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ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

La condizione di Muzak

21 commenti

Rubo il titolo a Robert Hughes o forse, chissà a Jerry Cornelius.
Ma non voglio parlare di musica.
O di arte.
Però…

Qualche giorno addietro si parlava, con alcuni amici, dei cartoni animati giapponesi coi quali è cresciuta la mia generazione.
La prima grande ondata.
I robottoni di Go Nagai.
Capitan Harlock.
Lupin III.
I ninja di Sampei Shirato.
E poi giù giù fino a… mah, io direi fino a Tenchi Muyo e Patlabor.
Io i confini della “mia generazione” li metto lì.
Dopo, i cartoni diventarono – per me e per alcuni miei coetanei – una faccenda abbastanza noiosa, con occasionali picchi di genialità, sì, ma non più una monolitica fonte di intrattenimento.
Ma non si faceva, coi miei amici, la gara per decidere se il Gundam sia più forte di Naruto.


Come spesso capita fra coloro che parlano di cartoni animati giapponesi, siamo arrivati al solito paradosso – nel nostro paese si preferisce tagliare, rimaneggiare e doppiare in maniera dubbia prodotti destinati agli adulti per renderli adatti ad un pubblico di ragazzi, invece di limitarsi a dare ai ragazzi i prodotti per ragazzi, ed agli adulti i prodotti per adulti.
Sì, lo so, ora le cose sono diverse, e ci sono reti televisive che passano i cartoni per un pubblico maturo in fasce orarie specifiche eccetera eccetera.
Ma resta il problema che nel nostro paese il medium del cartone animato rimane un medium destinato se non più esclusivamente certo prevalentemente al pubblico giovanile.
A rischio di tagliare dieci minuti dai ventiquattro originali di un episodio di Lupin III perché Jigen spara e uccide i cattivi e Fujiko fa vedere le tette.

Poi, stamani, su Tuttolibri, mi imbatto in un pezzo dedicato alla serie fantasy The Game of Thrones, del povero George R.R. Martin.
E non dico povero perché da abile ed apprezzato autore di fantascienza con un curriculum invidiabile, il povero George viene declassato a sceneggiatore televisivo e cinematografico, che ha fatto il colpaccio con Game of Thrones perché ne hanno ricavato una serie TV (sennò, ovvio, chi se la filava la bancalata di romanzi?)
Dico povero perché il pezzo è sulla paginjha dedicata alla narrativa per ragazzi – e dopo averci fornito una panoramica confusa della trama*, il recensore ribadisce che la storia è proprio wow, e non mancherà di acchiappare il pubblico giovanile.
C’è anche una bella immagine con una tipa in brache attillatissime che affronta un dragone.
Rosso.

Ed in effetti, di cosa dovrei sorprendermi?
È fantasy.
Quindi non può che essere narrativa per ragazzi.
Oh, ci sono anche un sacco di ammazzamenti efferati e un sacco di sesso, certo, elementi rtiguardo ai quali credo il MOIGE non mancherà di protestare**, ma tutto questo – incluso il fatto che il ciclo di Martin non sia mai stato destinato ad un pubblico pre-adolescenziale*** – è irrilevante.
Ci sono i draghi.
È fantasy.
È per ragazzi.

Ed io vedo un parallelo col discorso fatto sui cartoni animati, e temo un futuro in cui gli scaffali nazionali saranno zeppi di storie edulcorate farcite di draghi ed elfi e indomite guerriere però molto trendy, ed un genere al quale sono profondamente legato, e che può essere ampiamente soddisfacente, e sovversivo, tramutato in insipida narrativa per ragazzi, col suoi bravo messaggio morale, i suoi bravi esempi di modelli comportamentali giusti e sbagliati…
Un po’ come i vecchi episodi di Masters of the Universe, alla fine dei quali He Man – ancora lontano dal diventare un’icona gay – faceva un bel pistolotto ai giovani spettatori per martellare nei loro cervellini la morale della storia, qualora fosse loro sfuggita.
Il futuro del fantasy come He-man, insomma, ma sen’zanima.

