strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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O affondi, o ti metti a nuotare

Un contatto oltremanica mi segnala una cantante che non conoscevo, ed una iniziativa interessante.

Il singolo Sink or Swim, della cantante inglese Purdy – del quale avete un campione con accluso video qui sopra, e che è una cosa molto “alla Bond” – è stato scritto e inciso per promuovere le iniziative della Just One Ocean, una organizzazione no profit che si occupa di protezione dell’oceano.

Qualora foste interessati a scaricare la canzone completa, e magari fare una donazione (assolutamente facoltativa) a Just One Ocean, potete farlo QUI.


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Le avventure di Logos, Pathos ed Ethos

Che no, non sono i tre moschettieri.
Ma andiamo per ordine…

Da un paio di giorni, le temperature a Londra hanno toccato i 40 gradi centigradi. Non era mai accaduto prima, neanche nella leggendaria estate del ’76.
Non così, non in maniera tanto estesa.
Perché naturalmente non sono solo le Isole Britanniche, è tutta l’Europa, è tutto l’emisfero settentrionale.

Ma io ieri ho passato mezz’ora a discutere con un tizio in UK che continuava a ripetermi che “è tutta propaganda”.
È solo l’estate, mi diceva.
È sempre successo.
È già successo nel ’76.
È successo nel medioevo.
È tutta propaganda.

Ci sono dei fatti ineluttabili, dei numeri, delle misure, la percezione personale uscendo per strada, ma qualcosa ha il sopravvento – la realtà non è ciò che sperimento, la realtà è ciò che dico.
Mezz’ora, e poi quando mi sono stancato di sentirmi dare del “libtard”, ho staccato.
La regola per sopravvivere è che non possiamo permettere a chi stiamo cercando di salvare mentre affoga, di tirarci di sotto.

Ora, ieri parlavo della corriera fra Kabul e Kandahar.
Nelle notti passate ho tenuto a bada la calura rileggendomi The Places In Between, dell’inglese Rory Stewart. Un tizio che all’inizio del nuovo millennio si fece ventuno mesi sulla strada, attraversando a piedi l’Asia centrale, dal confine turco al Nepal. Inclusa la tratta Kabul-Kandahar, e senza la corriera.
Un tizio che fu governatore militare dell’Iraq, e che venne buttato fuori dal partito Conservatore inglese – insieme ad altre ventuno persone – per aver osato andare contropelo a Boris Johnson sulla faccenda della Brexit.

Stewart è un conservatore onesto (strana bestia, purtroppo in via d’estinzione), un avventuriero (idem) ed un eccellente comunicatore. Scrive molto bene, è un piacere starlo ad ascoltare.
Siamo su posizioni molto diverse su un sacco di cose, ma siamo anche su posizioni terribilmente simili su altre – specie in termini di politiche ambientali (Stewart è stato Ministro per l’Ambiente per l’amministrazione Cameron).

Buttato fuori dai Tories il giorno in cui gli veniva assegnato il premio di Politico dell’Anno, Stewart se ne è andato – a Yale, dove ha una cattedra di studi internazionali, e su internet, dove gestisce un interessante (e divertente) podcast intitolato The Rest is Politics, in combutta con un altro scozzese bislacco, Alastair Campbell, già responsabile della comunicazione del governo Blair, e poi buttato fuori dal partito laburista perché il New Labour era un po’ troppo New e un po’ troppo poco Labour per i suoi gusti.
Due persone intelligenti e preparate che parlano di politica internazionale, libri e varia umanità da posizioni contrapposte.
Molto interessante. Gli episodi con le domande degli ascoltatori sono fantastici.

Ma intanto, Stewart ha anche una serie radiofonica sulla BBC, nella quale parla di retorica (avendo a suo temnpo tenuto un corso universitario sull’argomento) e di come progressivamente dei tre pilasti aristotrelici della retorica (Logos, Pathos e Ethos, i moschettieri del titolo), due siano diventati marginali – ciò che importa è il pathos, appellarsi all’emotività dell’ascoltatore, mentre i fatti (Logos) e la morale (Ethos) sono trattabili.
I politici mentono.
E mentono perché non siamo più di fronte a un dibattito fra due posizioni contrapposte che devono trovare una sintesi per raggiungere un accordo e avviare una serie di procedure politiche per “fare qualcosa”. Siamo di fronte a un dibattito fra due interlocutori il cui scopo principale è ottenere il sostegno del pubblico.

