Esiste una malattia tipicamente tedesca che porta a suddividere la realtà in categorie, e le categorie in sottocategorie, e poi ancora, come in un infinito processo di ramificazione per cui alla fine ogni ente fa categoria a se.
In campo letterario, questa orribile abitudine svolge una sua certa funzione – dice ai librai su quale scaffale mettere i volumi, dice agli editori che sorta di copertina spiaccicare sul libro, dice ai lettori più o meno cosa li aspetta acquistando, aprendo e leggendo il volume in questione.
Perché i lettori sono così – vogliono essere sorpresi dalla novità, ma all’interno di un ambito familiare.
E credo gli scrittori siano lo stesso.
O per lo meno era così quando chi scriveva, prima, si prendeva la pena di leggere.
I generi letterari sono poi delle grandi categorie di somiglianza.
Tutti noi copiamo da tutti gli altri.
Fantascienza ai vecchi tempi significava qualcosa di più simile a Wells e a Verne che non a Morris, o Eddison.
E viceversa, Fantasi erano quegli autori che assomigliavano di più a Morrison e Eddison – o a Dunsany – piuttosto che a Wells o Verne.
Col crescere del campo, si creano sottogeneri – somiglianze all’interno del gruppo principale.
Se dico Heroic Fantasy somiglio di più a Howard che a C.A. Smith.
Se dico Sword & Sorcery somiglio di più a Leiber che a Howard.
Se dico High Fantasy somiglio di più a Tolkien che a Peake.
E poi vai – urban fantasy, dark fantasy…
Di generi e sottogeneri abbiamo già scritto dissezionando lo steampunk.
A monte di tutto, si trova il grande spartiacque – fra letteratura alta e letteratura di genere.
Che è poi la più arbitraria e sciocca delle divisioni.
Nel nostro paese, la letteratura di genere è sempre stata considerata di serie B.
Spesso meritatamente, ma ciò non toglie che le generalizzazioni siano inutili e pericolosi.
Il Pozzo dell’Unicorno di Fletcher Pratt è infinitamente più letterario, alto e significativo di una cosa come la dattilografia di Melissa P., che all limite è solo titillazione per vecchi animali.
Eppure, i lavori di Pratt sono considerati di serie B.
Il fatto veramente grave, tuttavia, è che negli ultimi vent’anni gli editori che fino alla fine degli anni ’80 si erano impegnati – spesso con esiti finanziari catastrofici – a portare avanti la causa della dignità del fantastico, si sono arresi.
Ci si aspettava che pubblicassero spazzatura?
E loro hanno pubblicato spazzatura.
Indigesti cicli estesi per venticinque volumi – spesso interrotti dall’imprevisto decesso dell’autore e molti anni dopo ripresi da pennivendoli assortiti.
Agghiaccianti romanzi per ragazzi popolati di eroi arroganti e sinistri.
Insopportabili romanzi con l’ennesimo duelli vampiro-cacciavampiri, magari con qualche astuto product-placement e un crescente contenuto di sesso esplicito ed irrealistico (oltre che inutile all’economia delle storie).
Il risultato è desolante, anche perché, come si è detto, si entra in un genere per imitazione – e senza rete in un mercato come quello italiano dove non ci sono riviste su cui farsi le ossa, circoli dove confrontarsi su qualcosa di più di solido che il numero di libri o DVD posseduti (celo celo manca…).
Se tutti coloro che entrano in un dato genere ci entrano tramite l’imitazione (preferite l’ispirazione) di spazzatura, il genere si trova ben presto affollato di spazzatura.
Per questo motivo il fantasy in Italia è ormai completamente delegittimato.
Gli editori stampano carta straccia, dando un’immagine distorta del genere nella sua globalità, e gli autori italiani imitano (spesso su richiesta degli editori) dei modelli inammissibili, producendo carta straccia.
Ecco allora sedicenti autori nutriti di Eragon che non hanno idea di chi sia Anne MacCaffrey – dalla quale Paolini ha copiato a piene mani – e che producono insipida narrativa talmente derivativa da essere priva di spirito, di ritmo, di idee.
Per questo motivo, credo, converrà d’ora in poi che io dica che scrivo Narrativa d’Immaginazione.
Per non venire accomunato alla palude che è ormai uno dei generi con i quali sono cresciuto.
