Ho letto Guida Galattica per gli Autostoppisti (The Hitchihiker’s Guide to the Galaxy), di Douglas Adams, appena è uscito in italiano.
Chissà che anno era?
Scemo, consulta il Catalogo Vegetti… ah, era il 1979.
Urania 843.
Poi l’ho riletto.
E l’ho riletto ancora.
Poi ne ho trovata una copia in inglese ed ho letto e riletto pure quella.
Sembrava una cosa così innocua.
E invece…
Scopro attraverso il blog di Vittorio Catani – anch’egli uomo fantascientifico – che il 17 gennaio scorso (storia antica), su l’Avvenire, Davide Rondoni pubblica un articolo intitolato “L’elogio di quegli autisti, contro la banalità”.
Sulla solita faccenda degli autobus senzadio di Genova.
Un piccolo capolavoro di banalità, intolleranza e citazioni a sproposito.
Tanto per dire, Einstein era ateo, ma Rondoni se lo scorda.
Ed il regime nazista non era ateo (casomai praticava una fede spuria).
Ma è un po’ come John Belushi/Bluto Blutarski in Animal House – “Ci siamo forse arresi quando i nazisti bombardarono Pearl Harbour?!”
Rondoni è partito, e non ha senso cercare di correggerlo.
E dice (fra le altre cose)
La sedicente unione di atei razionalisti è stata ridicolizzata nella sua
saccenteria dal semplice buon senso di gente normale, che lavora
tutti i giorni, che sa cosa è lavorare, amare, soffrire e magari farsi
domande nel silenzio della coscienza o di fronte ai propri figli sul
destino e sul senso delle cose.
E io ripenso a Douglas Adams, e a Guida Galattica.
Al 1979.
E ad una frase buttata lì da Ford Prefect, a due terzi del romanzo.
Per apprezzare la bellezza di un giardino, dobbiamo per forza immaginare che sia popolato dalle fate?
Curioso, vero, come certe sciocche idee restino con noi per trent’anni?
Fine della questione – a meno che non accada qualcosa di eclatante, lascerò per il futuro gli autisti ed i loro passegeri sugli autobus, e continuerò a fare l’autostop come mi ha insegnato Douglas Adams.
Ci vediamo quando arriviamo là.