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Come essere perdenti

11 commenti

La discussione – che in realtà non ha mai preso corpo – è partita come al solito su Malpertuis, salvo poi rimbalzare su diversi blog.

La frase incriminata è

La natura di “perdente” di Shaun è così distante dalla nozione tipica americana o italiana da essere a tratti incomprensibile e aliena, un feroce tunnel nel quale nemmeno le più ardue prove del fato riescono a cambiare la natura di un individuo

Si possono davvero distinguere scuole nazionali, stili nazionali che caratterizzano i perdenti su questo pianeta?
E, altra domanda ovvia, chi o cosa è un perdente? Da cosa lo riconosco?

La domanda non è affatto banale – come sa benissimo chiunque là fuori (sù quelle mani, vigliacchi!) che è stato scavalcato per un lavoro o scaricato da una fidanzata in favore di una persona “con un carattere vincente”.
Se vi scartano in questa società alla perenne ricerca dei vincenti, eh, ragazzi, c’è poco da ridere – siete stati etichettati come perdenti.

Ma lo siete davvero?

Nel suo fondamentale How to ruin your life, Ben Stein delinea venti regole essenziali per essere dei perdenti assoluti.
Vediamole…

  • Non apprendere alcuna abilità utile
  • Convinciti di essere il centro dell’universo
  • Non accettare mai alcuna responsabilità se qualcosa va male
  • Critica subito, e frequentemente
  • Non mostrare mai alcuna gratitudine
  • Invidia tutto, non apprezzare nulla
  • Sii un perfezionista
  • Non godersi le cose semplici della vita
  • Frega chiunque, in qualsiasi momento, ogni volta che è possibile
  • Tratta male chi ti tratta bete
  • Sminuisci chi ti circonda
  • Porta rancore
  • Abbandonati ad alcool e droghe
  • Non risparmiare denaro
  • Ignora la tua famiglia
  • Ricordati che nessuno conta al di fuori di te
  • Ricordati che non devi niente a nessuno
  • Fai sfoggio di superiorità nei confronti di chiunque
  • Porta avanti una dura opposizione su tutto
  • Pensa il peggio di chiunque

In effetti, alcune regole sono ridondanti.
Sulla base del modello di Stein, possiamo vedere che il perdente è sostanzialmente una persona così strettamente avvoltolata nelle proprie nevrosi, da essere incapace di ottenere dei risultati.
Non ha capacità commerciabili.
Non è in grado di imbastire relazioni umane normali.
Non ha valori stabili.

Ci può stare.
Una sola di queste tre caratteristiche sarebbe sufficiente a redimerlo, ma il perdente latita su tutti i fronti.

Io, più brevemente, direi che il perdente, il loser, è un individuo che si pone dei traguardi molto modesti, ma non ha comunque le capacità e soprattutto il carattere per riuscire a raggiungerli.

Mi viene in mente un personaggio citato in un bel racconto di Charles De Lint, che dopo alcuni anni come piccolo spacciatore, capisce che la sua autentica aspirazione nella vita è fare il protettore per la sua fidanzata, minorenne ed eroinomane.
Un buon modo per fare in fretta un sacco di soldi – pensa lui.
Traguardi modesti, non abbastanza stoffa per raggiungerli = perdente.

Da qui – esiste una scuola nazionale?
Il perdente italico è diverso da quello britannico o nordamericano?
O si tratta solo di differenze climatiche e di diverse abitudini alimentari?

Io credo siano solo tratti accessorii – il loser americano sa tutto sul football più o meno quanto il perdente nazionale italiano sa tutto sul calcio.
Poi magari non hanno idea di che lavoro faccia il figlio, o dicome stia evolvendo il mutuo sulla casa, ma sul pallone – sferico od ovale – sono ferratissimi.

E naturalmente, è necessario diffidare da coloro che trattano loser come sinonimo di geek, nerd o cose del genere.
Qui non si tratta di avere semplicemente delle scarse capacità relazionali.
Qui parliamo di mandare a monte tutta la propria esistenza, facendo intanto il massimo danno all’esistenza di chi ci sta vicino.
E per di più, in maniera indistinta.

Perché, come diceva Tom Robbins, se davvero siamo dei perdenti, possiamo per lo meno impegnarci ad essere perdenti di successo.
Anche quella è una piccola redenzione, negata geneticamente ai loser.