È cambiata la piattaforma, è cambiato lo stile comunicativo.

È un po’ ciò di cui si parlava l’altro giorno, quando si diceva che l’importante è che il nostro libro abbia un pezzetto, una frase, un paragrafo attorno al quale qualcuno possa farci un video su TikTok. Tutto il resto è superfluo. L’importante è quella microscopica scintilla, quell’esca.
Le altre trecento pagine possono anche solo essere bla bla per giustificare il prezzo di copertina.
Ciò che detta le regole è un format su una piattaforma social.

È una posizione conservatrice, quella di Stewart, che ci dice che in fondo si stava meglio quando i politici se la vedevano in parlamento, ed erano persone oneste in cerca di un accordo, sulla base di un confronto tanto personale quanto etico e tecnico, e non personaggi televisivi che devono piacere al pubblico e chissenefrega del resto.
Le cose sono certamente più complicate, ma l’ometto che via web cerca di convincermi che non c’è una crisi climatica in atto mentre a casa sua ci sono quaranta gradi, ed esauriti gli argomenti si mette a strillare “Libtard!” è una vittima di una comunicazione politice ed istituzionale che ha mirato a creare delle tribù, non a dibattere e risolvere dei problemi.

Curiosamente, mentre io sto discutendo – inutilmente – con l’ometto che strilla “Propaganda!” e che dice che è tutta colpa di Greta Thumberg, mi passa davanti un post di un politico locale … con una bella vallata alpina verde e lussureggiante, e un arcobaleno in technicolor, e un pistolotto retorico (aha!) e melenso su come “tutto andrà bene”.
Non sappiamo come, non sappiamo perché.
È una questione di fede, che ci viene chiesto di condividere. “Io ci credo!”
Ma è anche l’altra faccia della medaglia del delirio negazionista … è, di fatto, una diversa forma di negazionismo.
“Non credete agli scienziati, è tutto molto meglio di come sembra! Io ci credo!”
E invece no.
Quella vallata nella cartolina è bruciata dal sole, i ghiacciai sono scomparsi e gli animali stanno morendo di caldo, e nulla tornerà come prima.
Non più, quel treno è passato e l’abbiamo perso.
Ma l’importante è un post sui social che si appelli all’emotività, con le parole chiave e gli hashtag giusti.
Intanto, Logos e Ethos sono ancora missing in action.

E sì, ci ho messo un link commerciale al libro di Stewart, che è davvero bello – mentre il podcast potete cercarlo sulla piattaforma che preferite. Come ben sapete, l’acquisto del libro attraverso il link comporta per me una piccola percentuale, che mi viene versata da Jeff Bezos in persona, direttamente dalla sua astronave.


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Un altro arcobaleno

Dove andremo a finire con questa storia del gender, eh?
È quello che mi ha chiesto un contatto (straordinariamente sporadico) su facebook, pochi minuti dopo che ho aggiornato la copertina del mio profilo, stamani.
Perché sì, uguali diritti per tutti e tutto quanto, ma non si potrebbe fare a meno di portare avanti questa faccenda in maniera così visibile?

Che ovviamente è il punto dell’intera faccenda.
Ma in effetti diventa anche meglio di così, perché “la bandiera arcobaleno” che ho messo sul mio profilo ed ha risvegliato il “sì, ma allora…” del mio “contatto sporadico” … beh, non è una bandiera, e non è un arcobaleno.
È questo…

Non c’è il verde, vedete?
Arcobaleno = rays of young girls blessed in virginity = red orange yellow green blue indigo violet.
Rosso, Arancio, Giallo, Verde, Blu, Indaco e Violetto.
E lo sappiamo che nessuno ha proprio chiara l’idea di cosa sia l’indaco, e che Newton ce lo mise perché sette colori gli suonava “più mistico” e quindi meglio di sei.

