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ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

A Ruota Libera – 1680 parole

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Primitivo Rituale Catartico

Rubo una memoria al mio amico Hell Graeco.
Il quale mi racconta che, durante un concerto metal, gli tocca sciropparsi due madame che, lungi dall’abbandonarsi al suono in un primitivo rituale catartico (o qualcosa del genere – ciò che fanno, insomma, i cultori del metal durante i concerti), ciarlano amabilmente di musica nazional-popolare e di letteratura.
Non c’è più il pubblico del metal dei miei tempi, mi dico.
Ma la cosa che mi interessa ancora di più è una frase che l’amico Hell riporta, e che fa più o meno così…

uno che non ha fatto nemmeno le superiori non si può improvvisare scrittore

Le due signore, nella fattispecie, stanno parlando di un popolare e molto venduto autore nazionale che non ho mai letto, e sul quale quindi non posso esprimere opinioni, ed il tutto farebbe parte di una discussione in cui si suppone… meglio ancora, si dà per certo, che l’autore di best seller sia solo un prestanome, una faccia, uno che mette il proprio nome su cose scritte da altri.
Da una donna, quasi certamente.
Come Shakespeare, dirà qualcuno (e da qui a qualche giorno, lo diranno in tanti).

Ma non è sul fatto che William “The Stratford Kid” Shakespeare fosse in realtà sei donne (non è mia, è di Woody Allen) che intendo riflettere in questa sede (se l’argomento interessa, troverete pane per i vostri denti qui), quanto su quella prima frase maledetta.

uno che non ha fatto nemmeno le superiori non si può improvvisare scrittore

Ora l’affermazione qui sopra è talmente sbagliata in così tante maniere diverse, è a tal punto indice inequivocabile di una profonda ignoranza, che potremmo anche chiudere qui la discussione (ed io vi consiglio di farlo… smettete di leggere, che tanto quello che segue non porterà a nulla e rischia solo di infastidirvi. No, davvero, smettete di leggere.

OK, non venite poi a dirmi che non vi avevo avvertito)

uno che non ha fatto nemmeno le superiori non si può improvvisare scrittore

E se invece volessimo parlarne?

Potremmo cominciare col lungo, lunghissimo elenco di tutti quegli autori quotatissimi e fondamentali per la nostra civiltà, che mai videro neanche l’ingresso di una scuola superiore o istituzione equipollente o che, avendolo visto, se la diedero a gambe appena possibile.
Che anzi, a guardar la storia della letteratura non solo occidentale, l’impressione è quella che i pilastri siano stati posti in opera da una marmaglia di malaffare – cantastorie ciechi, bottegai, monaci scapestrati, autodidatti di tutte le fatte, cammellieri, rivoluzionari, donne segregate in serragli e ginecei, schiavi, solitari autodidatti del New England, seminaristi pentiti, gente che aveva tagliato alberi, estratto oro e altri metalli dalla nuda terra, spostato mandrie di vacche, intrapreso e deragliato una carriera militare, venduto temperamatite porta a porta, persino uno che decise a tavolino di scrivere fantascienza perché era il genere che vendeva di più…
Ammettiamolo, la letteratura l’hanno fatta i loschi, i tipacci, i pendagli da forca.
Per ogni fine intellettuale con fior di accademico pedigree, ci sono quattro tagliagole con un fascicolo alla questura.
Gente che è finita accoltellata in fumose stamberghe, che è morta negli spasmi del delirium tremes, che ha incenerito i propri neuroni con stravizzi, droghe e pratiche innominabili, che si è fatta saltare la testa a fucilate “come Kurt Cobain”, che si è trascinata per i bassifondi del pianeta senza uno scopo apparente, e che se anche aveva frequentato le sale eccelse dell’accademia, non ha esitato ad abbandonarle per darsi alla crapula, alla pirateria, al mercenariato di tutte le fatte.
Persino pubblicitari.
Per cui chissà se fare le scuole superiori sia sufficiente.
O necessario.
O in effetti, utile.

