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Vecchio Mondo Vigliacco

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Sì, era qualcosa di simile, in termini di estetica.

Rivanghiamo il passato.
Nel 1990 scrissi un romanzo di fantascienza.
Fu il mio primo lavoro lungo scritto al computer, dopo anni di macchina per scrivere.

Si intitolava Vecchio Mondo Vigliacco*, ed era sostanzialmente un poliziesco – una indagine su un omicidio in una società che oggi derfiniremmo postumana (ma era il 1990, ricordate) che ha trasceso il concetto di morte.
L’idea era di spedirlo al premio Urania – che era stato bandito per la prima volta nell’89.

Aveva parecchi antenati illustri, il mio Vecchio Mondo Vigliacco – tra i quali certamente Dancers at the End of Time di Michael Moorcock (ma ci sono anche suggestioni prese da Jerry Cornelius), Cynnabar di Edward Bryant e, inopinatamente, Zardoz, di John Boorman.
Sì, il film con Sean Connery col pannolone.

E c’è il Principio dell’Abbondanza di Colin Greenland, nelle descrizioni, nell’ambientazione.
Lo avevo appena scopertto, nel 1990, ed era certamente una delle cose che volevo mettere alla prova con quella storia.

Vecchio Mondo Vigliacco fu il romanzo che mise fine alla mia attività di narratore per circa cinque anni. Continua a leggere


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Alessandro Forlani – discorso sulla perfezione

Ieri sera, complici una trasferta a Torino e le sempre più imprevedibili tabelle di marcia delle ferrovie nazionali, sono riuscito non solo a procurarmi, ma a leggere, l’Urania numero 1588, I Senza-Tempo, di Alessandro Forlani, vincitore tanto del Premio Urania quanto del Premio Kipple.
Ed un romanzo piuttosto chiacchierato, in rete.

Ma le chiacchiere della rete non mi interessano, come non mi interessano granché i premi.
Mi interessa invece parlare di questa storia, senza avere la pretesa di possedere la verità, ma cercando di spiegare prima di tutto a me stesso ciò che questa lettura porta con sé.

Non scenderò nei dettagli della trama.
Io credo che il punto nodale della storia sia facilmente individuabile in una singola frase, a pagina 61:

hai mai l’impressione che il marcio, il male per cui la vita non è granché e blabla, che la società fa schifo, non c’è speranza e blabla, che insomma non stia nei grandi eventi nazionali, che di quelli se sei sincero non t’importa granché, ma nel sordido, orrendo e grottesco sotto casa?

Perfetto.

Ora, secondo i dettami dello zen*, la perfezione è sterile – sono le imperfezioni e gli errori che conferiscono individualità e anima ad un artefatto.
E quando un artefatto possiede un’anima ed una individualità attraverso errori ed imperfezioni consapevolmente inclusi nella sua creazione, allora è chiaro che non si tratta più di errori e imperfezioni, ma di scelte autorali.
Di arte, se volete.

Nello scrivere I Senza-Tempo, Alessandro Forlani ha fondato la sua opera su una serie di “errori” che palesemente errori non sono, e che le conferiscono un’anima ed una individualità.
Vediamo…

. il primo errore che non è un errore è il linguaggio di Forlani, che è preciso, costellato di termini desueti, che tuttavia, oltre ad essere funzionali a certi personaggi, agiscono da punto nodale del testo, attirando l’attenzione del lettore sui passaggi essenziali, sottolineando il ritmo.
Non solo la sintassi come stile, quindi, ma anche il lessico, come stile.

. la seconda imperfezione che non è una imperfezione risiede nei personaggi, tutti danneggiati e fragili, imperfetti, spesso odiosi o semplicemente antipatici, ma che per questo assumono una dimensione ulteriore nel momento in cui le vicende li obbligano a specifiche scelte, a specifiche prese di posizione.

. il terzo gravissimo errore che errore non è consiste nella metafora a grana grossa, facilmente decifrabile e che rende il romanzo grottesco, ferocemente satirico; il rischio di usare una mano troppo pesante, di fare una satira troppo facile, viene disinnescato proprio dai due “errori” precedenti e il romanzo avanza crudele senza stridere sulla nostra incredulità anche quando ci offre il massimo dell’implausibilità e dello sberleffo feroce.

Insomma, ci sono un sacco di motivi per cui questo romanzo non dovrebbe piacermi, e invece…
No, dire “mi piace” sarebbe inesatto.
I Senza-Tempo non deve piacere.
Deve casomai fare infuriare, andando a toccare con un bisturi arroventato dei nervi scoperti da due decenni almeno.
Ed in questo senso, funziona perfettamente.

Ed ha perfettamente senso che abbia vinto i due premi che ha vinto, essendo fantascienza ed essendo italiano.
Fantascienza non nel senso di astronavi e alieni invasori, ma di estensione e approfondimento di problemi reali, proiettandoli nel futuro attraverso la lente deformante del grottesco e dell’immaginario.
E italiano non nel senso di pizza, mandolino e forza azzurri, core de mamma e nostalgie diverse, ma nel senso che solo qui, solo ora, sarebbe stato possibile scrivere questa storia.
Ed Alessandro Forlani l’ha fatto benissimo.

I Senza-Tempo è un romanzo crudelmente divertente, intelligentemente politico e scritto benissimo.
Come sempre in questo caso, ne vogliamo di più, ne vogliamo ancora.

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* no, no, fidatevi, ha senso…