interessante, che promette ulteriori spunti nei prossimi episodi.

Il caso vuole che, mentre Vittorio inizia a pubblicare i propri pensieri, io stia leggendo una raccolta di articoli su creatività e immaginazione scritti da Stephen Russell, autore taoista britannico da qualche anno responsabile di un interessante adattamento delle basi del pensiero filosofico cinese alla realtà occidentale del ventunesimo secolo.
E se da unaparte mi sorge il dubbio che il Caso e la Necessità vogliano dirmi qualcosa, dall’altra mi viene voglia di dire la mia sull’intera faccenda.
Non tanto su come funzionino le idee della fantascienza -a quello ci sta pensando Vittorio – quanto su come funzioni il cervello di chi la fantascienza la pratica.
Con riferimento al pensiero taoista.
Dopotutto, Composizione e Presentazione sono due delle Cinque Eccellenze taoiste.

Vediamo.
In prima battuta, è importante ricordare che chi scrive fantascienza o fantasy non necessariamente crede a ciò che sta scrivendo.
Pare che, anni addietro, alcuni rapaci parenti del fantasista americano Piers Anthony cercarono di far internare il proprio non ancora famosissimo parente sulla scorta dei libri che scriveva.
Uno che scrive storie con astronavi, stregoneria e quant’altro, sostenevano costoro, dev’essere pazzo.

Di fatto, vale la descrizione fatta da Cory Doctorow e Karl Schroeder nel loro Compete Idiot’s Guide to Publishing Science Fiction (pagina 60, traduzione mia)

La verità è che gli autori di SF sono scettici. Non credono a nulla di ciò che viene detto loro, ed è questo scetticismo che porta a pensare in maniera innovativa. Un talento basilare per questo mestiere è l’abilità di immergersi completamente in un’area di pensiero – che sia la fisica, la paleontologia, o la storiadella dinastia Romanov – mentre si pensa a come le cose potrebbero andare diversamente.

Ed anche questo potrebbe essere considerato un sintomo di follia.
È invece semplicemente un indice di creatività.

Ora, ne abbiamo discusso in passato, la creatività è soggetta ad un trattamento schizofrenico nella nostra società.
Da una parte viene vista come un dono di Dio a pochi eletti, e come tale ammirata ed invidiata, fatta soggetto di dubbi programmi televisivi.
Per contro, viene considerata superflua o addirittura dannosa in molte sedi – prime fra tutte la scuola ed il lavoro.
Questo è particolarmente triste se consideriamo che di fatto la creatività non è un dono di Dio a pochi eletti, ma piuttosto un carattere selezionato evolutivamente  e compilato nel nostro DNA.
Tutti ce l’hanno.
Alcuni riescono ad attivarla prima – e li trasformiamo in emarginati a scuola, dove di solito gli insegnanti hanno ben chiara quale sia la maniera giusta di svolgere un tema, risolvere un problema matematico o disegnare un gatto, e perciò chi fa diversamente prende tre.
Ne abbiamo già parlato.
Attivare la creatività e imparare a tenerla sotto controllo senza imbrigliarla è questione di pratica.
Scrivere scrivere scrivere.
Disegnare disegnare disegnare.
Suonare suonare suonare.

I taoisti dicono che anche massaggiarsi l’incavo tra la spalla e il collo, sotto alla clavicola, aiuta a sviluppare la creatività. Quello, ed applicare una pressione stabile, per circa tre minuti, al centro dei lobi delle orecchie.
Più interessante è invece il discorso sulla necessità di zittire le voci che ciarlano nel nostro cervello mentre cerchiamo di fare ciò che vorremmo fare.
Oltre al chiacchiericcio costante dei pensieri, sono in particolare l’impazienza (la voce che ci sprona a fare più in fretta, a fare di più, o piuttosto a mollare tutto) ed il nostro critico interno (che ci sprona a mollare tutto, o al limite a fare di più, e meglio) che vanno zittite in fase compositiva.
Come si fà?
Meditazione,c erto.
Ma anche solo lasciare che la mente razionale si concentri su una partita a Freecell mentre il resto della nostra mente riordina le pagine del nostro racconto potrebbe essere sufficiente.
Non a caso uno dei migliori software per scrittori in circolazione – Writer’s Café – includeva a suo tempo un solitario.
Per staccare.

