strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Nudo

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Hiroo Onoda non voleva fare il militare, o per lo meno così dicono. Ma era nato nel 1922 e quindi arrivato a diciott’anni, nel 1940, venne arruolato nella fanteria dell’Esercito Imperiale Giapponese. Venne addestrato nel Futamata Bunkoo per compiere azioni di guerriglia, e nel 1944 venne sbarcato a Lubang, nelle Filippine. Non fece granché guerriglia, perché i suoi superiori non glielo permisero – era considerata un’attività disonorevole. Poi, il 28 febbraio 1945 gli americani sbarcarono a Lubang, e il tenente Onoda e tre commilitoni riuscirono ad evitare la cattura, si addentrarono nelle foreste che coprivano gran parte dell’isola, e si diedero alla macchia, svolgendo attività di guerriglia contro gli yankee.

Nell’Ottobre del ’45 Onoda e i suoi tre compagni trovarono nel fitto della foresta un volantino che diceva “La guerra è finita il 15 di Agosto! Venite fuori dalle montagne!”
Un ingenuo espediente degli americani, ovviamente.
Onoda e i suoi uomini proseguirono la loro attività di guerriglia.

Nel 1952, un aereo lasciò cadere sulla giungla un pacchetto con lettere e fotografie dei familiari che invitavano Onoda e i suoi uomini a cessare le ostilità. Un altro volgare trucco degli americani. A quel punto erano rimasti in tre, perché il soldato semplice Yuichi Akatsu se l’era svignata nel ’50 – era stato probabilmente lui a dare i loro nomi agli americani. Onoda e gli altri proseguirono nelle loro attività di disturbo e sabotaggio. Poi, il caporale Shimada venne ucciso in uno scontro a fuoco nel 1954, e il soldato Kozuka subì la stessa sorte in uno scontro con la polizia nel 1972.

Nel 1974, Onoda – che era stato avvistato da un giovane giapponese che era in viaggio per trovare (nell’ordine) Onoda, un panda e l’abominevole uomo delle nevi – venne finalmente convinto ad arrendersi. Non fu comunque facile: dovette venire di persona il suo ex ufficiale superiore, il maggiore Yoshimi Taniguchi, ad ordinargli di sospendere le ostilità.
Da quasi trent’anni Taniguchi faceva il libraio.

“Onoda” in giapponese significa “Nudo”, ed è per questo motivo che nel 1981, quando Andy Latimer dei Camel decise di scrivere un ciclo di canzoni ispirate alla strana guerra del tenente Onoda, il disco uscì col titolo di “Nude”. Fu con quel disco che io scoprii la storia di Hiroo Onoda, trent’anni or sono e oltre, anche se il cliché, lo stereotipo, lo conoscevo bene, e da molto prima.

Onoda è il personaggio storico che ha ispirato un cliché abbastanza popolare nel secolo scorso, quello dei soldati giapponesi sperduti nella giungla, che continuano imperterriti la loro guerra ignorando ogni segnale che la guerra è finita.

Nel 1974 il tenente Onoda tornò in Giappone e venne accolto come un eroe, e pubblicò svariati libri e articoli sulla sua esperienza. Il presidente Marcos delle Filippine gli concesse il perdono per le persone che aveva ucciso e le strutture che aveva danneggiato in quei trent’anni – dopotutto, Onoda era stato fermamente convinto di essere ancora in guerra.
Il ritorno in patria fu anche un brutto risveglio.
Il Giappone del dopoguerra non era più il paese per il quale aveva combattuto – c’erano la televisione e i cartoni animati, il J-pop e l’elettronica, i neon sulla Ginza e un imperatore che non era più un dio.
Una nazione sconfitta, alleata e subordinata ai suoi vecchi nemici.
Onoda si ritrovò circondato di persone che parlavano di cose che lui non capiva, che avevano passioni e interessi a lui alieni, idee, situazioni e pratiche che gli erano estranee, che non conosceva e probabilmente non era interessato a conoscere, per le quali il suo investimento emotivo e personale era zero.
Persone che non condividevano con lui assolutamente nulla.