E già tremo all’idea dello scambio di battute…

Lei: “Ah, e cosa scrivi?”
Io: “Storie fantasy… sword & sorcery, per la precisione…”
Lei: “Ah, narrativa per ragazzi! Che bello… anche a me i bambini piacciono tanto…”

Non so se davvero tutta l’arte ambisca alla condizione di muzak.
Ma pare che, per lo meno qui ed ora, per una certa fetta della letteratura d’immaginazione, il desiderio si stia avverando.

——————————————

* ma non potrebbe essere diverso, provatevi voi, a riassumere in due pagine The Game of Thrones.

** O forse no.
Leggono, quelli del MOIGE?
O guardano solo la televisione?
Beh, se non ci pensano loro, ci penserà qualche gruppo di pressione cattolico…

*** in senso anagrafico, se non psicologico.

Autore: Davide Mana

Paleontologist. By day, researcher, teacher and ecological statistics guru. By night, pulp fantasy author-publisher, translator and blogger. In the spare time, Orientalist Anonymous, guerilla cook.

21 thoughts on “La condizione di Muzak

  1. Però nonostante i romanzi di Game of Thrones siano tradotti in maniera discutibile non sono stati censurati o riadattati come si faceva con i cartoni animati. La storia è lì, l’inestricabile araldica è lì. Non c’è speranza che il pubblico di ragazzi e pre-adolescenti, ma soprattutto i genitori che gli hanno comprato i libri e magari un’occhiata la danno anche loro, si accorgano che qui siamo ad uno step successivo? Che forse non tutto il fantasy è uguale?

  2. È possibilissimo.
    Ma quando i critici e – molto probabilmente – gli editori lavorano su questi principi di appiattimento generale, il rischio è che la non-differenziazione sia inclusa nel pacchetto.
    Insomma, il mio problema non è che un adolescente si legga Martin.
    È che si veda offrire indifferentemente Harry Potter, Terry Pratchett o George Martin.
    E che qualche anima candida cominci a strepitare per le sconcezze che mettiamo nei “libri per ragazzi”.
    Ed è la mia preoccupazione che per la cultura dominante (che parola grossa), per la percezione generale, siano comunque solo “cose da ragazzi”.
    Come i fumetti.
    Come i cartoni animati.
    Come la fantascienza.

  3. Non mi ricordavo le morali in He-man, però ora che ci penso c’era ogni tanto (sempre?) un discorsetto in chiusura.
    Fra l’altro, c’è anche chi identifica nel fantasy la stessa funzione pedagogica delle fiabe, o dei vangeli, e quindi letteratura per ragazzi tout court.

  4. La cosa strana è che ormai la fantascienza è diffusa in Italia da 60 anni, i fumetti pure (tra l’altro con una tradizione autoctona abbastanza forte) e i cartoni animati 30 anni. Capisco la percezione iniziale come roba per bambini, ma ormai chi è appassionato dovrebbe essere diventato adulto e aver passato alle nuove generazioni una concezione “nuova”.

    Mi chiedo dove sia il problema? Che gli appassionati siano una sparuta minoranza senza accessi a quella che tu Davide chiami “cultura dominante”?

    Insomma, possibile che le 170.000 persone che fa Lucca sia tutta gente che pensi che sia roba da bambini?

    • 170.000 persone su una popolazione di 50 milioni sono nulla.
      Il problema in Italia, per i fumetti, come per il fantastico, è l’assenza di una critica seria e autorevole, e forse di una editoria seria ed autorevole (è brutto guardare all’estero, ma la Francia potrebbe insegnarci un paio di cosette).
      Periodicamente viene sdoganato un autore – Dick, Gibson, anche Lovecraft – ma ci si affretta a dire che “trascendono il genere” e fanno “autentica letteratura”.
      È il genere – o nel caso del fumetto il medium – che non riesce ad affrancarsi dalla percezione generale di prodotto di serie B.
      Il “giallo”, che era squalificato quanto la fantascienza, si è rifatto una verginità ridefinendosi “noir” – al punto che ormai anche Sherlock Holmes te lo spacciano per “noir”.
      ma il noir aveva una dignità letteraria ed un corpus critica solidissimo, e così il bistrattato poliziesco, che era una cosa che si leggeva in treno o sulla spiaggia, è diventato Letteratura.
      Il fantastico questo rebranding non è ancora riuscito a farlo.