Per me – non li odiate anche voi certi personalismi? – è stato utile non perché le scuole superiori mi abbiano insegnato a scrivere, ma perché mi hanno portato a contatto con persone che avevano voglia di leggere ciò che scrivevo.
E di parlarne.
E se dovessi basarmi sulla disponibilità di lettori intelligenti, dovrei dire sulla base delle mie esperienze che le scuole sueriori sono meglio dell’università e di internet.
Ma sarebbe forse poco caritatevole.
Nella mia personale classifica, le scuole superiori sarebbero alla pari così con le scuole elementari – che mi hanno insegnato a leggere e scrivere.
Nel senso di scrivere ma non di scrivere, naturalmente, se mi capite.

Diciamo che, con buona pace della madame metal che hanno allietato Hell al concerto, per scrivere non è strettamente necessario una possedere una cultura codificata; avere delle cose da dire sembrerebbe più importante, in prima battuta.
Potremmo andare oltre e dire che, sulla base del dato statistico, non esiste una sola condizione necessaria in assoluto al fine di improvvisarsi scrittori se non quella di avere una storia da raccontare, e le storie da raccontare derivano dall’esperienza – che conta quanto la cultura, e non necessariamente deve passare per un’aula accademica.

E questa faccenda dell’improvvisarsi…
Sì, ok, improvvisarsi.
Che non è inteso nell’accezione negativa delle due madame, come uno che ha sempre suonato l’ukulele e ora prova a dirigere l’orchestra, ma deriva semplicemente dalla considerazione che, anche quando medito per una settimana sulla penna Bic e sul quaderno a quadretti prima di metter mano alla scrittura, anche in quel momento non sono ancora uno scrittore.
Sono uno scrittore quando scrivo, e si tratta sempre di una azione improvvisa – prima non la facevo, ora la faccio.
È un atto immediato, improvviso.

E tutto questo, in ultima analisi, è molto zen, poiché la scrittura diventa quasi qualcosa che si riversa da una tazza vuota, un atto subitaneo che non accade nel vuoto, ma che non richiede condizioni preesistenti codificate.
Ma anche questa probabilmente è tutta una balla – perché se scrivo, se sono uno scrittore (sono uno scrittore, non faccio lo scrittore, che è tutta un’altra storia)… allora, dicevo, ogni azione che compio avrà una finalità alla scrittura – dal considerare un paesaggio per cercare la maniera più economica di descriverlo a parole, all’origliare le chiacchiere di due madame ad un concerto metal per avere un’idea di come sia un dialogo vero.
Come diceva quel tale, sono uno scrittore, e anche quando guardo fuori dalla finestra con lo sguardo perso nel vuoto, sto lavorando.

Quindi, bella l’idea dello zen, ma anche no.
O forse è solo un approccio zen diverso.

(lo zen, a tutti gli effetti, è come il funk che descrivevano i Defunkt … ti acchiapperà che tu lo voglia o meno)

E così (per vie traverse e scansando agilmente la questione delle regole o dei principi, e il fatto che da qualche parte o da qualcuno dovrai pure impararli) torniamo all’annosa questione del talento, che c’è, non c’è, esiste o non esiste, è un dono divino, un vezzo evolutivo, una frottola messa in giro da scrittori che non erano in grado di descrivere ciò che li animava, che temevano la concorrenza o che semplicemente si vergognavano di parlare di traspirazione e crampi alle natiche (no, ragazzi, il vero crampo dello scrivano non è quello che pensavate), e dolori alle dita, tutto dipende da chi state a sentire…
Il talento che è come il Gatto di Schrodinger, il dono (?) della scrittura si conforma pienamente con il Principio di Indeterminazione di Heisenberg – se sai che c’è, non sai cos’è, se sai cos’è, non sai dov’è.

Puoi surfare sull’inesprimibile – che ancora una volta suona abbastanza zen (visto? non si sfugge…) da colmare una tazza vuota, ammesso che noi la si sia svuotata dei nostri preconcetti.

Perché, allora, se ha una storia decente da raccontare, anche l’ultimo incolto relitto umano non dovrebbe avere la possibilità di “improvvisarsi scrittore”?
Non sono forse la Composizione e l’Esposizione due delle Cinque Eccellenze, quelle che secondo i taoisti ti salvano la vita quando tutto è perduto – e che in assenza di minacce dirette alla sopravvivenza, ti salvano la salute mentale?

