strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti


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La fantascienza corrompe i giovani

https://i0.wp.com/www.fantascienza.com/catalogo/Cov/02/02898.jpgHo letto Guida Galattica per gli Autostoppisti (The Hitchihiker’s Guide to the Galaxy), di Douglas Adams, appena è uscito in italiano.
Chissà che anno era?
Scemo, consulta il Catalogo Vegetti… ah, era il 1979.
Urania 843.
Poi l’ho riletto.
E l’ho riletto ancora.
Poi ne ho trovata una copia in inglese ed ho letto e riletto pure quella.

Sembrava una cosa così innocua.

E invece…

Scopro attraverso il blog di Vittorio Catani – anch’egli uomo fantascientifico – che il 17 gennaio scorso (storia antica), su l’Avvenire, Davide Rondoni pubblica un articolo intitolato “L’elogio di quegli autisti, contro la banalità”.
Sulla solita faccenda degli autobus senzadio di Genova.
Un piccolo capolavoro di banalità, intolleranza e citazioni a sproposito.
Tanto per dire, Einstein era ateo, ma Rondoni se lo scorda.
Ed il regime nazista non era ateo (casomai praticava una fede spuria).
Ma è un po’ come John Belushi/Bluto Blutarski in Animal House“Ci siamo forse arresi quando i nazisti bombardarono Pearl Harbour?!”
Rondoni è partito, e non ha senso cercare di correggerlo.
E dice (fra le altre cose)

La sedicente unio­ne di atei razionalisti è stata ridicolizzata nella sua
saccente­ria dal semplice buon senso di gen­te normale, che la­vora
tutti i giorni, che sa cosa è lavo­rare, amare, soffrire e magari farsi
do­mande nel silenzio della coscienza o di fronte ai propri figli sul
destino e sul senso delle cose.


E io ripenso a Douglas Adams, e a Guida Galattica.
Al 1979.
E ad una frase buttata lì da Ford Prefect, a due terzi del romanzo.

Per apprezzare la bellezza di un giardino, dobbiamo per forza immaginare che sia popolato dalle fate?


Curioso, vero, come certe sciocche idee restino con noi per trent’anni?

Fine della questione – a meno che non accada qualcosa di eclatante, lascerò per il futuro gli autisti ed i loro passegeri sugli autobus, e continuerò a fare l’autostop come mi ha insegnato Douglas Adams.
Ci vediamo quando arriviamo là.


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Una bella compagnia…

Un anomalo pork chop express
Stavo surfando su YouTube, nella pausa della digestione, in cerca di una copia del monologo di Bill Hicks sui creazionisti o, meglio ancora, del monologo di George Carlin sulla religione come marketing.
Così, come gesto di solidarietà nei confronti dei signori della UAAR e dei loro autobus che non ci sono più.

Ora, sul monologo di Carlin bisogna starci attenti, perché lì qualcuno si potrebbe offendere sul serio.
Ed anche quello di Bill Hicks…
Che sia un caso se sono morti entrambi?
Anche se morire è poi una cosa piuttosto naturale… qui per fare razza non ne hanno ancora tenuto nessuno.
E si presume che se il buon Dio ha una lista nera, i nomi in cima alla lista non siano quelli di cabarettisti – per quanto brillanti ed irriverenti.

Comunque, cercavo appunto filmati su YouTube, inserendo un po’ di parole chiave nel motore di ricerca.
E così facendo vado a sbattere contro una serie di filmati che rappresentano – a detta di chi li ha caricati in rete – Il Messaggio Finale per Atei, Agnostici e Satanisti.

È il delirio.

Non sto facendo questo per iniziare con voi un dibattito. Discutere con voi non mi interessa perché non dò alcun valore alle vostre opinioni (d’altra parte non ne dò neppure alle mie).

Eh?!

https://i0.wp.com/content9.flixster.com/question/42/65/21/4265215_std.jpgMa la cosa irritante, ovviamente, è quella classificazioni iniziale.
Atei, Agnostici e Satanisti
?!

Cosa c’entrano i satanisti?
Io non frequento satanisti!
Di fatto, a voler essere brevi e scortesi, i satanisti hanno molto di più a che fare con i credenti che con i non credenti, mi pare.
Andrebbero messi nella stessa scatola con i i cristiani, i musulmani e gli adoratori del Dio Ratto, non con atei ed agnostici.

Questo, però, mi permette finalmente di incapsulare in un paio di paragrafi quello che – a mio parere – è uno dei nodi essenziali della faccenda dell’autobus degli atei, del sindaco di Genova e la reazione considerata offensiva da parte di un portavoce del governo.

