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Scrittori, lettori, e il muro di vetro antiproiettile che li separa

10 commenti

article-1299986-0A5D6DA0000005DC-208_468x524Il 19 del mese, al Festival della Letteratura di Manchester, la scrittrice Joanne Harris ha tenuto un discorso che non ha mancato di suscitare polemiche in giro.

Se vi interessa – e credo dovrebbe interessarvi – qui trovate la trascrizione completa della Harris.

Ciò che ha scatenato il dibattito – anche abbastanza fuorioso – sonos tate le due posizioni centrali della Harris nel suo discorso.
In poche parole, l’autrice ha detto che scrivere è un lavoro e che non tutti sono portati a farlo, e ha poi invitato i lettori a stare al loro posto e a fare, appunto, i lettori.

Era ora, che qualcuno lo dicesse (di nuovo).

Non che servirà a molto, temo, dirlo (di nuovo).
E tuttavia in linea di massima, concordo su entrambi i punti, e sulla posizione della Harris.

Se è vero che tutti possono scrivere – come atto meccanico, mettere parole su carta o su file – è anche vero che non tutti sono in grado di raccontare una buona storia.
È un dato di fatto.
Io credo che tutti dovrebbero provarci, se hanno voglia di provarci – tutti, indistintamente, se proprio gli và – e poi dovrebbero avere l’onesta intellettuale di dire no, ok, non è il mio genere di cosa… da grande farò il neurochirurgo.
Il problema è proprio questo secondo passo.

The truth is, not everyone can – or should – be a writer, in the same way that not everyone can or should be an accountant, or a ballet dancer, teacher, pilot, soldier, or marathon runner. The same combination of aptitude, experience and acquired skills apply to being a writer as to any other job. We would never think of telling a doctor that we were thinking of taking up medicine when we retired. We would never expect a plumber to work for free – or a plasterer, for publicity. We would never expect to hear the word “privilege” of a teacher who has spent their career working hard to earn a living. We would never expect a lawyer who has paid to go through law school to tutor aspiring lawyers for free.

L’illusione della facilità della scrittura è all’origine di una quantità di brutture e orrori – dai lettori che si fanno carico di spiegare all’autore dove ha sbagliato, o quali Regole ha trascurato di osservare, all’idea che trattandosi di una cosa da nulla che qualunque imbecille è in grado di fare (“anch’io ne avrei di storie da scrivere, se solo il lavoro me ne lasciasse il tempo!”), non meriti di essere pagata, che scrivere insomma non sia un vero lavoro.

E poi c’è tutto il resto…

Readers have numerous spaces in which to discuss author behaviour, to analyse their politics, lifestyle and beliefs – sometimes, in extreme cases, to urge other readers to boycott the work of those authors whose themes are seen as too controversial, or whose ideas do not coincide with their own. Authors are expected to respect these reader spaces, whatever the nature of the discussion. To comment on a bad review – or even to be seen to notice it – is to risk being labelled an “author behaving badly”. Authors whose work is deemed to have problematic content are expected to analyse the cause – and in some cases, to apologize.

Già, il classico “ora dovrebbe venire qui sul nostro forum e chiedere scusa”, oppure *”ci si aspetterebbe da lui una spiegazione di dove abbia sbagliato”…
Ci sono lettori che oltre che critici, esperti in narratologia e scrittori migliori di noi, sono anche fermamente convinti di essere i nostri padri confessori e, più in generale, i nostri padroni, nel senso più schiavile, più medievale del termine.

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È come se dai tempi in cui gli idioti credevano di pagare dieci centesimi e possedere le storie, e invece le affittavano solamente (per citare John W. Campbell) si fosse arrivati ai tempi in cui gli idioti pagano 99 centesimi e credono di possedere l’autore.
Non è così.
Ciò che si è ridotto è la distanza, ciò che è cresciuto è la facilità di comunicazione.
Ma, per citare Neil Gaiman,

George R.R. Martin is not your bitch.

E questo vale per tutti.
Resta, fra scrittore e lettore, uno spesso vetro antiproiettile, diciamo di dieci/dodici centimetri di spessore.
Il fatto che sia possibile vedere attraverso quella parete di vetro non significa che sia possibile attraversarla – e i sonori rintocchi delle capocciate di coloro che, come mosconi, non hanno ancora intuito la presenza del vetro, può a volte farsi fastidioso.

Joanne Harris chiude la sua lunga disamina dei ruoli di autori e lettori con una lista in dodici punti, il suo Manifesto dell’Autore.