E potremmo discutere per qualche minuto sul fatto che ci siano questi “contatti sporadici”, appostati al largo dei nostri profili Facebook come U-boot al largo di Gibilterra, in attesa di veder passare la nostra nave per silurarla, ma quello lo lasciamo magari per un’altra volta.

Come lasciamo per un’altra volta il fatto che, con la piega che sta prendendo il nostro paese, forse “esporsi”, come dicono questi “contatti sporadici”, potrebbe avere delle conseguenze spiacevoli, in futuro.
Che sia sui diritti di chi ha inclinazioni diverse dalle nostre, o anche su problemi diversi.
Ma anche di questo parleremo un’altra volta.

Ciò che è interessante invece è che questo qui sopra non è un arcobaleno, e non ha nulla a che vedere col Pride Month. Aumentiamo il livello dei dati, e vediamo se così diventa più chiaro.

Già.
L’andamento delle temperature anno per anno, nel nostro paese, negli ultimi 120 anni.

E trovo sommamente curioso che ci siano persone che quotidianamente, proprio su Facebook, postano status su quanto odiano l’estate, e nessuno di costoro pare aver ancora notato che le estati non sono più quelle di una volta.
E gli inverni nemmeno.

Non è per quello che serve Facebook, si dirà.
Facebook serve per attirare l’attenzione e sembrare interessanti.
Parlare della crisi climatica è noioso.

Il grafico qui sopra arriva da un sito dell’Università di Reading, chiamato #ShowYourStripes.
È disponibile anche il grafico dell’andamento globale.
Non è bello neanche quello.

Ne abbiamo parlato in passato.
La nostra civiltà si sta suicidando, e si sta suicidando per continuare a garantire i profitti di una ristretta cerchia di persone. E non parrebbe un problema così complicato – perché si riduce al classico “o la borsa o la vita”.

Ma a quanto pare stiamo scegliendo la borsa.
Sempre e comunque.
Perché la vita, ci illudiamo, e sempre quella degli altri.

Ma forse non è vero.
Forse quelle strisce colorate sono qualcosa che si sono inventati gli scienziati malvagi per ingannarci!
O forse è vero ma non è colpa nostra, è un andamento naturale, e tutto tornerà normale dopo che saremo morti male.
O magari è vero, ma non ci possiamo fare nulla, e sprecheremmo solo dei soldi senza alcun risultato.

Che sono alibi mechini, che si riducono alla fine al semplice “perché dovrei sbattermi?”

Ed è interessante, perché è come la storia di una persona che prova un dolore sordo e continuo al fianco, per giorni, settimane, mesi.
E va dal medico, ed il medico gli fa una serie di visite ed esami, e gli dice, “mi dispiace, sei messo male, devi cambiare stile di vita, dare un taglio a sigarette, alcoolici, carni rosse e bevande gassate, e magari metterti a fare delle lunghe passeggiate.”
Ed il tipo si dice “cosa ne sa il medico? Perché dovrei fidarmi? E se poi non cambia nulla?”
E se ne torna a casa, domandandosi a cosa sia dovuto quel dolore al fianco.
Magari dando un’occhiata su Facebook troverà una risposta che gli piaccia.

Avendo osservato la campagna di disinformazione che dai primissimi anni ’80 venne messa in campo per delegittimare le posizioni dei ricercatori sulla crisi climatica, mi domando se la nostra attuale relazione conflittuale coi fatti, e con le opinioni dei tecnici, non derivi da lì.
I terrapiattisti, gli antivaccinisti, i complottari assortiti, i respiriani, i difensori della civiltà dagli orrori del gender, i “contatti sporadici”… tutti figli di una martellante campagna stampa voluta da un cartello di aziende per non dover modificare il proprio modello imprenditoriale.

E volete ridere?
Poi hanno cambiato il loro modello imprenditoriale.


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Progetti per il futuro: rimettere in piedi l’orto

Stavo riordinando uno degli scaffali dei libri, qui in casa, stamani, e mi sono trovato a sfogliare Il Tuo Orto per Negati, che sarebbe poi la guida “for Dummies” su come impiantare e condurre un piccolo orto. Ne ho parlato con mio fratello ed abbiamo deciso che con l’autunno cominceremo le operazioni per impiantare un orto come si deve.