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Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

11 thoughts on “Come essere perdenti

  1. Caro Davide,io certe volte proporrei Elvezio per un premio letterario per tutti gli stimoli che ci dà.Sopratutto perchè è un bravo narratore ma anche per questi preziosi stimoli.Riguardo al discorso perdenti forse questa è una mentalità più Americana che Europea.Mi spiego meglio:la mentalità negli States è sicuramente molto più competitiva della nostra.Lì sin da piccoli si viene instradati con tutta una serie di linee guida anche eccessive.
    E’ considerato loser chi va alle scuole private invece di quelle più prestigiose private,viene guardato male chi paga cash invece di snocciolare una sfilza di credit cards,chi non può permettersi una delle loro criminalissime assicurazioni.E potrei andare avanti all’infinito.
    Ora per quanto vedo segnali preoccupanti anche da noi qui in Europa eravamo abituati alla presenza di uno stato sociale più presente,quindi non ha senso di parlare di diversità tra un perdente ItaGliano,Inglese o francese.Piuttosto io parlerei di consapevolezza e di voglia di evolvere;ci potrebbero essere anche casi di persone soddisfatte di quello che si ha.
    Gli elementi che dà il testo che citi sono tutti ben indovinati e mi fanno riflettere.Sopratutto sul lavoro quante persone corrispondono a queste particolari,troppe direi io.

  2. Credo che la categoria dei perdenti sia più vasta di quel che sembra, e a parte i casi standard, non sempre ci sono delle facili regole per definirli/catalogarli, poi sull’essere dei perdenti: lo siamo tutti nessuno escluso, perchè in fondo rispetto a qualche punto di vista o sistema di riferimento, tutti alla fine si può essere catalogati come perdenti.
    Poi non tutto è bianco o nero, anzi quelli sono casi molto rari, di solito le tonalità grigie sono la maggioranza e non è facile trovare dei perdenti “assoluti”, tranne che nelle storie comunque esse vangano raccontate.
    Allora lì è facile trovare dei perdenti, facile catalogarli: perdenti simpatici o antipatici, perdenti pretesto per storie di denuncia sociale, perdenti teenager sfigati con le ragazze, perdenti deu ex machina che si sacrificano in vario modo per gli eroi di turno, o anche i perdenti futuri eroi, e così via.
    Comunque non credo che avere taluni interessi renda perdenti nella vita reale, sapere di calcio o di pesca o di cucito non è una colpa a meno che non diventi una passione eccessiva, in tal caso l’essere monomaniaci [di qualunque cosa] può aiutare a essere dei buoni perdenti, oltre che dei potenziali personaggi per qualche racconto alla Poe.

    Ma perchè tanto astio verso il calcio? Unisciti a noi, unisciti al lato oscuro della forza giovane Skywalker… lezioncina sulla regola del fuorigioco per cominciare?

  3. Molto interessante.
    Tolgo subito ogni dubbio (per quel che riguarda) riguardo la riconoscibilità transnazionale di un perdente: per me quelli italiani sono identici a quelli inglesi, americani, tedeschi, olandesi o francesi. Cambiano i dettagli, non la sostanza.

    In base ai venti punti che elenchi credo che molte persone siano sulla strada per diventare perdenti. Anche io stesso, perché no?
    Certo corrispondere a tutti quei punti è difficile, ma nemmeno poi impossibile.
    Molti di essi sono una controreazione a una società sempre più egoriferita e che al contempo si regge sul concetto di competività. Esistono tanti individui che a essa rispondono – più o meno consciamente – con una passività verso il mondo commerciabile, come lo chiami tu. Concentrano le loro forze su cose che non hanno mercato. In questo senso non vedo tanta differenza tra seguire il calcio e collezionare fumetti di Batman. Entrambe le cose non portano vantaggi concreti a chi le fa.
    Ovviamente si parla di estremizzazioni. Delle sane passioni alternate alla buona e altrettanto sana (?) vita produttiva ti allontanano dalla via del perdente.

    Il discorso dei rapporti col prossimo è più delicato. Come ti ho detto, credo che anche qui sia più facile isolarsi che non costruire una relazione (amicizia, amore) stabile. C’è troppa competetività, ciascuno desidera “il suo spazio”, ma in realtà ciò che vuole veramente è invadere quello del compagno o dell’amico. Vampirizzarlo, farlo suo. Oppure collezionare rapporti umani come figurine, come amici su Facebook. A quel punto però mi chiedo se chi vanta mille amicizie di comodo, gente da happy hour e seratine in discoteca, sia più o meno perdente di un loner convinto.

    Ergo, potei concludere che la nostra è una società che crea una gran quantità di perdenti, consapevoli e inconsapevoli.

  4. Non conosco bene il giovane Skywalker ma ho come la sensazione che piuttosto di una singola lezione sul fuorigioco preferirebbe davvero passare al lato oscuro……ma senza calcio.

  5. Aha, Coriolano, io infatti non ho detto che avere un interesse nella vita sia segno di appartenenza allo popolazione dei perdenti.
    Ma mi sento pronto a sostenere che avere un solo ed unico interesse nella vita è già un sintomo interessante.

    Nessun astio poi verso il pallone – mi pareva semplicemente unesempio più adatto che non, per dire, il macramé – che ha certamente i suoi bravi monomaniaci fra la popolazione nazionale, ma non si tratta, iocredo, di numeri significativi…

    Sul fatto di esere tutti perdenti prima o poi non ne dubito affatto – ma solo i perdenti sono perdenti sempre e comunque.

