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Il Ritorno della Buran

19 commenti

13722Oggi un post decisamente fuori programma, che nasce dal fatto di esser stato sveglio fino alle tre a chiacchierare.

Molti anni or sono scrissi e pubblicai una storia intitolata Buran – era il 2006, e il racconto uscì sul terzo volume dell’antologia Alia, pubblicato dalla CoopStudi di Torino.
Buran era la storia della rinascita, strana e avventurosa, di un programma spaziale sui generis in risposta ad un evento tanto inspiegabile quanto meraviglioso.
Era una storia sulla dignità della ricerca scientifica, sulla passione e sull’avventura della corsa allo spazio, sull’importanza di continuare a guardare le stelle.
Era eroica, enfatica, ottimista, e vagamente satirica.

In quella storia, mi serviva un’astronave, un veicolo spaziale che potesse portare quattro vecchi in orbita attorno alla Terra.
C’erano i vecchi Shuttle degli americani, certo, ma io preferivo le navette Buran sovietiche, anche perché erano strane, ed avevano una storia.
E così scrissi questo, a circa metà del racconto…

Prima di tutto
Gli impianti di produzione delle navette BURAN vennero venduti dalla Molnyia e riconvertiti per la produzione di siringhe, autobus e pannolini alla fine degli anni novanta del ventesimo secolo.
Delle tre navette, l’unica ad aver mai volato, nel lontano 1988, una manciata di anni dopo era ormai da buttare – la parcheggiarono in un hangar che crollò per incuria – o così dissero – nell’aprile 2002.
Le altre due, il cui assemblaggio era fermo da anni, erano state messe in lista per lo smantellamento.
C’era un nuovo Zar seduto a Mosca, ed aveva fretta di convertire l’arsenale spaziale in denaro, ed il denaro in vodka, donnine ed investimenti offshore.
Gli operai allora si radunarono nell’hangar principale, all’ombra di uno scafo incompleto, e discussero la cosa Democraticamente e Socialisticamente, come si faceva al tempo dei loro padri.
Avevano fame come tutti quanti ed avevano mogli e famiglie come tutti quanti, ma c’era qualcosa in loro che bruciava, e bruciava maledettamente.
Loro non erano fottuti operai polacchi, che sfornano siringhe se il padrone dice siringhe, autobus se il padrone dice autobus.
Loro erano tutti operai specializzati e sovietici, ed avevano passato due lustri sulle linee della BURAN.
Prima di quelle avevano assemblato i vettori PROGRESS, ed i più vecchi avevano iniziato spingendo i carrelli con gli scarti di lavorazione delle vecchie SOYUS.
Avevano partecipato alla grande corsa, ed avevano gareggiato lealmente.
Avevano provato un orgoglio che solo i loro nonni a Stalingrado avrebbero potuto capire, quando la prima BURAN aveva compiuto le sue due orbite senza equipaggio, atterrando a centro pista senza problemi, e perdendo solo cinque piastrelle isolanti, pronta in dodici ore a decollare di nuovo, e con un equipaggio, se solo qualcuno avesse avuto le palle per ordinarlo.
Avevano sputato sangue, e litigato con le mogli, e quasi scordato la faccia dei figli e delle fidanzate, per produrre le altre due navette entro la data di consegna, e ci sarebbero riusciti, se la sfottuta burokrazia non si fosse fregata metà del materiale e due terzi dei soldi.
Glasnost, col cazzo!
“Ptichka”, l’uccelino, la BURAN 2 che avrebbe dovuto prendere servizio nel 1990, e portare gli equipaggi della MIR, nel ’97 era completa al settantanove per cento.
La BURAN 3 era uno scheletro abbandonato e senza nome.
Ma loro proprio non se la sentivano di mollare, non adesso, non così.
Non era una questione politica, e non era una questione economica.
Era una questione di dignità.
Perciò, fecero così: smantellarono due volte la BURAN 3, ogni volta invitando i funzionari del governo a vedere le ultime fasi del lavoro ed a farsi un bicchiere ed una scopata gratis a Baikonur.
Regalarono loro un poster della MIR ed un giubbotto in cuoio da astronauta, e li rimandarono a casa contenti.
La Ptichka, nel frattempo, la lasciarono dov’era.
Si era parlato di spostarla in un vecchio fienile appena fuori Leninsk, ma qui al cosmodromo era a casa, e si poteva sempre venire una volta ogni tanto a dare un paio di martellate, a montare un pezzo smontato dalla sorella maggiore ormai spiaggiata, tanto per passare il tempo.
Raccontarono a tutti di aver fondato un coro, e di riunirsi periodicamente per le prove.
Dopotutto, ora che erano capitalisti, dovevano pure trovarsi un hobby.

Sì.
Nel mio racconto, veniva recuperata una navetta sovietica Buran rimasta per anni ferma in un hangar.

Beh, volete ridere?
Ieri l’hanno trovata.
Proprio dove avevo detto io.

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Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

19 thoughts on “Il Ritorno della Buran

  1. Quando si dice “narrativa di anticipazione” e complimenti per l’estratto, mi ha trascinato.

  2. Mi stavo giusto documentando sulla Buran, qui ci sono altre foto
    http://imgur.com/a/tSLZX

  3. Grande Davide!
    Ora però ci devi far leggere il resto del racconto. O almeno dirci se quel numero di Alia è ancora rintracciabile da qualche parte per leggere il resto 🙂

  4. fi-ca-ta
    non posso aggiungere altro
    e sottoscrivere zeros83

  5. Assolutamente fantastico 😀

  6. Eri in linea con l’universo! Bella Davide! Bella!!!

  7. molto zen, però adesso voglio leggere il resto del racconto.

  8. Quando si dice potere all’ immaginazione. 🙂

  9. Questa storia è favolosa!

  10. E’ la fantascienza, ragazzi!

  11. Finalmente riesco a commentare.
    Il racconto è pubblicato su Alia 3, del quale mi risultava esistessero ancora delle copie.
    Devo evocare il mio amico Massimo Citi, che certamente avrà i dettagli tecnici a portata di mano.

  12. La forza scorre potente in quest’uomo (cit.)

  13. Vedo cose che gli altri non vedono, faccio cose che gli altri non fanno (cit.)

  14. Buran – Uragano. Un unico volo di prova, un lancio orbitale senza equipaggio. Atterraggio perfetto con il pilota automatico – nel 1988! – su una pista di Tyuratam, poligono di tiro più noto come cosmodromo di Baikonur: e col tempo cattivo. Lo si lanciava con un vettore pazzesco, il razzo Energia, con motori di Valentin Glushko, primo motorista dell’URSS e all’epoca capo dell’intero programma spaziale.

    Risorse, inventiva, idee e risultati gettati via, come tante altre cose.

    • Il volo di prova in automatico, con l’equivalente della potenzadi calcolo di un Vic20, e uno scarto di meno di un metro rispetto alla linea di mezzeria della pista d’atterraggio.
      Non le fanno più così 😉

  15. Ottima narrativaa, complimenti davvero! Questa è l’effettiva dimostrazione del fatto che, se fatta bene, la fantacienza “funziona”, regalando perle d’anticipazione come questa che ci hai mostrato.

  16. Bellissima idea, quella storia di SF con lo spunto della Buran. Visto? Il genere della SF non è morto, per chi lo sa fare.

  17. Pingback: E dopo la BURAN, la RALEIGH | strategie evolutive

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