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L’uomo dietro la maschera

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Volevo fare un post diverso, ma poi mi sono perso nella biografia di Armando Giuseppe Catalano, e ho deciso di cambiare il taglio di ciò che avrei voluto raccontarvi. Ve lo racconterò ugualmente, ma partendo da Armando, perché… beh, capirete perché.

Armando Joseph (o Giuseppe) Catalano nacque a New York nel 1924, figlio di Attilio e Clara Catalano, che erano emigrati dalla Sicilia. Un giovane brillante, molto forte in matematica, Armando si pagò il liceo lavorando al chiosco delle bibite fuori dal liceo medesimo, e successivamente entrò in accademia militare, dove di dimostrò (anche) un eccellente giocatore di football e un abile scacchista. Gli altri suoi hobby includevano l’astronomia, la scherma, la musica classica e i pesci tropicali.

E questa non è la storia fatta coi cialtroni anche se, come vedrete, potrebbe esserlo…

Era un bel giovane, Armando Catalano, un metro e novantuno per ottantasei chili, occhi castani, capelli neri, lineamenti regolari, un buon portamento perfezionato dallo sport e dalla disciplina militare.
Gli sarebbe piaciuto fare l’attore, più che continuare nelle orme paterne, e diventare un assicuratore.

Per pagarsi la scuola di teatro lavorò come saldatore, come contabile, come ispettore nelle linee di montaggio degli aerei durante la seconda guerra mondiale, e poi finì a fare il commesso in un negozio di valigie.
Andò a Hollywood e fece un paio di particine e poi tornò a New York per fare pubblicità. Divenne un fotomodello molto pagato, e decise di cambiare nome. Qualcosa di più anglosassone, che la gente non facesse fatica a pronunciare. Ottenne qualche altra particina in film di serie B – cose tipo I was a teenage werewolf.

Poi arrivò un casting call dalla Disney.
Cercavano un attore attraente, con buone capacità atletiche, che sapesse andare a cavallo e tirare di scherma.
Armando fece il colloquio e il provino con Walt Disney in persona.
Ma a quel punto ovviamente non si chiamava più Armando Catalano.
Si chiamava Guy Williams, e Walt Disney gli consigliò di farsi crescere dei baffi alla Errol Flynn.
Perché Guy Williams sarebbe stato Zorro.

Guy Williams, che se ne è andato nel 1989, a Buenos Aires, è stato uno dei primi attori a diventare un’autentica superstar con la televisione, e non col cinema. I settantotto episodi di Zorro della Disney furono un successo globale, e trasformarono il personaggio creato nel 1919 da Johnston McCulley in una icona, e Guy Williams in un idolo per milioni di ragazzini.

Spesso riproposto, qui da noi come altrove, in televisione negli anni ’70, Zorro fu una sorta di ossessione per la mia generazione – era certamente il costume più venduto per carnevale, aveva una sua serie a fumetti, e ci si cavava allegramente gli occhi, durante le vacanze estive, usando rami di salice o stecche degli ombrelli come fioretti in duelli furiosi…

Immagino abbiate notato, nelle ultime 36 ore, un ritorno di fiamma, per così dire, per lo spadaccino mascherato.
La ragione, nel caso ve lo foste persi, è la pubblicazione sui social della prima pagina della biografia di un noto politico italiano. Dopo averci rivelato che si tratta dell’uomo più desiderato dalle donne del nostro paese, ed aver sottolineato come abbia toccato il cuore degli italiani con la sua schiettezza, l’autrice del volume ci aggiunge un dettaglio inaspettato, proprio a fondo pagina, le ultime tre righe: da bambino, all’asilo, qualcuno rubò al nostro eroe un pupazzetto di Zorro.

E lì si sono aperte le cataratte, una marea di battute, vignette, memi e sberleffi, che hanno trovato facile appiglio non solo nell’infantilismo dell’idea, ma anche e soprattutto nel contrasto fra l’eroe dei deboli, che sfida l’autorità e si fa beffe del Sergente Garcia, rispetto a un personaggio autoritario e spiacevole, verbalmente aggressivo e incapace di reggere un contraddittorio, che usa le forze dell’ordine come se fossero i suoi personali pretoriani.