  6. @Mcnab
    Concordo che il loser sia in fondo unapersona che si arrende, che smette di proivarci, che spegne il cervello.
    Ma non vorrei che confondessimo la consapevole rinuncia – che è comunque un comportamento sano – alla resa di default con spallucciata annessa, l’automatismo che porta alla passività davanti agli ostacoli.
    Che può ancora avere una sua briciola di dignità – ma non quando diventa la norma, la costante, l’unica opzione.

    E riguardo alle relazioni personali, credo che la parola chiave nel tuo commento sia proprio “facile”.
    Il perdente sceglie la via più facile, ma non è in grado di percorrerla con successo.
    Il punto non è quanti amici hai, ma come ti rapporti con loro – ed infatti l’elenco di Stein indica alcuni punti fondamentali sulla relazione con gli altri – non fidarsi, non apprezzarli, sminuirli, tirare a gabbarli, considerarli oggetti, avere pretese senza dare nulla…
    Tutti atteggiamenti assolutamente egocentrici.
    Il perdente è tale anche perché non riesce a percepire gli altri come simili.
    In questo, l’individuo solitario – che evita il contatto coi propri simili – è in fondo più sano.
    Il perdente non è solitario.
    È solo.

  7. >Davide

    Nessun intento polemico, solo riproposto il tormentone “pallone”.

    Solo i perdenti sono perdenti sempre e comunque.

    Chapeau.

  8. Quello che non ho capito é in quale competizione Stein definisce il perdente. La vita?la societá? In entrambi i casi alcuni dei tratti che elenca definiscono piú propriamente le qualitá del vincente (che non necessariamente deve ritenere lo stare da solo un difetto), in particolare quelli sulla prevaricazione del prossimo. La società definisce un insieme di valori e traguardi ed il perdente è quello che non raggiunge un numero sufficiente (ed in questa competizione il perdente peggiore è quello che si rifiuta di partecipare). Eticamente riprovevole of course.

  9. Oddio, quei venti punti più che delinearmi un perdente mi delineano le scuse di un perdente. Un perdente che usa questi alibi per non provare neppure a cimentarsi in quello che ama. Essere un perfezionista può portare un uomo a diventare un ottimo musicista, se però il perfezionismo è una scusa per non mettersi in gioco allora quello è il comportamento di un perdente.

    Le abilità utili nella vita, poi, non sono facilmente individuabili: uno può avere come unica passione lo spazzare i pavimenti e diventare campione olimpico di curling; dalla passione per il calcio “teorico” si possono scrivere dei saggi storici sullo sport più antico del mondo e diventare una personalità; un creatore di origami particolarmente bravo può diventare un artista di nicchia; addirittura Richler è riuscito a tirare fuori dal cilindro un piccolo gioiello partendo dalla sua passione per lo Snooker (“Il mio biliardo”). Se uno riesce ad eccelle in una qualsiasi materia, ed ha abbastanza inventiva e intelligenza da piegare la sua passione al suo interesse… beh… può cavare oro dalle rape.
    Per quanto riguarda il rancore, se ben covato e focalizzato, può essere il combustibile indispensabile per il successo di una persona (es: All’università, un insegnante di scrittura consigliò a Ellison di smettere di scrivere perché diceva che il ragazzo non aveva alcuna attitudine e nessun talento. Harlan si impegnò ancora di più da quel momento in poi e, ogni volta che vinceva un premio, mandava a quel professore una copia del racconto e i vari articoli di giornale che ne parlavano. Inoltre, i suoi cattivi hanno sempre il nome dei bulli che lo avevano molestato durante l’infanzia).

    Insomma, per me sono le scuse che fanno il perdente. Uno non perde finché continua a rialzarsi e a menare, sono quelli che rimangono al tappeto per la paura che perdono di sicuro

  10. Mah… a me pare che le “regole” di Stein definiscano molto meglio Stronzi e Coglioni (a seconda del danno inferto agli altri o a se stessi), piuttosto che i cosiddetti Perdenti.

    In ogni caso quoto Eugenio per quanto riguarda il senso ultimo di quelle regole.

    Mi ero ripromesso di affrontare la questione da me. Speravo di riuscire a rimandare a dopo le ferie, ma evidentemente non posso, che l’argomento è caldo. 🙂

    A più tardi!

  11. In effetti le regole di Stein delineano più un grave sociopatico che un perdente.

    Io il perdente l’ho sempre visto come un solitario, come già accennavo nel commento precedente. Non necessariamente una persona che passa la maggior parte del tempo da sola, bensì colui che si sente solo e fuoriluogo sempre e in (quasi) ogni situazione.
    Essere perdenti vuol dire dunque non integrarsi? Ma integrarsi quindi, per proprietà transitiva, vuol dire necessariamente essere dei vincenti? Fatico a crederlo.

    Uff, discussioni troppo interessanti, le tue.

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