Il punto è che in Italia i non credenti non sono sotto attacco come lo sono nel mondo anglosassone – nessuno qui esplicitamente propone una uguaglianza Atei=Agnostici=Satanisti.
Importare in Italia iniziative anglosassoni – o anche testi, come il volume di Richard Dawkins The God Delusion – è in fondo suonare le corde sbagliate.
Per questo il messaggio dell’UAAR può sembrare un po’ stonato – è la risposta ad una provocazione di cui nessuno sa nulla.
In un paese in cui si è credente per default come il nostro, i non credenti non sono sotto attacco – sono semplicemente ignorati.
Ed è qui che la reazione di un portavoce del governo si fà particolarmente offensiva – perché dimostra che il governo (e non è una questione di colore) implicitamente privilegia le sensibilità di unaparte della popolazione ignorando quelle di un’altra parte.
Questo è male.

D’altra parte, escludendo evoluzioni impreviste del panorama sociale e culturale del nostro paese, è molto probabile che, quando non saranno più ignorati, i non credenti verranno assimilati ai satanisti.
Ma affronteremo quel problema quando si presenterà.

A questo punto, beccatevi George Carlin…


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Avventure selvagge e puritane

L’anno comincia molto bene, per lo meno sul fronte ludico, con l’arrivo sul mio scaffale, grazie ai buoni auspici di un’amica oltremanica, di una copia del massiccio (e costoso) The Savage World of Solomon Kane, una produzione Pinnacle/Studio 2.

Facciamo un passo indietro.
Per chi se lo fosse perso, Solomon Kane è l’avventuriero elisabettiano creato da Robert E. Howard negli anni ’20.
A differenza di altre creature howardiane, Kane si muove in tempi storici e si presenta come personaggio complesso e contraddittorio – puritano ma pragmatico, pio ma vendicativo, Kane è reduce dalle attenzioni della Santa Inquisizione ed annovera fra i propri amici corsari britannici e uomini medicina africani.
L’oscurità al cuore di tanti personaggi di Howard, che in Kull di Valusia spesso sfiora la nevrosi e in Conan si riduce spesso ad un truce nichilismo, sembra esprimersi al meglio in Solomon Kane, personaggio roso da dubbi, perseguitato da indicibili rimorsi, e spinto avanti da una fredda determinazione.
Lontano dalle crapule colossali di Conan, dal vino e dalle danzatrici, Kane siede in un angolo a rimuginare il proprio passato.
E se il fondale sul quale le sue storie sono rappresentate è storico, forti sono comunque la componente sovrannaturale e l’esotismo.
Kane è protagonista di soli nove racconti, quattro frammenti e tre poesie – raccolti in un sontuosissimo volume illustrato da Gary Gianni ed ormai introvabile, o in un più prosaico paperback (edizioni e prezzi variano).
Alcune storie di Kane si possono scaricare dalle pagine del Progetto Gutemberg australiano.

Al cinema, Solomon Kane sarebbe stato il personaggio ideale per Basil Rathbone o, in tempi recenti, per Christopher Eccleston.
Presto dovrebbe uscire un film, con l’adeguato James Purefoy, ma ancora non sappiamo se gioirne o preoccuparci.

Da qui al prodotto della Pinnacle il passo è relativamente breve.
Non a caso il volume si intitola The Savage World of Solomon Kane.
L’attenzione non è tanto rivolta alla pure replica degli exploit dello spadaccino howardiano, quanto piuttosto all’esplorazione del mondo in cui vive.
E in fondo il neonato diciassettesimo secolo di Solomon Kane è l’età delle grandi esplorazioni – vasti settori della mappa sono ancora bianchi.
Le guerre di religione incombono.
Inquisizione e Stregoneria incutodo due diversi terrori nei cuori degli uomini.
E poi pirati, nobili corrotti, fanciulle in pericolo, città perdute, lunghi viaggi via terra e via mare.
L’El Dorado, il Cathai, l’Africa Nera…

Facile aggiungere ad una simile promettente miscela una parte di orrore lovecraftiano e due parti di avventura classica (pensate Salgari, Sabatiti, Howard appunto) ed innestare il tutto sul valido motore di Savage Worlds – un sistema di regole rapido, virato all’azione, fatto apposta per quelle situazioni in cui il rapporto di forze è dieci a uno a favore dei cattivi ed il destino si decide sulla punta di una spada.
Il risultato è eccellente.
Il volumone da trecento e sessanta pagine (the game of non-stop puritan adventure, come dice una pubblicità ai limiti dell’assurdo) è riccamente illustrato su carta patinata ed include il sistema di gioco, le solite sezioni dedicate ad armi ed equipaggiamento, un ricco atlante del mondo di Solomon Kane con riferimenti alle storie originali e moderni addenda, ed una campagna precotta – non granché in realtà, ma facilmente adattabile.
Ottima ed abbondante invece la sezione dedicata al master, con un sacco di idee, di suggerimenti, di soluzioni a problemi diversi…

