Newcastle, Gennaio 2143.
Un cadavere viene ripescato dal fiume Tyne. È un uomo nudo, con uno strano foro nel petto e tutti i suoi impianti di connessione alla rete sono stati rimossi.
E non si tratta di una persona qualunque – è un 2North, uno dei circa trecento cloni di seconda generazione del fondatore dell’impero commerciale che controlla il sistema di portali che hanno aperto all’umanità la possibiltà di colonizzare altri pianeti.
La polizia ha carta bianca e fondi illimitati per la cattura dell’omicida, e può contare su tecnologie di sorveglianza e analisi dei dati senza precedenti. Ma ben presto risulta evidente che non tutto è chiaro.
Perché vent’anni fa, su St Libra, una delle colonie nel sistema di Sirio, quattordici persone sono state uccise nello stesso modo. E fra loro anche Bartram North – l’originale dal quale il morto di Newcastle è stato clonato.
Vent’anni fa, Angela Tramelo era stata condannata al carcere a vita come colpevole della strage. Unica sopravvissuta, aveva descritto un mostro alieno che aveva fatto scempio di North e dei suoi ospiti. Ma nessuno le ha mai creduto.
Finora.
La fantascienza sta bene e vi saluta tutti, come si diceva la settimana passata.
Peter F. Hamilton è l’autore di fantascienza più venduto in Gran Bretagna (più di Neal Asher, più di Iain M. Banks), e non è il tipo da risparmiare sul word-count.
Great North Road è un romanzo di circa mille pagine, con un cast di una cinquantina di personaggi, ed è perciò un’opera breve nel canone dell’autore britannico.
Quello che comincia come un poliziesco abbastanza tradizionale innestato su un futuro prossimo vagamente cyberpunk, forse sull’orlo del transumanesimo, vira ben presto in una spedizione militare nelle giungle di St Libra.
Sarebbe facile liquidare la storia come una versione prolissa di Aliens, con elementi mutuati anche da Predator, e una struttura da slasher movie.
Ma è molto più complicato di così.
Ci sono manovre politiche ed economiche molto più complesse di quelle della Wayland-Yutani, ci sono piani e cospirazioni, c’è il senso di minaccia incombente dello Zanth, entità/fenomeno che minaccia le colonie umane.
Fra i maneggi della polizia di Newcastle, in parte privatizzata, i progetti di una setta integralista cristiana annidata nelle forze armate, l’ecologia aliena di St Libra e i segreti della famiglia North, i pezzi in movimento sulla scacchiera sono tanti, e l’intreccio potrebbe far impazzire un lettore distratto.
Il fatto che questo non succeda, e che anzi la narrativa sia perfettamente chiara e fruibile, è un segno evidente che Hamilton non è semplicemente uno che scrive un tanto al chilo.
E in effetti il word-count è la grande forza e al contempo la grande debolezza di Hamilton.
Great North Road funziona perché, se è vero che parte lento e poi mette la quarta dopo pagina 300, è proprio prendendosi tutto il tempo e lo spazio che gli pare che l’autore mette il lettore in condizione di seguire l’azione quando le cose si complicano.
Arrivati a pagina 300, noi dei personaggi e del loro mondo conosciamo tutto ciò che ci serve per sapere come muoverci. E di alcuni di loro – no, della maggior parte – ci importa. Il fatto che non ci siano eroi tutti d’un pezzo e cattivi cattivissima, ma che anzi ci siano ampi spazi d’ombra e ambiguità morale, rende la lettura ulteriormente gratificante.
D’altra parte, forse un autore più sofisticato – o forse, semplicemente, più scaltro – potrebbe gestire la stessa storia, presentandola in maniera altrettanto soddisfacente, in sole 500 pagine1.
Eppure Hamilton non prende il lettore per sfinimento – anzi, lo premia per la sua resistenza. E non lo tratta come un semideficiente, stramazzandolo di spiegoni e costellando la narrativa di reti di salvataggio.
Lo stile di Hamilton è molto diretto, senza particolari guizzi stilistici ma con un buon ritmo e una struttura solidissima. I dialoghi sono ottimi, la caratterizzazione anche (e c’è tutto la spazio per sviluppare ogni personaggio).
Le idee sono tante, intelligenti, stimolanti.
È facile capire come l’autore sia tanto popolare: Hamilton in fondo è un autore sofisticato – semplicemente si prende tutto lo spazio che ritiene opportuno, pur restando accessibilissimo.