E sarebbe forte la tentazione di fare altrettanto, di mettere giù un po’ di regole, per un personale Manifesto.
ma come ha detto proprio ieri Lavie Tidhar

La prima regola del mio Manifesto è che non si parla del Manifesto.

Le regole secondo le quali ho deciso di giocare sono le mie.
Come la penso riguardo ad autori e lettori credo sia noto – sia per ciò che riguarda le mie storie, o i miei saggi, o il mio blog.
Inutile stare a perdersi in ulteriori chiacchiere.
Ci sono storie da scrivere – sperando che ci sia ancora qualcuno disposto a leggerle, e non solo a dissezionarle per fare punti con gli amici.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

10 thoughts on “Scrittori, lettori, e il muro di vetro antiproiettile che li separa

  1. Perfetto. Come tutte le verità è un discorso scomodo. Che fa male (a molti ) ma che rincuora tanti come noi

  2. Credo che il vetro sia stato abbattuto dall’internet tempo fa. Tutti possono dire tutto e non ci puoi fare niente ;D

  3. Concordo, non tutti possono scrivere. Io non lo faccio, lo facevo quando ero ragazzino.
    La tecnica si impara, non riesco a credere che una persona intelligente motivata e dedicata, avendo il giusto tempo da dedicare e i giusti consigli su cosa migliorare, in qualche anno non sia in grado di produrre una scrittura piacevole ed efficace. Non tutti saranno fuoriclasse, chiaramente, ma tutti con un minimo di cultura[1] secondo me possono arrivare ad un livello “vendibile”.

    Quello di innato che serve è la capacità di pensare a buone storie, alla fantasia e alla capacità di produrre trame che vada la pena elaborare in storie. E questo non tutti hanno, io non sono molto bravo in questo, ad esempio. Ecco, questo fa la differenza, secondo me.

    Ed è questo il momento in cui certi autori, anche di talento, rischiano di “comportarsi male”: quando non essendo in grado di produrre una bella idea, trama, per il libro che vogliono scrivere, usano la loro tecnica per riempire 300-500 pagine per cavalcare l’onda del successo del libro precedente, magari rispettando obblighi contrattuali.
    E secondo me succede più adesso che una volta. Pensando ai cicli che ho amato nella mia giovinezza: Fondazione o Ringworld ad esempio, non sono stati prodotti senza soluzione di continuità dagli autori, bensì come progetti a lungo termine su cui tornare fra un libro e l’altro. Non succede così per Harry Potter (che non ho letto) o Song of Fire and Ice, sempre per dare qualche esempio.

    [1] Non necessariamente una laurea, chiaro.

  4. Se sono d’accordo sul secondo punto, cioè sulla non interferenza del lettore nel lavoro dell’artista, sono un po’ più freddino sul primo punto, cioè sulla non possibilità per tutti di scrivere, o di scrivere bene.
    Questo, sia perché non capisco quale sia lo scopo dell’affermazione, sia perché la storia ne ha provato la falsità.
    Perché l’affermazione possa essere considerata utile, dovrebbe poter cambiare la realtà in qualche modo, ad esempio distogliendo dallo scrivere chiunque ne abbia voglia, cosa dubbia come gusto, improbabile come riuscita e ingiusta come principio. Inoltre chi dovrebbe decidere se qualcuno è in grado? La critica? Il pubblico? Lui stesso? a che scopo?
    Mi viene in mente il fatto che Charles Darwin, fosse un pessimo scrittore e nel “Viaggio di un naturalista intorno al mondo” (mi pare) si dice molto più sorpreso di essere riuscito a scrivere un libro che di avere girovagato per 5 anni intorno al mondo e di aver pubblicato una teoria scientifica rivoluzionaria.
    Direi che lui di avventura se ne intendeva…
    A me Harry Potter è piaciuto, perlomeno la Rowling c’ha messo dentro un paio di tematiche come razzismo e bullismo, che per un libro per ragazzi non è poi male.
    Ciao,
    Enzo

    • Allora mettiamola diversamente, in modo che non ci siano fraintendimenti.
      Tutti possono scrivere.
      Non tutti possono fare della scrittura una professione.
      Il fatto che tu non sia riuscito a farne una professione non significa che tu abbia il diritto a dire a chi lo ha fatto di smettere (vedi il classico “io scrivo per divertimento, i miei libri li regalo, tu dovresti fare lo stesso”).
      Così è più chiaro, credo.

  5. Ah! Beh!
    Questo è chiaro, mi scuso ma non avevo capito il collegamento!

  6. Pingback: I Dieci Film più odiati degli ultimi 150 anni – Secondo Round: I Perchè |

  7. Condivido pienamente tutto.

    Ora, però, portami il caffè, su 😉

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