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L’uomo che amava la guerra

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Dicono che la penna sia più potente della spada, ma io non avrei dubbi nella scelta dell’arma.
Generale Adrian Carton de Wiart

Era un po’ che non parlavamo della storia fatta coi cialtroni – e questa è una buona occasione, visto che si tratta di chiacchierare di un personaggio scoperto troppo tardi per potrer entrare – come sarebbe stato giusto – in Avventurieri sul crocevia del Mondo*.

968816_10151752187826180_426939295_nIl gentiluomo ritratto qui a fianco è il Generale Sir Adrian Paul Ghislain Carton de Wiart, VC, KBE, CB, CMG, DSO e così via.

Di famiglia nobile belga – circolava voce che fosse figlio illegittimo del re Leopoldo II – dopo una educazione in una buona scuola cattolica inglese, all’età di diciannove anni de Wiart lasciò il prestigiosissimo Balliol College per arruolarsi col falso nome di Trooper Carton e mentendo sull’età, e partecipare alla Guerra Boera.
Era il 1889.
Quando venne rimpatriato poco dopo come invalido – essendo stato ferito allo stomaco ed all’inguine – i familiari scoprirono che aveva lasciato gli studi.
Apriti cielo.
Obbligato a tornare a Oxford, rimase comunque nell’esercito, e tornò in Africa per un secondo giro di valzer coi boeri nel 1901.

Passata la guerra boera, Carton de Wiart trascorse la propria carriera militare andando a caccia in giro per l’Europa, giocando a polo, e praticando il pig sticking – un delicato passatempo della casta militare britannica che consiste nell’inseguire un maialetto con una lancia per infilargliela…

Nel 1908 sposò la Contessa Friederike Maria Karoline Henriette Rosa Sabina Franziska Fugger von Babenhausen, dalla quale ebbe due figlie (ammesso che fossero sue – c’era quella storia della ferita all’inguine, sapete…)

Poi, finalmente, lo scoppio della Prima Guerra Mondiala arrivò a rompere la monotonia – nel 1914 De Wiart servì in Somalia, contro le forze del Mullah Pazzo Mohamed bin Abdullah.
In quest’occasione, durante un attacco ad una piazzaforte nemica, de Wiart si beccò due pistolettate in faccia, rimettendoci un occhio e buona parte di un orecchio.
Ma era nuovamente in pista nel 1915, giusto in tempo per raggiungere il Fronte Occidentale e successivamente partecipare alla Battaglia della Somme; nel corso di queste dilettevoli attività, venne ferito sette volte, perse una mano, e si mozzò a morsi le dita che il medico si rifiutava di amputargli. Venne pure ferito alla testa, ad una caviglia, ad un’anca, ad una gamba, ed infine una pallottola gli portò via l’orecchio sano.

Scalando la gerarchia con una infilata di posti temporanei – per rimpiazzare superiori meno fortunati di lui nell’affrontare il fuoco nemico – de Wiart arrivò vivo alla fine della Grande Guerra, col grado di Colonnello e scucendoci anche una Victoria Cross, essendo stato – col suo coraggio e bla bla bla – di ispirazione alle truppe.

Stazionato in Polonia durante gli anni ’20 come parte del contingente anglo-polacco, de Wiart si sistemò nuovamente a cercare di far passare la noia andando a caccia, e facendo un po’ di lavoro “non ufficiale” per aiutare i Russi Bianchi e i Polacchi dopo la rivoluzione Bolscevica.

Fortunatamente per lui (ma non per il resto del mondo, naturalmente), nel 1939 i suoi servigi tornarono ad essere necessari, e il colonnello fu prima impegnato come consigliere militare delle forze polacche durante l’avanzata nazista e successivamente – dopo essere stato mitragliato dalla Luftwaffe ed essere fortunosamente fuggito – venne promosso al grado temporaneo di generale e gli venne affidato l’incarico di prendere Trondheim, in Norvegia.
Durante uno dei più spettacolari disastri della Seconda Guerra Mondiale, de Wiart si trovò abbandonato coi suoi uomini sul suolo norvegese, sotto attacco dalle truppe tedesche, senza armi e rifornimenti.
Chiese di essere evacuato.
Gli ordinarono di tenere la posizione.
Lui tenne la posizione.
E poi festeggiò il suo sessantesimo compleanno.