Più interessante è l’idea mutuata dal Taoismo secondo la quale l’esercizio della creatività avrebbe effetti positivi sulla salute.
Da una parte, per via dele affinità dell’atto creativo con la meditazione.
Dall’altra per l’azione di raffinazione alchemica – per così dire – delle nostre scorie mentali.
In fondo non è poi diverso da ciò che afferma Freud, citato da Vittorio Catani nel suo pezzo…

“…l’uomo felice non fantastica, solo l’insoddisfatto lo fa (…) e ogni
singola fantasia è un appagamento di un desiderio, una correzione della
realtà che ci lascia insoddisfatti”. Chi scrive, insomma, rielabora
materiale emergente dal profondo e che dovrà ovviamente subire un
adeguato procedimento di razionalizzazione per essere “tradotto” in
narrativa (in ciò giocheranno i valori formali, i codici linguistici,
la presunta destinazione del “prodotto” e così via).

E davvero il riferimento ad un canale che collega le profondità del nostro essere con i principi informatori della realtà si trova anche neiriferimenti taoisti, che suggeriscono di visualizzare ed affermare questo condotto, sincronizzandone i flussi con la respirazione (carburante della fornace interiore dell’uomo).
Non è detto che funzioni, ma i  taoisti ci credono.

Fa davvero bene alla salute?
È davvero, come sostiene Russell, rilassante?
In verità, io quando scrivo sono intrattabile, insoddisfatto e infastidito dai miei simili e desideroso solo di finire questa cosa in sospeso che ho salvata sul desktop – che sia un articolo accademico, un racconto, una recensione…
Mi trascinoc ome un derelitto, campo di succo d’arancia té bollente e riso bollito, non dormo la notte.
Non mi rado.
Non mi pettino.
Un animale.
Se mai dovessi metter mano a un volume-mastodonte da mille pagine, sprofonderei probabilmente in un abisso senza fondo di umor nero e paranoia dal quale potrei riemergere solo con tre mesi su una spiaggia della Costa Azzura, a bere chinotto e intrattenermi con avvenenti bagnanti.
Comunque improbabile, visti i pochi soldi che gli editori scuciono abitualmente ai romanzieri…
https://i0.wp.com/www.sandowplus.co.uk/Competition/Atlas/NewMan/NewMan-01-small.jpg
È però vero che a lavoro finito, stampato, inviato all’editore, la tensione si scarica.
Si torna a dormire senza problemi di insonnia.
Si ritrova il piacere di sperimentare con spezie e codimenti in cucina.
Gli amici non appaiono più inadeguati a portare il titolo di Homo sapiens.
Il compimento dell’atto creativo porta ad un certo benessere.
Ma a ben pensarci, questo alternarsi stress-rilassamento ricorda di più il metodo della tensione dinamica di Mister Atlas, pubblicizzato su tanti pulp degli anni ’50, che non l’insegnamento di qualche antico eremita cinese.

Devo anche ammettere che lo stress connesso alla scrittura non è forse uno stress creativo, ma uno stress operativo.
È la tastiera del computer che è inadeguata, l’impaginazione, i font.
La storia, complici lunghe partite a Freecell o a SameGnome, lunghe passeggiate e tanta buona musica,si compone senza fatica nel nostro cervello.
È portarla da lì alla pagina che è una fonte di patimento.
Devìessere per questoche i precetti taoisti raccomandano di scegliere con cura i propri strumenti, eperché si enfatizzi tanto l’esercizio che porta a trascendere la tecnica.
Per andare oltre lo strumento, rendere la parte operativa inconsapevole, non creare sforzi nel trasferire le note dallo spartito all’etere passando per il cervello, i muscoli, il materiale vile dello strumento musicale.
Niente deve frapporsi fra pensiero e azione.