19 ottobre 2007 alle 4:57 AM
Già è grave che uno scrittore alle prime armi legga solo un “genere”, figurarsi poi quando, come dici te, si arriva alla situazione paradossale di leggere e avere come modello solo sula spazzatura commerciale di quel genere.
fra un po’ invece di leggere la spazzatura passeranno a guardarsi solo i film e a quel punto ci saranno programmi abbastanza evoluti da scrivere da soli i vari romanzi modulari e cicli…
19 ottobre 2007 alle 5:10 AM
Assolutamente d’accordo.
Vogliono il liquame, ora l’hanno.
19 ottobre 2007 alle 8:51 AM
D’accordo. Va bene. Hai ragione. Parole sante su Paolini. E il discorso è ancora più lungo, coinvolgendo non soltanto la narrativa, ma anche altre arti (vogliamo parlare di cos’è diventato il cinema?)
Però, però.
Mi sento di dare anche un po’ di responsabilità anche al genere, nel senso che forse non c’è più ragione di andare a cercare in quel genere (in quei generi)… tutto ciò che un tempo vi si trovava. Ci sono spinte culturali e sociali che si esauriscono e, siccome non possono morire di colpo, danno qualche colpo di coda, anzi molti colpi di coda. Posso fare un paragone rozzissimo? Nessuno si stupisce della mutazione (apparente, certo, ma concreta per i più) dei generi musicali. Nessuno, insomma, si scandalizza se un certo “genere” di musica non va più. Se invece la fantascienza non ha più le idee brillanti e le realizzazioni fenomenali del passato, la colpa ricade prevalentemente sull’editore corrotto.
E non parliamo neanche del fatto che, in Italia (ma non solo), mancano comunque i lettori.
19 ottobre 2007 alle 10:25 AM
Ah, ma il problema è che la letteratura fantastica ha ancora idee brillanti e realizzazioni fenomenali, forse addirittura di più che in passato.
Ma io – e mi limito al panorama italiano – non vedo editori che si lancino a tradurre il materiale veramente valido.
Un esempio – perché Ponte delle Grazie pubblica La Traduttrice di John Crowley ma non Little, Big, dello stesso autore, che è uno dei dieci migliori romanzi (tout-court, non parliamo di genere) pubblicati negli anni ’80?
Oppure – com’è possibile che Adelphi stia impiegando più di tre DECENNI per pubblicare Gormenghast di Mevyn Peake? (primo volume anni 80, secondo volume primi anni del 2000, a quando il terzo?)
E i romanzi di M. John Harrison? Dov’è l’edizione italiana di Climbers, che fino a prova contraria è un romanzo mainstream? E la serie di Viriconium, che invece mainstream non lo è?
E com’è che da trent’anni Mike Moorcock scrive romanzi colossali e qui continuano solo a ristampare traduzioni oltretutto pessime di Elric?
Colpa del genere?
Colpa dei lettori?
Certo, gli editori non possono stampare tutto.
Tocca fare una scelta.
Però i cloni di Henry Potter non fanno in tempo a scriverli che vengono pubblicati.
E sorvoliamo su quell’editore italiano che su un suo forum ha chiesto ai lettori di clonare Rowlings, Tolkien e Paolini per una collana di romanzi prefabbricati da pubblicare a nome di un autore fittizio. E tutti entusiasti a rispondere al ritmo di “wow! cossì pubblico il romanzo che ho scritto per i miei nipotini!”
Quindi, innegabile – il pubblico è stato a tal punto abituato alla spazzatura che ora il caviale gli fa un po’ ribrezzo.
Ma gli editori hanno una responsabilità innegabile.
19 ottobre 2007 alle 10:42 AM
Non posso parlare per gli editori che citi (però, ti prego, dimmi chi è l’editore che istiga alla clonazione, sono troppo curiosa…) ma posso azzardare una banalissima (e dolorosa) ipotesi: gli editori non possono permettersi di stampare un libro che sanno già destinato a un pubblico molto limitato. O, meglio, lo possono anche fare, se poi pubblicano anche testi commercialmente redditizi. E talvolta lo fanno, ma puoi ben immaginare che i casi sono rari. E poi, spiace dirlo, ma il piccolo gruppo è saldo e compatto soltanto al suo interno. Mi capita spesso. Dieci, venti, trenta lettori mi scrivono dicendo: “Ma perché non pubblicate/ripubblicate XY?” E io ci provo a rimetterlo in circolazione, cioè lo propongo ai librai, che però non rispondono se non con cifre ridicole, che non mi permettono di dar corso a quella richiesta.