Rimane poi un’ultima questione abbastanza interessante – quella secondo la quale bisogna camminarla come la parli o altrimenti perdi il tempo (per citare Fagen & Becker).
In termini meno esoterici, per essere presi sul serio non basta scrivere.
Non basta neanche vendere a carrettate, apparentemente.
Poiché se l’autore non si conforma alle mie aspettative, dubiterò che sia stato lui a scrivere il libro.
Scrittori: oltre ad esserlo bisogna anche farlo
È un’idea popolare, l’abbiamo sentita spesso, vero?

Impossibile che quello abbia scritto davvero…

E non da ieri – si diceva Shakespeare, più sopra…
Non possiamo quindi liquidarla con la solita storia della civiltà moderna ossessionata dall’immagine, in cui i ragazzi del marketing non mi vendono un libro ma un pacchetto, una esperienza integrata che comprende anche l’autore e la sua biografia, la sua immagine pubblica, le sue interviste, le sue canzoni preferite alla radio…
Sarebbe bello, ma non basta – i ragazzi del marketing ai tempi di Will Shakes non esistevano.
No, ok, esistevano, ma il multimedia package aveva tutta un’altra forma.
E allora, da dove viene?
Dalle lunghe ore di scuola – ci torniamo, vedete? – in cui prima di farci leggere il dannato brano dell’antologia ci narcotizzavano con lunghe e monotone biografie dell’autore?
Lo facevano, vero? Possibilmente editando le parti… ehm, poco edificanti (le donne di malaffare, i ragazzini, gli scandali, il carcere, l’alcool e i duelli alla spada, i debiti, le posizioni politiche esecrabili, il possesso di schiavi, la pirateria e il traffico d’oppio…)
Mi pare tuttavia anche questa una ipotesi discutibile.

Forse, e prendetela col beneficio d’inventario, è il fatto che un libro, una narrativa, è anche una forma di comunicazione fra il lettore e l’autore – e a volte ci raccapriccia scoprire che il libro che abbiamo letto ci mette in contatto diretto con la mente e l’anima di una persona completamente diversa da come ce l’aspettavamo.
Non un tipo a posto con gli studi giusti alle spalle e una bella cravatta di Cardin, ma magari un povero derelitto, un tipo da spiaggia,  uno che non ha neanche fatto le superiori.
E magari è proprio questo il bello della letteratura, ma probabilmente non per tutti.

Visto?
Ve l’avevo detto che questo discorso non avrebbe portato a nulla.

Ma d’altra parte, cosa volete cavare di costruttivo dalle chiacchiere deliranti di due madame che parlano di libri ad un concerto heavy metal?

Addendum: le osservazioni di Hell hanno ispirato anche riflessioni più coerenti, ad esempio sul blog di Marco Siena.

Rettifica: l’esperienza l’ho rubata dal cervello di Hell, ma era in effetti una esperienza di Marco.
Non modifico il post per pigrizia – sappiate tuttavia che quello che si è sciroppato le due tizie è Marco… rivolgetegli un pensiero caritatevole…

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

25 thoughts on “A Ruota Libera – 1680 parole

  1. Madonna, quanta roba che hai scritto 🙂

    Io sarò meno empirico.

    Qualcuno mi odierà ma non ho mai dato peso al “pezzo di carta”. Conosco moltissime persone con fior fior di laurea ma non in grado di scrivere uno straccio di lettera senza infilarci errori pacchiani o frasi senza senso. Ahimé alcune di queste lavorano in uffici attigui ai miei.

    Studiare ha un senso ma non è strettamente indispensabile, non per quel che concerne la creatività e i lavori artistici.
    Ora, i geni autodidatti sono in realtà pochi. Un’infarinatura di base serve eccome. Diffido per esempio di chi si dichiara scrittore salvo poi aggiungere che legge sì e no un libro l’anno.
    E’ come voler cantare senza ascoltare le canzoni. Mi sembra un tantino difficile.

    Leggere non presuppone però titoli di studio. Lo può fare il contadino come non lo può fare il superlaureato. Uno dei miei capi, per esempio, luminare della giurisprudenza economica, non legge un libro che non sia un manuale tecnico da almeno vent’anni.
    Viceversa c’è un tizio, nel paesino di montagna dove sverno spesso e volentieri, che è un pastore di pecore, credo con la terza media, eppure è un abilissimo oratore (bon, scrittore non lo so, ma non credo).