E io a dire il vero, avevo cominciato questo post cercando semplicemente il link dove potete leggere, se volete, The Curse of Capistrano, il romanzo pulp del 1919 in cui Zorro fece il suo esordio, ma poi sono andato a inciampare su Guy Williams, alias Armando Joseph Catalano, e sono stato colpito dal contrasto fra l’attore che rimane, per i ragazzi della mia generazione, l’unico vero Zorro, e quel politico di cui si diceva, che ora trova il proprio nome associato a quello dell’eroe mascherato, con una pernacchia a fare da congiunzione.

Non stento a credere che Guy Williams piacesse alle donne, e molto.
E resto impressionato dalla sua biografia – uno che lavora duro per poter studiare, che ha come hobby l’astronomia e gli scacchi, ha una vita intellettuale. Uno che, è vero, non è mai stato una superstar del grande schermo, ma che sul piccolo schermo è stato una leggenda (o forse due, essendo anche uno dei protagonisti di Lost in Space).
Una volta chiusa Lost in Space (nel 1968), Guy Williams si ritirò in Argentina: era ricchissimo, perché aveva investito con intelligenza i soldi incassati dalla Disney per fare Zorro, e in Argentina, sempre per via dello spadaccino mascherato, era molto più considerato che in patria. Se cercate sui siti di lingu aspagnola, c’è una sola parola sempre e comunque affiancata al nome di Williams: “idòlo”.
Si comprò una barca a vela. Si fece raggiungere da Henry Calvin, che aveva interpretato il Sergente Garcia, che era suo amico, ed ora era anche lui in pensione. “Per hobby” Williams e Calvin aprirono un circo.

Il che ci porta, per vie quantomai traverse, a quel fatidico pupazzetto di Zorro trafugato ai tempi dell’asilo.
Era su quello, che avrei voluto fare un post, all’origine. Perché il primo pensiero, nel leggere quella singola pagina di quel libro è, naturalmente…

Ma cosa è saltato in mente, a questa gente, di mettere un dettaglio così puerile, fasullo e ridicolo (e a doppio taglio!)…?

Facile rispondere.
È quello che succede quando si cerca disperatamente di “umanizzare” un personaggio che, umanamente, è un po’ insipido, diciamo così.
Quando si cerca di contraffare la realtà.
Ne abbiamo accennato nelle settimane passate, parlando di tutt’altro, come per creare il proprio brand la cosa peggiore che si possa fare sia “cercare di sembrare simpatici” invece di esserlo.
La rete, ed i social in particolare, ci hanno illusi che sia possibile mentire, millantare e distorcere i fatti, e passarla liscia – che sì, è vero, tutti sanno che è falso, ma tanto è quello che vogliono, alla gente piace così.
Finché non ti scoppia in faccia. Perché è fasullo, puerile, e maledettamente a doppio taglio.

Guy Williams aveva tutte le carte in regola per esseci odioso, giusto?
Primo della classe, bello, intelligente, Zorro… e poi ricco, tranquillo, “sistemato”. Però, anche solo nelle poche righe che ho condensato io qui sopra, traspare comunque un essere umano. Non è necessario sottolineare che piace alle donne, “anche a quelle di sinistra”, perché basta guardare una sua foto… Non ha bisogno di farsi rubare un pupazzetto da un compagno dell’asilo per farci tenerezza, per dirci che ha conosciuto anche lui l’ingiustizia.
Forse perché lo rispettiamo per ciò che è, e quindi di farci tenerezza non ne ha bisogno.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

1 thoughts on “L’uomo dietro la maschera

  1. Buongiorno, ammetto che la prima pagina della biografia mi fosse sfuggita e infatti non avevo capito il proliferare di vignette e di Zorro, poi ho fatto una rapida ricerca e infine il tuo post mi ha chiarito la faccenda. Non ci sono parole… Grazie e buona giornata. Sa bambina adoravo Zorro e mi faceva tanta tenerezza il sergente Garcia. 😀

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