Insomma, la responsabilità è un po’ di tutti…
19 ottobre 2007 alle 11:33 AM
E’ lo stesso “editore” che ha messo in circolazione il libro su “come vincere concorsi letterari”.
Lo stesso che ha pubblicato una novella di Lyon Sprague De Camp & Harry Turtledove spacciandola per un romanzo di Turtledove da solo (e rimuovendo il povero De Camp buonanima da titoli, crediti, nota di copyright).
Lo stesso editore che nel descrivere la statuetta del premio Hugo di quest’anno non ha riconosciuto il personaggio ritratto sul piedistallo.
[nota – ho rifatto or ora un giro sui loro forum per vedere se ritrovavo l’annuncio della nuova collana. Niente da fare – ma le due paginette dei fan che dibattono di Gene Wolfe mi hanno bloccato la digestione. Che manica di imbecilli!]
19 ottobre 2007 alle 11:42 AM
Oh. Ok, messaggio ricevuto.
19 ottobre 2007 alle 1:29 PM
Ah,il famoso discorso dell’altra sera sul fatto che i termini fantasy e SF in Italia siano ormai “bruciati” …
Il Catalogo Vegetti ha stimato che la media con cui i volumi di letteratura fantastica vengono tradotti in italiano ha un ritardo di “soli” vent’anni.
Sul fatto che la fantascienza non abbia piu’ idee brillanti, mi chiedo allora cosa siano, per dire, i lavori di Ted Chiang o quelli di Sena Hideaki, uno scrittore capace di scardinare le tre leggi della robotica di Asimov. Ci arriveremo tra una ventina di anni, basta solo aspettare…
19 ottobre 2007 alle 2:13 PM
Io credo che la stima di Vegetti sia buona ma ottimistica.
Nel senso che non è tanto una questione di essere indietro (viene magari stampato l’ultimo Banks e non abbiamo mai visto romanzi fondamentali degli anni ’40), quanto di aver sistematicamente selezionato, per oltre vent’anni, il materiale più “facile” per tenere buono il mercato.
Libri che si leggono ad occhi chiusi 😉
Ed il mercato è stato ben felice di farsi tenere buono – i lettori, in altre parole, non sono cresciuti intellettualmente, per gusti o aspettative.
Se nel campo del fantasy la narrativa fantastica per ragazzi ed i romanzi derivati da giochi di ruolo sono stati quanto di più deleterio si potesse immaginare, in campo fantascientifico Star Trek e tutto il suo corteggio di romanzi su commissione e tie-in vari è stato una vera piaga.
Idem il vampirismo omosessual-chic della Rice per l’horror.
Non trovi più un vampiro che non sia gay.
E il publico è contento, perché la familiarità lo tranquillizza: Terry Brooks – peraltro un competente scrittore – ha venduto tonnellate di Shannara perché i lettori di Tolkien erano stufi di rileggersi Il Signore degli Anelli.
Ma ora toglili da lì (anche con altri libri dello stesso Brooks) e vanno in crisi.
Citavo il forum con i tipi che hanno scoperto “Gene Wolfe”.
C’è chi lo trova noioso (inaudito!) chi trova Urth of the New Sun “una schifezza”.
In realtà sono solo libri difficili, molto difficili – difficili da tradurre perché il linguaggio di Wolfe è di unacomplessità inaudita, difficili da leggere perché Wolfe si rifà a modelli per lo meno rinascimentali.
Il lettore cresciuto coi romanzi di Dragonlance – che magari se ne è sparati venti di fila, ma non ha dovuto fare nessuno sforzo – davanti a Wolfe è perduto.
Curioso, se ci pensi, considerando che una delle motivazioni basilari per cui si legge fantastico dovrebbe essere il volersi confrontare con una realtà diversa, inaspettata e sorprendente.
20 ottobre 2007 alle 6:29 AM
Aò. piano coi termini che se vi sente un imbecille che lo paragonate a certi individui soffende e vi querela.
21 ottobre 2007 alle 11:48 AM
Io non ho fatto nomi.
E poi esiste la libertà di espress…. no, cancella l’ultima.
Hai ragione, meglio starci attenti.