  5. Non ho letto l’articolo di Tuttolibri, però mi pare che nè l’editore dei romanzi nè l’emittente della miniserie di Martin abbiano mai provato a inserire Game of Thrones nella letteratura o nell’intrattenimento per ragazzi. O sbaglio? Insomma, credo che in questo caso la forzatura sia tutta e solo di Tuttolibri.
    Anzi forse l’enorme successo di Game of Thrones potrebbe essere la via per quel “rebranding” del fantasy che Davide auspica.

    • Infatti il mio problema non è con Game of Thrones.
      Il problema è che avendo da recensire un’opera fantasy, la si sia messa a prescindere nella letteratura per ragazzi.
      È un problema di percezione popolare, lo ripeto.
      Se questa pratica dovesse diffondersi…

  6. Ricordo il cartone che in Italia si intitolava “Un incantesimo dischiuso tra i petali del tempo per Rina”. Ho poi scoperto che il suo titolo originale era “The Slayers”. Orca loca che cambamento! 🙂
    Addirittura le ultime tre puntate della prima serie (o era la seconda?) furono censurate al punto che da tre puntate in Italia ne fecero una sola! E infatti non ci si capiva nulla!
    Questo è rispetto per gli spettatori…

  7. Pensieri sparsi e forse un poco incoerenti:
    In Italia la critica mainstream quando (quando) parla dei prodotti di genere lo fa usando un linguaggio comprensibile solo da un pubblico mainstream e usando solo questo punto di vista.
    La critica specializzata quando parla dei prodotti di genere lo fa per lo più con un linguaggio comprensibile solo dalla “nicchia”.
    I due mondi non dialogano e si sfiorano soltanto.
    Ci manca la cultura della cultura dell’intrattenimento e che l’intrattenimento è cultura.
    Siamo cresciuti e sopravvissuti al “sono cose per ragazzi” e dagli anni 60 e 70 a oggi il tormentone miope è rimasto. I fan sono cresciuti e raffinati (quando non si sono persi per strada) ma adesso hanno due fronti cui badare. Quello mainstream del popolo del calcio e dei cellulari fighi e quello dei ragazzini dell’ultima ora, spot su due gambe di canale 5, che spesso fanno più male che bene e non si rendono conto di portare acqua al mulino dei primi.

  8. Molto interessante questo post, ancora più interessante considerando che, proprio in questi giorni, stavo maturando una mia personalissima tesi non sul fantasy, ma sugli anime, e più in generale sul mondo anime e manga. Premetto che appartengo alla generazione degli anni ’80, pertanto sono cresciuto anch’io con dosi giornaliere di animazione giapponese a base di robottoni, capitani coraggiosi come Futuro e Harlock, l’Uomo Tigre, i vari shōjo alla Lamù o Maison Ikkoku, per non parlare del mio grande amore, ovvero Ken il guerriero (buona parte della mia infanzia l’ho passata imitando il famoso tatatatatatatata ed esaltandomi leggendo i titoli originali tradotti dal giapponese di tutte le 154 puntate dell’anime, fantastici!). Riscoprii gli anime grazie all’Anime Night di MTV, innamorandomi di capolavori come Cowboy Bebop, mentre la mia ultima incursione nel mondo anime l’ho compiuta sorbendomi Death Note, qualche puntata di Gundam 0083 che ho riesumato con un mio amico, ed un piccolo assaggio di Gundam Unicorn. Insomma, credo di poter vantare una discreta esperienza in fatto di anime, come del resto una consistente fetta dei miei coetanei e non. Dunque, la mia personale opinione è che non sia sufficiente che un’opera, un anime nella fattispecie, tratti tematiche adulte per essere considerato adulto tout court. Voglio dire, molti anime affrontano indubbiamente argomenti di un certo spessore, almeno sulla carta, ma la modalità con cui quest’ultimi vengono affrontati, sviluppati e sviscerati, spesso è posticcia, infantile, o quantomeno ruffiana. Faccio due esempi iconici: Evangelion e Death Note, che dovrebbero essere indirizzati ad un pubblico adulto. Il primo è un condensato di psicoamenità, nel quale ogni personaggio presenta una turba mentale dovuta ad un qualche evento passato della propria vita, ma la cosa è talmente da manuale da infastidire quasi, per non parlare poi del cocktail di riferimenti biblici, cabalistici e fantascientifici, il cui unico scopo è sostanzialmente quello di arruffianarsi il pubblico adolescente facendolo sentire figo. In realtà, la cosa che mi ha sempre lasciato perplesso di Evangelion è l’inconsistenza del tutto, a prescindere dai due famosi episodi finali. La seconda opera è perfetta a livello di incastri e sequenzialità della trama, ma dietro l’apparenza di opera rivoluzionaria che osa, nasconde la furbizia dell’autore, anche qui tesa ad arruffianarsi un pubblico adolescente tutto preso a darsi un tiro. Sorvoliamo poi sullo spessore del protagonista, che non va oltre la caratterizzazione di un bimbominkia di successo, seppur fatta con indubbia maestria. Insomma, penso che una consistente parte di anime e manga sia “adulta” solo nei propositi, ma fallisca nella concretizzazione di quest’ultimi.

