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ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Un tranquillo signore di campagna – James Herbert

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Questo è un post del piano bar del fantastico, richiesto dal mio amico Elvezio Sciallis.
E chi sono io per rifiutare?

theratsLa nostra storia comincia nel 1974, quando un’orda di topi mutanti grandi quanto cani lupo, si scatena a Londra, portando morte e devastazione.
Il romanzo si intitola The Rats, e l’autore è il trentenne James Herbert, che ha avuto l’idea guardando Dracula.
Herbert ha trascorso gli ultimi due anni scrivendo questo romanzo asciutto, costruito in un alternarsi di una trama principale – i nostri eroi contro i topi – e varie vignette – i topi che compiono la loro orrida opera sugli ignari cittadini.
Il romanzo è crudo, anche un po’ grezzo, non privo di un perfido umorismo.
Il successo è colossale – il libro vende 100.000 copie in tre settimane.
James Herbert è un pubblicitario – proprio come Henry Kuttner, che una quarantina d’anni prima esordì con l’altrettanto folgorante, crudo ed ironico The Graveyard Rats.
Il paragone non è casuale.

The Rats di Herbert è un romanzo d’esordio, nel bene e nel male, ma è anche un romanzo che porta una boccata d’aria fresca nell’orrore britannico, inserendo tematiche moderne e scientifiche nel genere, e recuperando elementi catastrofici che, pur senza scomodare Ballard, sono certamente un marchio distintivo del fantastico inglese degli anni ’70.

Fog001L’anno successivo è la volta di un banco di nebbia che scatena la follia in coloro che ne vengono a contatto – The Fog (niente a che vedere col film di Carpenter) prosegue sulla stessa linea di The Rats, sia strutturalmente che “ideologicamente”.
Il debito di Herbert è con tutta la cinematografia orrifica classica, ma anche e soprattutto coi film della serie di Quatermass.

Seguirà The Survivor, del 1976, che utilizza ancora la catastrofe per fare irrompere l’inspiegabile nel quotidiano.
Dal romanzo verrà tratto anche un film, con Robert Powell e Jenny Agutter.

E poi avanti, ormai Herbert è lanciato, e sforna una lunga serie di romanzi, fieramente best-seller in paperback, fieramente “popolari”.
Alcuni accusano Herbert di essere violento, semplicistico e sensazionalistico.
Altri, si affrettano ad etichettarlo come “lo Stephen King degli inglesi”.
Entrambe le definizioni sono discutibili.

48 – James HerbertPersonalmente, scoprii Herbert piuttosto tardi, nella seconda metà degli anni ’80, quando alla Libreria Luxembourg di Torino comparve una scaffalata di tascabili nerissimi.
Il catalogo di Herbert, campionato casualmente, mi fece scoprire un autore competente, capace di saltare da un horror catastrofico “alla Quatermass” come The Fog a una ghost story crudele e atipica come Haunted, passando per l’orrore cospirativo di Shrine, al fantastico di una storia come Fluke.
Successivamente, mi avrebbe definitivamente conquistato con ’48 – un meraviglioso piccolo romanzo su un mondo devastato dalle armi batteriologiche naziste, una storia tesissima che strilla per essere trasformata in film… ma nessuno l’ha mai fatto.

Il ruolo di buon artigiano gli venne sempre riconosciuto – fino al cavalierato per meriti artistici*.
In una intervista, pubblicata nel ’90, Herbert si descriveva come persona tranquilla, terrorizzata dalla violenza, e incapace di credere al sovrannaturale. Anche la sedia appartenuta a Oliver Cromwell, acquistata coi proventi dei best-seller, che aveva portato a casa dell’autore strani scricchiolii notturni, veniva liquidata con un paio di battute e un paio di semplici spiegazioni terra-terra.
James-HerbertA differenza di King, Herbert non ha mai pubblicato all’ingrosso, non si è mai sbrodolato per aumentare il page-count – i suoi romanzi sono economici anche nel conteggio delle pagine.
E se all’inglese manca una dichiarata poetica dell’orrore “alla Lovecraft” è vero che alcuni temi – primo fra tutti quello della critica al sistema delle classi sociali britanniche – sono sempre presenti e ben definiti, senza tuttavia essere sbattuti in faccia al lettore.
Se vogliamo trovargli un antenato letterario, Herbert è probabilmente il prosecutore  dell’opera di quel Dennis Whateley amato dalla Hammer, specializzato in thriller occulti – l’uomo che creò un intero piano fasullo di invasione dell’Europa, nel ’43, in una notte, col solo ausilio di una stecca di sigarette e due magnum di champagne.
Come Whateley (o come l’altro grande autore inglese, Ramsey Campbell), Herbert era assolutamente esterrefatto all’idea di essere considerato un esperto di occulto, un satanista, un medium – era un signore per bene che faceva un lavoro onesto, divertendosi, e punzecchiando certi orrori (veri) della società in cui viveva.
Il linguaggio di James Herbert è trasparente, quasi giornalistico – cosa che lo rende accessibile, in inglese, più di molti suoi colleghi.
La forza di Herbert risiede nelle idee, nel coraggio di metterle su carta ed inseguirle fino alle loro più logiche, devastanti conseguenze.

A cavallo degli anni 80/90, Herbert fu anche presente e ben visibile sul mercato italiano, grazie a Sperling & Kupfer e a Urania.
Oggi i suoi lavori sono quasi introvabili, a meno di non battere senza pietà bancarelle e remainders – una caccia che riserva sempre delle prede gustose.