Eppure per tutta la sua accesibilità, Great North Road non è un romanzo per tutti, paradossalmente. Fa paura, al primo impatto, per la massa fisica del volume – davvero le opere di Hamilton sono uno dei migliori argomenti a favore dell’ebook2.
E, come si diceva, ha un avvio lento, molto in linea con lo stile del poliziesco procedurale. Ma per chi dovesse avere la costanza – o l’ostinazione – per affrontarlo, potrebbe rappresentare una divertente lettura, e forse una scoperta.
È fantascienza hard, è new space opera.
È un buon romanzo di mille pagine, che si legge sorprendentemente in fretta.
18 aprile 2016 alle 1:36 PM
Uno dei miei autori preferiti, ma devo dire che questo libro mi ha un po’ deluso. Delle due linee narrative, quella poliziesca mi è sembrata terribilmente noiosa, anche se immagino possa piacere a qualcuno più appassionato di indagini. La parte di St. Libra è più interessante, ma le rivelazioni finali mi sono sembrate un po’ delle cavolate, sinceramente. Di solito Hamilton stravince su scala e sense of wonder, ma l’unica idea che mi abbia *davvero* colpito di questo libro, lo Zanth, è abbastanza sullo sfondo (mi tengo sul vago per non fare spoiler ai nuovi lettori ovviamente).
Definirlo fantascienza hard mi sembra un po’ eccessivo, tra l’altro. Per carità, Hamilton fa almeno un tentativo di creare un mondo sensato e di solito riesce almeno a essere ben consistente (una volta imparate le regole del suo mondo, quelle sono), ma a livello di credibilità scientifica le sue storie sono al confine col fantasy direi, e questa non fa eccezione xD.
18 aprile 2016 alle 1:40 PM
Io non credo che si possa definire fantasy – tutti gli elementi scientifici sono circostanziati e credibili, e fondati su principi scientifici corretti. Che poi non si perda in spiegoni, questo è certo.
A me il libro non è dispiaciuto – anche perché Hamilton lo preferisco sulla forma breve.
18 aprile 2016 alle 8:39 PM
Non ho letto niente di breve di Hamilton (hai qualcosa da consigliarmi?). La saga night’s dawn – forse la storia con arco narrativo unico più lunga che io conosca – ha un’ambientazione incredibilmente affascinante secondo me – anche se la trama è un po’ un disastro, l’autore sembra EVITARE volontariamente il conflitto. La saga del commonwealth è quella che preferisco, e quella con meno fantasy, la saga del vuoto ancora una volta ha un’ambientazione bellissima ma la trama convince fino a lì. Sugli elementi scientifici, diciamo che è bravo a far sembrare passabili cose assurde, ma “principi scientifici corretti” mi pare un po’ eccessivo, i personaggi hanno letteralmente poteri magici sia in night’s dawn che nella trilogia del vuoto!
18 aprile 2016 alle 10:27 PM
La trilogia del vuoto ce l’ho qui da leggere, quindi non mi esprimo.
Night’s Dawn è a tutti gli effetti un horror in una ambientazione fantascientifica, e quindi le infrazioni alle leggi naturali sono parte del gioco.
Per il resto, per quanto possano sembrare strane certe trovate, hanno sempre una base scientifica – poi chiaramente Hamilton non scrive fantascienza per ingegneri, ma per quel che mi riguarda, forse è meglio così.
E fra le cose brevi, certamente la trilogia di Gregor Mandel – che viaggiando sulle 300/500 pagine a volume, per gli standard di Hamilton è decisamente breve 😀
22 aprile 2016 alle 9:42 PM
che poi mica pare una cosa brutta eh 😛
23 aprile 2016 alle 1:18 AM
In effetti, ci può stare 😀
20 giugno 2017 alle 1:52 PM
L’ho finito adesso e… da un lato è stato un’agonia, perché non vedevo l’ora di scoprire chi fosse davvero la vittima (e no, non mi aspettavo proprio LUI), dall’altro non riuscivo a mollarlo per lo stesso motivo e anche per scoprire cosa sarebbe successo ai vari personaggi. C’è da dire che Hamilton usa i colpi di scena come le bombe: ti piovono sulla testa e te ne accorgi solo quando sono scoppiati.
Ho avuto momenti di genuina commozione (sarà la mammitudine?) e il finale… cavolo, il finale è la cosa migliore, una degna conclusione per una cavalcata emozionante.
In una parola, per me è epico.
Grazie per avermelo fatto scoprire.
20 giugno 2017 alle 4:27 PM
È un piacere.
Il senso di agonia è anche dato dal dolore ai polsi nel reggere il volume cartaceo 🙂
Però sì, Hamilton è decisamente in gamba.