    E’ anche vero che l’arte è molto interpretativa. Tu sai quanto mi batto contro l’uniformità di giudizio.
    La scorsa estate al Guggenheim ho visto una marea di spazzatura (parere personale) che gente di tutto il mondo si prodigava a fotografare chiamandola “arte moderna”.
    Per i libri è un po’ più difficile (gli errori sono errori, c’è poco da interpretare), ma non impossibile.

  2. In sintesi, dovrebbe scrivere chi ha qualcosa da dire. Pagine inutili, nel senso più bieco della parola, ce ne sono a miliardi.

  3. Siamo più o meno daccordo.
    In sintesi – per scrivere bisogna avere qualcosa per raccontare e un modo per raccontarlo.
    Io sostengo che il modo è ampiamente negoziabile.
    Lo studio è un modo – ma ce ne sono infiniti altri – di raccogliere delle esperienze che possano servire ad alimentare la narrativa… il cosa più che il come, insomma.

    Per qualche motivo, secondo alcuni, per costruirsi questo serbatoio di esperienze e metodi, acquisire un titolo di studio è meglio che fare il panettiere, affrontare la tundra artica in scarpe da tennis è meglio che acquisire un titolo di studio.
    Sono pregiudizi.

  4. (uhm, mi accorgo ora che l’articolo a cui fai riferimento è di Marco Siena, non di Germano. E’ questo per caso: http://primadisvanire.wordpress.com/2011/11/19/ci-vuole-la-licenza/ ?)

  5. Sì, l’incipit l’ho dato io giovedì dopo il citato concerto metal 🙂 Ma non succede nulla, l’importante è diffondere il pensiero 🙂

  6. @Angelo
    Non ultime quelle che ho scritto qui sopra… 😀
    Concordo in pieno con il principio di base, forse ‘unica vera regola scolpita nel granito.
    Se non abbiamo nulla da dire, cosa scriviamo a fare?

  7. @Alex
    In realtà, Marco ed io siamo partiti da una esperienza di Germano per raccontare la nostra storia.
    Ci siamo nutriti del suo cervello, se vogliamo… 😛

  8. Ah, come non detto – io le info le ho avute da Hell e da qui la mia confusione… vedi cosa succede a scrivere di getto?
    Posterò rettifica.

  9. Non volevo certo rompere le scatole, eh! 🙂

  10. Non è successo nulla ripeto, ci mancherebbe 🙂 Se rammenti Davide ho postato la cosa in Base giovedì mattina dopo il concerto.

  11. Eh, io giovedì l’ho visto, ho commentato un commento di Hell, e da lì è partita la confusione.
    Sto diventando vecchio.
    Devo ridurre i carboidrati e aumentare il selenio…;-)

  12. 🙂 Bellissima la rettifica e grazie per la solidarietà 🙂

  13. Ehm… che ho fatto, stavolta? E soprattutto, visto che non ricordo di averlo fatto, non sarà grave? 😀

  14. @Davide

    E se opti per le patate arricchite di selenio?Una botta al cerchio e una alla botte! 😉

    Post molto interessante con cui sono d’accordo al 100%.
    Contano le idee e non è lo studio dei professoroni a fartele venire.
    Se c’è stato qualcosa che ha ostacolato molto la mia passione per la scrittura è stato l’eccessivo studio accademico di certi scrittori e soprattutto di certi critici che vedevano il trascendente e messaggi esistenziali sullo stato dell’umanità ovunque.

    L’unica cosa che mi ha dato aver fatto le superiori (cancellerei la mia avventura universitaria) è stato l’accesso alla biblioteca scolastica e un buon insegnate(non di lettere bada bene!) che mi ha saputo consigliare romanzi e saggi molto interessanti da leggere.
    Non da studiare ma per nutrire l’immaginario, per arricchire la mia già fervidissima fantasia.