Ci si domandava, due sere or sono, discutendo con alcuni amici della scomparsa dell’autore inglese, cosa sia cambiato in questi vent’anni.
La scomparsa di Herbert dai nostri scaffali fa parte di quella stretta, rigida codifica dell’orrore che è stata operata – con chiari intenti di marketing – negli ultimi due decenni.
La grande ubriacatura dei vampiri – prima con la Rice, poi con i vampirelli infoiati di Twilight e cloni – ha allontanato il pubblico da un narratore come Herbert, capace di evocare ratti mutanti, nebbie assassine, demoni, spettri, nazisti, epidemie, catastrofi aeree, reincarnazioni e maledizioni diverse.
Troppo difficile da catalogare, troppo ansiogeno nel suo offrire, da un libro all’altro, storie diverse.
E poi, di sicuro – a differenza dei vampiri fatti col ciclostile che piacciono tanto alle adolescenti – l’orrore di Herbert è ancora orrore.
È destabilizzante, è tutto fuorché rassicurante, è cattivo, pone delle domande, fa paura.

James Herbert se ne è andato il 20 di marzo.
Sopravvivono i suoi romanzi, che non sarebbe una cattiva idea recuperare.
Cominciando da dove vi pare, tanto sono tutti indipendenti l’uno dall’altro, tutti diversi l’uno dall’altro (anche i due sequel di The Rats), tutti assolutamente spaventosi (salvo forse Fluke, che comunque io trovai angosciante).
Ben scritti, non troppo lunghi, intelligenti abbastanza per farvi provare qualche onesto brivido.
E cos’altro volete?

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* Eviteremo in questa sede di deridere selvaggiamente quegli autori che si vergognano di essere narratori di genere, che chiamano “thriller” l'”horror” e “noir” il “giallo”, e ucciderebbero per un premio sponsorizzato da una pro-loco che ha fatto carriera.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

10 thoughts on “Un tranquillo signore di campagna – James Herbert

  1. Grazie Davide. Non pensavo, ma alla fine, fra volumi in italiano e in lingua originale, ho tantissimo di questo autore: la lettura de La Nebbia a dieci anni mi ha blastato come poche altre cose. E tendiamo sempre a pensare Urania, Fanucci, Gargoyle e altri soliti nomi, ma la Sperling & Kupfer per un bel po’ d’anni ha tenuto botta come pochi altri, credo per merito di Giovanni Arduino… RIP Sir Herbert.

  2. Un dignitosissimo artigiano, pieno di orgoglio per ciò che scriveva, ma del resto calato in un contesto, quello inglese, in cui certi generi hanno piena e totale dignità da decenni.
    Mi piaceva anche quella sua peculiartià, che tu hai sottolineato, di non allungare il brodo con pagine inutili e inutili orpelli per creare saghe infinite.
    Ci mancherà.

  3. certo non sarebbe male se qualche editore ripubblicasse i suoi lavori, ormai introvabili. anche io facendo una conta ho scoperto di avere a casa una decina di suoi romanzi, tutti godibili, crudi, dalla prosa secca, precisa e mai barocca. Oltre ai citati ricordo con piacere il suo “Satana” (non ricordo come fosse il titolo originale inglese) The magic cottage e il sepolcro. E’ uno di quegli autori, un po’ come Laymon, che è stato accantonato molto frettolosamente

  4. Mi dispiace di apprendere della scomparsa di Herbert, io ero uno di coloro che lo aveva scoperto grazie a degli albetti della Bonelli usciti assieme a Dylan Dog, in seguito avevo trovato l’Urania de La Nebbia. Grande romanzo e grande romanziere ingiustamente sottovalutato e dimenticato in Italia.

  5. L’ho amato molto e mai dimenticato. Grazie, Davide.

  6. Grazie a tutti per i commenti.
    In effetti, a parte il dispiacere per la scomparsa di un autore che aveva ancora certamente delle storie da scrivere, ciò che mi ha colpito di più, in questa occasione, è la rimozione di alcuni autori dai nostri scaffali senza una motivazione che non sia – a voler essere complottisti – un desiderio di condensare e semplificare l’offerta per un pubblico di idioti.
    Peccato che il pubblico non sia composto da idioti.
    Non sempre, per lo meno.

  7. Mai letto Herbert. E si che mi potrebbe piacere molto, non fosse altro che per la “cattiveria” e l’asciuttezza di stile. Peccato.

  8. molto bello il tuo articolo su herbert autore interessante che a me ricorda un poco wyndham mio primo amore di gioventù
    p.s. ma ’48 è stato tradotto in italiano?
    vincenzo

  9. ciao Davide, meglio tardi che mai ti ringrazio per il ricordo dii Herbert: autore che mi piacque da quando lo scoprii nell’80 con “L’orrenda tana”, per tutti i motivi che hai detto.
    Sicuramente qui in Italia ha sofferto il paragone con King, che a partire dai primi ’80 ha dilagato: forse lanostra indiìustria libraria ha voluto puntare tutto su un cavallo solo, forse la potenza della macchina hollywoodiana da noi conta parecchio.. chissà!
    Non capisco abbastanza di politiche editoriali ma mi interessano le tue considerazioni su come i nostri scaffali siano stati “sterilizzati” negli ultimi vent’anni.
    Curioso come i romanzi di H che ho letto io non coincidano quasi per niente con quelli che hai letto tu o gli altri commentatori: certo Il superstite, certo Fluke (in Urania mancano le prime 40 pagine: il sup primo proprietario), certo Nebbia (in Urania mancano più di 120 pagg: vergogna!) ma gli altri li ho trovati su una bancarella di tascabili originali: il bell’horror Moon, l’horror comico Creed, l’horror con disperazione spirituale Nobody True (vagamente simile a Fluke; come il precedente non tradotto da noi). Il che ci dice che tutti i suoi numerosi romanzi erano di qualità garantita. e che bisogna pescare all’estero..

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