Avevamo un orticello da diporto, che avevo messo in piedi appena trasferito qui in Astigianistan, soprattutto per trovare qualcosa da fare quando era stato evidente che questo territorio era moribondo e non offriva assolutamente nulla. Speravo anche che occuparsi di un orticello potesse aiutare mio padre a sfuggire al campo gravitazionale della depressione. Sbagliavo.
Piantai prevalentemente erbe aromatiche e poi cipolle, aglio e insalata. Per un po’ riuscii a portarlo avanti, ma poi con i problemi di salute di mio padre divenne troppo impegnativo – c’era altro da fare, e più urgente.

Ora però possiamo metterci al lavoro e provare a fare qualcosa di serio.
Abbiamo un fazzoletto di giardino, qualcosa come sedici metri quadri di prato, con un vecchio ciliegio, qui davanti a casa. Ora cercheremo di metterlo a frutto.

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Alla (micro)ventura

Ho sempre invidiato molto Peter Fleming, non solo perché era uno scrittore decisamente migliore di suo fratello Ian, con uno straordinario controllo della propria prosa, capace di coniugare classe, ironia e una chiarezza esemplare, non solo perché attraversò tre quarti dell’Asia in maniera avventurosissima, spesso in compagnia di Ella Maillart, ma perché aveva sui documenti, alla voce Professione, la dicitura Avventuriero.

Ho qui di fianco al mouse il minuscolo ma indispensabile Piccolo Manuale del Perfetto Avventuriero, di Pier Mac Orlan, che qui da noi viene pubblicato da Adelphi – ma credo che neanche un volume Adelphi riesca a sdoganare sui nostri lidi la dignità dell’avventuriero.
Nazione di cialtroni, l’Italia resta un paese perbenista, nel quale gli avventurieri – e dio ci scampi, le avventuriere – vengono visti come qualcosa di aberrante, di impresentabile, con una ben definita aura di malaffare.

I genitori di un giovane futuro avventuriero rinuncerebbero volentieri a un po’ della loro parte di Paradiso pur di vederlo sparire senza esserne ritenuti responsabili.

Pierre Mac Orlan, Piccolo Manuale (ecc..), 1920

Diversa cosa sono le avventure, naturalmente – quelle ce le offrono regolarmente agenzie turistiche e travel & lifestyle blog.
Basta potersele permettere.

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215

Un post rapido per ringraziare tutti coloro che hanno supportato e stanno supportando la mia raccolta fondi su Facebook. È nata come un esperimento, “vediamo cosa succede” e in unpaio di giorni ha raggiunto e superato il target che avevo fissato. Siamo arrivati a 215 euro “ufficiali” (conosco almeno una persona che ha fatto una donazione senza passare per FB). E restano due settimane (perché il fundraiser sta esattamente a cavallo del mio compleanno).

Grazie davvero di cuore – mi piace soprattutto perché anche questa sarebbe una di quelle cose che “in Italia non funzionano”.

Aggiungo una nota volante – mi è stato segnalato che The Ocean Cleanup è una organizzazione criticata a livello accademico e “un po’ una bufala”.
Io avevo fatto qualche indagine prima di partire – c’erano in lista almeno altre due organizzazioni che mi parevano meritevoli e vicine ai miei interessi – e ho approfondito la cosa successivamente alla segnalazione.
Le obiezioni che ho trovato alla tecnologia di The Ocean Cleanup non mi sono parse esageratamente convincenti o definitive (è un po’ la storia della bici con le gomme a terra e i freni rotti), per cui conservola speranza che i soldi che stiamo raccogliando non vadano sperperati in donne e cavalli.

Grazie ancora a tutti.


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Settimana del Pianeta Terra: Solastalgia Portami Via

Oggi comincia la Settimana del Pianeta Terra, e noi parliamo di solastalgia – era in programma come podcast per Cartoline dalla Periferia, ma poiché quel progetto è al momento in sospeso, e poiché si tratta di un argomento importante, eccoci qui.

Cos’è la solastalgia?
La definizione da manuale è

Una forma di disagio psicologico o esistenziale causato dal cambiamento ambientale.

Il genere di sentimento che sta alle spalle del classico una volta qui era tutta campagna, in altre parole. Continua a leggere