Sfoglio il volume, e mi vengono già alcune idee.
Ho tutto.
I riferimenti.
Le mappe.
Ma aspetterò, curando i dettagli – la prima partita a Solomon Kane dev’essere giocata attorno ad un tavolo di legno antico, alla luce delle fiaccole…


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Ci sono cose che Dio non vuole che gli uomini sappiano

Una di queste è probabilmente il motivo per cui il concessionario delle pubblicità affisse sugli autobus genovesi ha cancellato il contratto con L’Unione degli Atei Agnostici Razionalisti (mica male, come nome), impedendo la prosecuzione della divertente campagna qui ritratta…

Pressioni esterne? Da parte di chi?
O semplicemente un caso di “piedi freddi”, come si suol dire in inglese – per cui è mancato il coraggio senza un vero motivo?
Paura di offendere qualcuno.
Di farsi dei nemici.
O solo sana, solida, monolitica idiozia.

La campagna dei senzadio era partita dalla Gran Bretagna, dove era nata come risposta ad una precedente campagna – svoltasi l’estate scorsa – in cui dalle fiancate degli autobus si promettevano (citazione biblica alla mano) morte e dannazione eterna ai peccatori.
Sono un paio di settimane che la cosa va avanti, ed anche l’UAAR italiana si era schierata, pagando di tasca la pubblicazione del messaggio – che è poi anche abbastanza di classe, tutto considerato.

E invece, zac!
Adesso basta.
La campagna, si dirà, potrebbe offendere alcuni dei cittadini.
Vero.
Ma lo stesso vale per la campagna che definisce “mostri” tutti coloro che indossano pellicce animali – perché non impedirla, per non turbare lo shopping delle madame impellicciate sui marciapiedi del centro?
E che dire di quella vecchia campagna che diceva che non leggere rende imbecilli?
Perché non rispettare i sentimenti e l’amorproprio degli imbecilli, e proibirla?
E cosa avrebbero dovuto dire gli studenti dell’Università di Torino, specie quelli delle facoltà umanistiche, quando i nostri autobus cominciarono a far circolare il meme secondo il quale quelli che vanno al Politecnico per diventare ingegneri sono più fighi?

Ci sono problemi più seri, si dirà.
Vero.
E tuttavia, l’iniziativa segnala due fenomeni che andranno presi in considerazione per il futuro.

Il primo, è che gli atei stanno sempre più di frequente rendendosi conto di essere una popolazione, una comunità.
Stanchi di non avere un ruolo nella società.
Stanchi di essere ignorati dai legislatori, troppo preoccupati di compiacere una certa ortodossia.
Stanchi di essere considerati dei casi singoli o delle anomalie, sembra che siano pronti a dimostrare, nelle parole di Richard Dawkins, di non essere voci fuori dal coro, ma semplicemente un coro diverso, con una bella canzone da cantare.
Stanchi delle idiozie.

Il secondo è che anche una certa cultura religiosa molto poco caritatevole e molto poco aperta al dialogo se ne sta accorgendo.
E pare sia piuttosto preoccupata.
E potente.


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Pomeriggio di domenica

Esiste un modo migliore per trascorrere il pomeriggio di una gelida domenica di gennaio, che starsene accoccolati in poltrona sorseggiando té bollente, leggendo libri sull’Oriente ed ascoltando vecchi dischi di Caterina Valente?
Probabilmente sì, ma al momento non mi viene in mente.

Usato, e si vede, mi scricchiola fra le dita Beyond the House of the False Lama, di George Crane.
Il libro un tempo apparteneva alla biblioteca circolante di Anacostia, Distretto di Columbia.
L’hanno foderato in plastica spessa, lo hanno timbrato ed etichettato, lo hanno dato in prestito a (pochi) lettori epoi se ne sono disfatti – in tutto in meno di quattro anni, perché il volume è del 2005 e io l’ho acquistato per un centesimo nel 2008.
Il sottotitolo è Viaggi con Monaci, Nomadi e Fuorilegge.
Si potrebbe desiderare di più?
Crane è unpoeta americano con una grande fame di spiritualità ed una strana concezione dello Zen.
Nel suo prmo libro – Bones of the Master – lo avevamo seguito mentre, nel 1996, rischiando la pelle e la salute mentale, cercava di raggiungere la Mongolia in compagnia di un eccentrico monaco allo scopo di recuperare le ossa di un maestro zen ucciso dal regime e dare loro degna sepoltura.
Nel nuovo volume sono passati cinque anni, ed è ora di riprovaci.
A salvare le ossa del maestro, ma anche a trovare un vaccinocontro la crescente paura della vecchiaia e della morte.
Ma la strada per la Mongolia è lunga, e passa per i Caraibi, a bordo della carretta del mare di Capitan Bananas (un vecchio cialtrone olandese recidivo che batte bandiera corsara), per poi passare a Parigi, città-labirinto nella quale perdersi.
Crane è un autore dalla prosa originale, e le sue memorie sono al tempo stesso di una assoluta onestà e prossime all’incredibile, costellate di poesie estemporanee e traduzioni di classici cinesi.
Uno strano libro, ma molto divertente.