Perciò si ritirò nella nostalgia – e pur rifiutando la proposta di candidarsi per una carriera politica, non esitò ad allinearsi con il Nippon Kaigi, un partito politico di estrema destra e apertamente revisionista e nostalgico, che auspica la modifica della costituzione, la riforma in senso aggressivo delle forze armate, ed il ritorno al primato dell’imperatore-dio.

Curioso e triste, pensando che Onoda aveva scritto una secca – ma cortesissima – lettera di protesta per il suo arruolamento a 18 anni, che Andy Latimer aveva trasposto in musica nel 1981.

In reply to your request
Please find, I hereby protest
To the ways and means you use
You know, I cannot refuse
So I’ll take this vow of loyalty
Fight for the right
You have said
To be free

Drafted (Camel, 1981)

Mi sono ritrovato a pensare a Hiroo Onoda, e a riascoltare il disco dei Camel, un paio di sere addietro, dopo aver sperimentato qualcosa di affine, forse, a ciò che il pover’uomo provò sbarcando a Tokyo nel 1974.

I quattro colossali eventi delle ultime settimane – la chiusura di Game of Thrones, la chiusura di Big Bang Theory, il film Avengers Endgame e lo strano patatràc dei cellulari Huawei… no, non posso dire mi fossero passati sopra come acqua, ma erano qualcosa che mi lasciava (e mi lascia tutt’ora) abbastanza indifferente.
Zero investimento emotivo.
Eppure amici e conoscenti qui nel Blocco C durante l’ora d’aria, e anche tutti gli altri, erano intenti a dibattere di trame, finali e rimpianti, otto anni della propria vita, dieci anni di vitsa, personaggi come amici, trame come estensioni della propria esistenza, e mio fratello intanto smoccolava alla superficialità degli articoli sul destino cinese del sistema Android.
Ed io ero qui, e non ero parte di tutto questo.

E spesso cercare di dire che no, mi spiace, non ho seguito, non ho guardato, proprio a riguardo non avrei un’opinione, viene percepito come un atto aggressivo.
Come un volersi attivamente chiamare fuori, un voler dimostrare la propria superiorità e la propria distanza.
Au-dessus de la mêlée.

Ma è semplicemente quel senso di vuoto che il tenente Onoda, ne sono certo, conobbe benissimo, e a lungo, e in maniera infinitamente più dolorosa.

Questo non significa che io stia per iscrivermi a un partito di estrema destra revisionista – non che non ce ne siano in circolazione, nel nostro paese in questo momento, di gruppi che fanno impallidire il Nippon Kaigi – ma significa che la funzione di amplificatore svolta dai canali social in certi momenti diventa strana.
A tal punto si suppone che la nostra vita sia in condivisione con gli altri, attraverso la rete, e a talpunto questa condizione di condivisione e compartecipazione è continua e “normale”, che in quei rari momenti in cui non condividiamo assolutamente nulla di ciò che monopolizza la comunicazione in primo piano, noi ci ritroviamo, di fatto, isolati.
Perduti nella giungla.
Soli.
Nudi.
Ed è una sensazione strana, e spiacevole, specie se vivete sperduti fra le colline, senza altri mezzi di contatto con esseri più o meno umani che non siano la rete, l’email, i canali social.

Diventa facile capire come molti studi sembrino indicare che l’aumento della interconnettività ha anche portato ad un aumento della solitudine, e ad una riduzione del livello dicomunicazione interpersonale.
Ora ti licenziano con un SMS, si diceva giorni addietro con alcuni amici.

Poi passa, perché siamo animali sociali, e sappiamo aggrapparci a qualunque cosa – ho partecipato a un paio di interessanti discussioni sull strutture narrative e il payoff di una serie o una narrativa seriale, ho chiacchierato con alcuni colleghi di quali siano i tre o quattro libri che potrebbero servire per ripulirsi il sistema delle scorie lasciate dalla serie della HBO e ripartire. Ho discusso di Psicologia Jungiana e di come in questi tempi dei social si venga magari licenziati con un SMS.