  9. 92 minuti di applausi! Anche io ho notato la stessa identica situazione, che il fantasy sia visto come un po’ infantile, quando invece non è. Certo, esiste anche il fantasy per bambini, ma anche li ci sono cose interessanti (lo Hobbit di Tolkien, per esempio, scritto dal professore per bambini ma in realtà apprezzabile anche per un adulto), e comunque ci sono libri, come la citata saga di ASOIAF, che non sono certo per ragazzi, bensì solo per adulti. Più in generale, tutto il fantastico è visto come per ragazzi (anche la fantascienza che scrivo io), a meno che non sia cervellotico, come se il fatto di non aver significati profondissimi dietro non renda una storia leggibile (ho trovato invece spesso il contrario, che libri con bella trama con poca morale fossero validissimi e libri con principi fantastici fossero illeggibili).

  10. @Giuseppe
    In linea di massima, e facendo una generalizzazione un po’ brutale, puoi suddividere la produzione nipponica per fasce scolastiche…
    . prescolare
    . scuole elementari
    . scuole medie
    . scuole superiori
    . università
    . oltre

    Per fare un caso classico, i produttori della originaria serie di Gundam, rimasero un po’ perplessi quando il loro cartone, mirato a un pubblico di liceali, risultò molto più gradito agli universitari.
    Death Note e Evangelion sono destinati ai liceali – e credo abbiano avuto un discreto successo in quella fascia.
    Se la si possa considerare una fascia “matura” o meno, non saprei dirtelo – ho detestato entrambe le serie, quindi forse sono comunque “fuori fascia”.
    Io credo che comunque il livello di maturità sia sempre commisurato al target.
    Una cosa come Stand Alone Complex ha già una fascia un po’ più altina.
    Lo stesso posso dire per Kousetsu Hiaku Monogatari, o per Planetes.
    Così come – in linea di massima e generalizzando ancora – i prodotti cinematografici, a cominciare dai vecchi Animerama di Tezuka, giù giù fino a cose come Tokyo Godfathers.
    Proporre ad un pubblico di adolescenti una cosa come Metropolis di Tezuka è follia.

    Nei bei tempi andati (hahaha) esistevano prodotti che erano “multifascia” – una cosa come il vecchio Ninja Bugeicho di Shirato (penso soprattutto al fumetto), era apprezzabile tanto dai teenagers quanto da lettori più adulti (che magari coglievano certe sfumature politiche che ai ragazzi non interessavano).
    Io credo insomma che i risultati ci siano, pur con ampi margini di discrezionalità.

  11. La quantità di prodotti di animazione (film, serie TV ecc) prodotti in occidente ogni anno è molto vasta. Quella Giapponese prodotta ogni anno e sconfinata. Ci sono prodotti per tutti. Grandicelli e piccini, qualche raro capolavoro, molte cose buone e oneste tanta spazzatura. Come dovunque d’altronde.
    Il punto da tenere a mente sempre quando si parla di anime giapponese (e di manga) è che sono prodotti pensati per un pubblico giapponese, con la loto mentalità e la loro cultura. Se poi qualche gaijin li vuole fruire lo stesso si assume le sue responsabilità. Non sono pensati per noi, problema nostro se non li capiamo. Ai giapponesi non glie ne può importar di meno. La stessa concezione per i giapponesi di cosa è un film (ecc ecc) di animazione è totalmente diversa dalla nostra. Per noi occidentali tradizionalmente l’animazione non è cinema. I personaggi disegnati non sono attori ecc. Per come i giapponesi concepiscono la loro animazione essa, nei singoli prodotti, poteva benissimo essere un film dal vero. I personaggi disegnati “recitano” e vengono trattati come se lo facessero.