Intanto, per Caterina Valente è il 1966.
Greatest Hits è talvolta soffocato dagli arrangiamenti furbetti di Werner Muller, mentre gli standard registrati con Heinz Kiessling e la sua orchestra (The Intimate Valente) suonano più freschi.
Il remaster della Vocalion è buono, e non c’è spettro del vecchio
vinile che infesti il suono di queste incisioni che hanno più anni di
me.
Ma poco importa – la voce della Valente è comunque indescrivibile – non importa che canti in italiano, inglese, spagnolo o portoghese.
Come diceva quel tale, siamo stati fortunati a vivere contemporaneamente a personaggi di tanto talento.

E la strana accoppiata di canzoni d’altri tempi e strane peregrinazioni di un globetrotter spirituale ben si adatta ad un altro pomeriggio di inattività.
Riposo.
Recupero delle forze.
Domani ricomincia la corsa.


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Il freddo continua, la vecchiaia avanza


Non ci sono molte cose che si possano fare in queste giornate gelide.
Di giorno, si oscilla attorno allo zero, in tutti i sensi.
Di notte il termometro scende a meno dieci.
Le starde sono coperte da un foglio di ghiaccio, l’amministrazione locale ha finito il sale.
E le idee.
Da tempo.

Oggi, per celebrare l’anno nuovo e la crisi, l’agenzia delle entrate ha recapitato il bollettino per il pagamento del canone TV.
A mio nome, perché ora tocca a mé.
Oltre cento piastre per il privilegio di guardare vecchie repliche e pubblicità su quello che mio nonno buonanima chiamava “il cristallo”.

Billy Crystal diceva che ti rendere conto di essere invecchiato quando all’improvviso il rock’n’roll diventa troppo rumoroso.
Il col rock’n’roll non ho problemi, per ora, ma trovo insopportabile il rumore delle pubblicità televisive – volume troppo alto, musica invadente e troppo acuta, con tempi troppo veloci.
E dannatamente troppa, comunque la si rigiri.

https://i0.wp.com/www.aceshowbiz.com/images/photo/tia_carrere.jpg
E l’altra sera, spaventosamente, mi sono addormentato davanti alla TV.
C’era Relic Hunter.
Se ai tempi di Wayne’s World mi avessero detto che mi sarei un giorno addormentato mentre c’era Tia Carrere sul mio televisore, avrei detto che erano pazzi.
E invece…

Evidentemente sto invecchiando.
O forse è invecchiata Tia Carrere.

O magari è solo Relic Hunter, che è una porcheria.

Comunque fa un freddo dannato…
 


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Liberi tutti!

È un inverno bastardo.
Prima se ne và Ricardo Montalban, poi, unamanciata di ore dopo, se ne và Patrick McGoohan, attore inglese di razza, giustamente famoso per essere stato il motore neanche troppo immobile della serie The Prisoner, Il Prigioniero.
Oltre ad interpretarla – interrompendo con questa scelta interpretativa la lunga serie vincente di telefilm Danger Man – McGoohan fu anche autore del soggetto e, sotto pseudonimo, sceneggiatore e regista di molti episodi.

La serie è giustamente famosa per la sua trama ellittica, i suoi contenuti politici ed esistenzialisti, per l’originalità in un’epoca nella quale la TV a fondo poliziesco/spionistico si andava via via appiattendo su modelli bondiani.
Il Numero 6 ha segnato la nostra giovinezza, ed è difficile guardarsi attorno oggi – questa è l’era dell’informazione, giusto? – senza sentire, pesante, l’eredità di quei concetti veicolati da una “semplice” serie televisiva, oltre trent’anni or sono.

Ora si sta preparando un remake de Il Prigioniero – con James Caviezel nel ruolo del Numero 6 e Ian McKellen (presumibilmente) nel ruolo del Numero 2.
Avrà la stessa carica sovversiva della serie televisiva originale?
Riuscirà ad essere così maledettamente significativo?
O farà la fine di Matrix, e rivelerà un doppiofondo che aggetta sul nulla?

Noi non ci preoccupiamo.
Abbiamo la serie originale, di e con Patrick McGoohan.
Ce l’abbiamo su DVD.
Ce l’abbiamo in formato elettronico sui nostri hard disk.
Ce l’abbiamo indelebilmente impressa nelle sinapsi, una memoria che non ci potranno mai rubare.

Patrick McGoohan se n’è andato.
Ora più che mai, il Numero 6 non è un numero – è un uomo libero.
Ce ne fossero.