Niente di traumatico, niente di irreparabile.

Però un istante, breve e spiacevole, in cui ero solo, nel terminal di Narita, Tokyo, 1974, e non avevo idea di cosa stesse dicendo tutta questa gente attorno a me, c’è stato.

Ringraziamo il cielo per gli amici, in rete e nella vita reale, e per l’esistenza dei Camel.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

10 thoughts on “Nudo

  1. Io non vivo in una casa sperduta in astigianistan ma la sensazione è assolutamente quella.
    Nel mio caso l’aggravante è che “lavoro nella comunicazione”.

    Non ho Facebook, per scelta: “Ma come fai a fare il tuo lavoro senza Facebook?!”
    Non guardo serie tv, di nessun tipo: “Ma come fai a non vedere *la tal serie del giorno* e fare il tuo lavoro?”
    Ma io vorrei capire che lavoro pensano che io faccia, se devo passare la giornata su Facebook guardando serie tv! Comunicazione = tutto quello che interessa a loro comunicare.

    E si, è un atto aggressivo. Sai perché? Perché equivale a dire che tu, con il tuo tempo, hai fatto altre scelte. Ci sono poche cose al mondo più aggressive di questa.

    • Anche se non deve essere per forza così – dopotutto, ciascuno di noi spende il proprio tempo come preferisce, e non dovrebbe doverne rendere conto a nessuno,

      • Ovviamente.
        Ma scegliere una cosa vuole dire rinunciare a farne un’altra (quante ore dura tutto Big Bang Theory? Quanti libri avrei potuto leggere, in quelle ore? E GoT? E Facebook?). E guai a chi si permette di non fare le cose che fanno tutti e di rinunciare a essere come sono tutti gli altri. Sei subito perso nella giungla.

        Poi c’è questa cosa che sottolinei, delle opinioni, e di come sia essenziale e indispensabile averne sempre una a portata di mano. Ecco, anche questo aspetto lo trovo allucinante. Di tutto il tuo discorso la cosa più allucinante è proprio questa: NON avere un’opinione e non VOLERLA avere, è percepito come aggressivo.

        Mah.
        Alla fine Milano (abbastanza in centro), l’Astiginistan e le jungle Filippine non sono mica tanto diverse, a quanto pare. Forse almeno nelle Filippine il clima è più mite.

  2. Lavoravo e mi chiedevo: che cosa significa, perché tutto questo? Incontravo i clienti e pensavo: sono matti? Uno di loro voleva vendere un astuccio per cocaina ai milionari annoiati. Voleva sapere come promuoverlo. Parlavo con il 99% delle persone e mi chiedevo: cosa c’è che non va? Pensavo: esistono monasteri per laici? Mi chiedevo: sono io? Più vado avanti, più cerco di capire il mondo, più capisco e meno gente posso frequentare senza provare quello straniamento. Cercavo un isola deserta, l’ho trovata, ci ho portato il mio computer. Non c’è niente di male. Ogni tanto abbasso il ponte levatoio.

    • L’importante è accettare il contesto in cui ci troviamo (e al limite cercare di migliorarlo).
      Non credo che la risposta di Onoda, rifugiarsi in un passato più comprensibile (ma sinistrissimo) sia quella giusta.

  3. O accettarlo o modificarlo, o lasciarlo, il contesto. Tre opzioni. Dipende da tanti fattori, primo dei quali come sei.

  4. Io ho la mia personale strategia sulle cose che vanno di moda e che devono essere conosciute per forza: le “vedo su wikipedia”. Riassuntone, con il tempo risparmiato mi guardo qualche film veramente bello, invece del capolavoro della settimana, e non passo nemmeno da snob.
    La mia strategia evolutiva 😉

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