  12. Ma infatti il mio commento rimane comunque il frutto della mia personale sperienza. Non escludo ad esempio che abbia seguito, in una certa fase della mia vita, un anime che magari era stato pensato per tutt’altra fascia di età. Evidentemente, i sistemi di riferimento non sono importanti solo in fisica…

  13. io a quelli del moige semplicemente togliere la patria potestà di ufficio.
    Arrivano due tipi con completo nero, occhiali scuri e valigetta, suonano alla porta e dicono:
    “buongiorno, ci risulta che lei appartiene al moige. Ci dispiace, i bambini sono una risorsa troppo importante per essere sprecata. Da questo momento i suoi figli appartengono allo stato. Gli verrà data un’educazione libera e senza pregiudizi. Cordiali saluti.”

  14. Ma ti dirò, il discorso “È X e quindi è per ragazzi; e se non sembra per ragazzi, allora lo potiamo per adattarlo ai ragazzi” non è limitato al fantasy o agli anime. Vedi Dickens. Una signora che segue i miei mercoledì dickensiani mi ha mostrato l’edizione de Le Due Città che le hanno rifilato in biblioteca. È un’edizione per fanciulli dei primi Anni Ottanta, praticamente una rinarrazione ridotta, a occhio, attorno alle quarantamila parole – facilitata, tagliuzzata, purgata e sanitizzata oltre ogni dire. Come qualcuno abbia potuto giudicare Le Due Città un libro per bambini, sorpassa la mia comprensione. Perché, giudicandolo troppo difficile (e violento?) abbiano pensato di ammannirglielo in questa forma blanda e insipida, di nuovo sorpassa la mia comprensione. Quanti, avendo letto l’ameno volumetto illustrato credano di avere letto Le Due Città, è oggetto di qualche angoscia.
    Ma d’altra parte… Dickens? Quello di Oliver Twist? Ah, un classico per ragazzi. Mettiamolo nella narrativa per l’infanzia. Inadatto? Complicato? Truce? E dov’è il problema? Glielo si omogeneizza e predigerisce un po’ e tutto è risolto.

    • Ah, ma quello è il problema di tantissimi classici ottocenteschi o della prima metà del novecento – da Verne a Tarzan passando per Holmes.
      Perché leggere i classici è bello e sano, e fortifica i giovani, ma poi a qualcuno viene il dubbio che magari tutte quelle donne nude in Burroughs, tutti quegli ammazzamenti in Conan Doyle… l’antisemitismo in Ivanhoe…
      E allora Zac!
      Ed io ho qui da qualche parte Shakespeare narrato per i fanciulli dai Charles e Mary Lamb.

      Il problema però è proprio quello che diventi opinione generale che un certo autore sia per qualche motivo destinato a una sola categoria…
      E la categoria “per ragazzi”, oltretutto, porta con se tutti i pregiudizi di coloro che non la leggono, non la scrivono, ma magari la stampano o la vendono…

  15. Ma tu Davide, di anime non ne segui più?

    • Non più con frequenza – non sopporto gli otaku, ed in generale c’è poco che mi interessi.
      Diciamo non più di una serie l’anno, e comunque cose brevi.
      Le serie-fiume che tirano di questi tempi mi stancano.

  16. al di là del problema generale (che c’è e fai benissimo a evidenziarlo), parecchie volte è anche una questione di crassa ignoranza
    nel caso in questione, chi scrive su Tuttolibri non ha mai letto Martin, è ovvio, non dico tutto il primo libro, sarebbero bastati 5 capitoli per trovare un incesto e allora hai voglia a parlarmi del libro per ragazzi
    allora uno si chiede: ma perché se uno scrive articoli per Tuttolibri i libri non se li legge ma si sente in diritto di parlarne tranquillamente? (e anche qui quanto hai già scritto sulla meritocrazia in Italia)
    velo pietoso su
    tipa in brache attillatissime che affronta un dragone.
    Rosso.

    che non c’entra niente con la trama ma qui c’è anche la colpa della Mondadori che è la prima a mettere copertine a mentula canis (e loro sono la casa editrice!)

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