    Ti invidio molto i lettori che avevi alle superiori.
    Ho sempre scritto piuttosto in segreto manco fossi un carbonaro perchè a casa mia erano decisamente di moda le scienze(chimica, fisica etc) e la matematica non la filosofia e la robaccia umanistica. In più c’era la convinzione che un adolescente non possa scrivere seriamente racconti o altro. Quindi dopo un paio di tentativi in cui ho tentato di coinvolgerli ho lasciato perdere.
    Ti dico che ad un concorso di racconti indetto dalla scuola ho partecipato sotto pseudonimo (e ho pure vinto!). Vedi dove ci portano i pregiudizi?

    Cily

  15. @Cily
    Vacci piano con l’invidia…
    Una delle reazioni che mi sono rimaste impresse a fuoco nelle sinapsi è la compagna di classe che avendo letto una mia storia, mi isola l’unica scena veramente d’azione (sulla quale avevo lavorato a morte per darle ritmo, credibilità, impatto), mi guarda e mi dice…

    “Questa naturalmente è una metafora di un rapporto sessuale, vero?”

    Sono traumi che a sedici anni ti segnano.

    Ma ne riparleremo magari nel post di domani…

  16. Conosco fior di titolati dottori in qualcosa che sparano frasi tipo “sei io sarei andato alla Bocconi sarei un luminario di scienza”. GIURO, GIURO che questo qui era un avvocato figlio di ricchissimi avvocati pluririchiesto in aula e plurilaureato.

    Concordo con Davide, per scrivere bisogna avere qualcosa da dire ed uno stile. Certo, un minimo di grammatica e sintassi ci vuole, ma quella la do per scontata come un pittore che debba saper utilizzare pennello e colori.

    E mi appenderò in casa la scritta “Ammettiamolo, la letteratura l’hanno fatta i loschi, i tipacci, i pendagli da forca”. STUPENDA!

  17. Io conosco gente che non solo vorrebbe fare il megadottorato in USA senza essere in grado di mettere insieme una frase in inglese, ma che per fare una lettera di presentazioni prima in italiano e poi inglese fa talmente tanti strafalcioni nella prima da rendere inutile lo sforzo della seconda. Poi sull’elitismo allaria fritta dei metallari si potrebbero scrivere enciclopedie.

  18. “All’aria”, ovviamente, ma ormai la frittata è fatta e non mi crederete se vi dico che non stavo parlando di me. 🙂

  19. Tranquillo, Negrodeath, che su questo blog gli errori di battitura sono ammessi senza penalità 😀

  20. Ah, ma la storia è vecchia come le colline. Citi Shakespeare, citi – e già ai suoi tempi gli University Wits lo guardavano dall’alto in basso perché usciva solo da una grammar school. Robert Greene, Master of Arts in due università, libellista velenoso e tragediografo pessimo, non si sapeva capacitare del fatto che il figlio del guantaio pretendesse di scrivere poesia come la gente dotta. E persino Ben Jonson, che pure pensava molto bene di Shakespeare (e a sua volta non era stato all’università) sentiva il bisogno di precisare che il povero Will sapeva poco Latino e nemmeno un’ette di Greco…
    Insomma, nientissimo di nuovo su questo fronte.

  21. … e la faccenda non mi rallegra affatto.

    E se di cose vecchie come le colline non se ne occupa un paleontologo, alla fine, chi se ne deve occupare? 😉

  22. La storia si ripete… E mi ripeterò pure io: chi vuole scrivere scriva, poi, non importa quanti siano i lettori, ci sarà sempre qualcuno che dirà: “Che boiata!” o “se anche una sola persona ci trov a qualcosa di buono lo srito si giustifica da seL’hai copiato” o vedrà scene di sesso ovunque (ma forse dovrebbe vedere uno bravo). Se anche una sola persona ci trov a qualcosa di buono lo srito si giustifica da sè.

  23. Ciao, ho linkato questo post sul forum di scrittori pirati che frequento, spero non ti dispiaccia!
    Ma lo trovo molto interessante, e poi l’ex panettiere bresciano fa furore anche nel nostro forum 😉
    Alla gente proprio non va giù ehehehehe

  24. Ciao, Gazza.
    E grazie per il link, che non mi dispiace affatto, anzi!
    Conosco il forum del pesce pirata, anche se non lo frequento (io e i forum non andiamo daccordo, sono pigro).

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