Cecil_Beaton_Photographs-_Political_and_Military_Personalities;_Carton_de_Wiart,_Adrian_IB3449CTrasferito nel teatro mediterraneo, de Wiart ebbe ancora il tempo di negoziare un accordo col governo Yugoslavo prima che il suo aereo venisse abbattuto e si schiantasse in mare al largo della Libia.
Dovette nuotare per due chilometri per raggiungere la costa e farsi catturare dagli italiani.
Essendo invalido, gli italiani gli offrirono il rimpatrio, a condizione che giurasse sul proprio onore di non partecipare ulteriormente allo sforzo bellico.
Lui chiese di essere internato in campo di prigionia.

Fuggì dal campo prigionieri cinque volte – in un caso, passando sette mesi a scavare un tunnel nella sabbia, ed in un altro rendendosi irreperibile alle autorità spacciandosi per un contadino italiano (rimase a piede libero otto giorni).

Poi, nel ’43 le autorità italiane lo portarono a Roma, e negoziarono con lui i preliminari dell’armistizio dell’Otto Settembre.
Gli fornirono poi un abito di sartoria (secondo sue specifiche, e non “uno di quei costumi da gigolò di voi italiani”) e lo scaricarono – probabilmente con un sospiro di sollievo – a Lisbona.

Tornato in Inghilterra, lo spedirono in India, e da qui, in Cina, come uno dei molti consiglieri militari di Chiang Kai Shiek. Ciò gli offrì la possibilità di partecipare alla Seconda Guerra Cino-Giapponese, e di rimbrottare Mao Zedong dandogli del comunista irresponsabile.

Finita la guerra, de Wiart tornò in patria, ma fece tappa a Rangoon, dove accidentalmente scivolò su uno zerbino, cadde lungo una rampa di scale, spezzandosi la schiena e parecchie vertebre.
Ripresosi perfettamente anche da questa – i medici ne approfittarono per toglierli un po’ di schegge e proiettili dal corpo – il Generale tornò in Inghilterra ed all’età di 71 anni sposò una donna di 23 anni più giovane di lui, e si ritirò in Irlanda, a sparare alle pernici ed a pescar salmoni.

Morì tranquillo nel proprio letto nel 1963.

Nel chiudere questa carrellata su di lui, vogliamo ricordare la sua famosa dichiarazione alla fine della Grande Guerra (ricordate – sette ferite, dita mozzate a morsi…)

“Francamente la guerra mi ha divertito… e mi domando perché la gente voglia la pace, quando la guerra è così divertente.”

Pare che nelle sue memorie non citi mai né la moglie, né le figlie, né la Victoria Cross.

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* Buona occasione per attendere che il postino consegni la sua autobiografia.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

11 thoughts on “L’uomo che amava la guerra

  1. Non fosse vera, la biografia di quest’uomo sarebbe troppo bella per essere vera.
    Quando la Vita imita l’Arte, ogni tanto lo fa in maniera sublime.

  2. All’attacco dello zerbino di Rangoon ho dubitato che ci stessi prendendo tutti per il naso 🙂

  3. Insomma, in poche parole un gran figlio di buona donna duro a morire. Di quelli che tengono così tanto in sprezzo il pericolo da intimorire anche la morte.

  4. dovrebbero farci un film, ma dovrebbe essere troppo politicamente scorretto.

  5. Decisamente una storia incredibile.

  6. oddio.. ho ancora le lacrime agli occhi.. 😀

  7. sembra quasi il soggetto di una commedia con Leslie Nielsen… e volendo si potrebbe fare un film senza nemmeno bisogno di un budget troppo alto

  8. (lo giuro, non siamo parenti)
    Questo tizio fa sembrare ridicolo Wolverine. Ci sarebbe voluto un Peter Sellers per rendergli giustizia al cinema.

  9. Questo tizio è qualcosa di superiore perfino a Jack Churchill e Simo Hayha…

  10. Spettacolo di uomo ma mi chiedo: una visita psichiatrica quanto materiale interessante avrebbe dato a psichiatri e psicologi di tutto il mondo? 😀

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